torneranno i prati

IL CINEMA DEI GIUSTI - OLMI CI PORTA TRA LE MONTAGNE DELLA GRANDE GUERRA: TANTA NEVE, POESIA, MEMORIA. QUALCUNO SI ABBIOCCA, MA È UN FILM FORTE, SENTITO E NON RETORICO

Marco Giusti per Dagospia

 

Torneranno i prati di Ermanno Olmi

 

torneranno i prati santamariatorneranno i prati santamaria

“Come è bella ’a muntagna stanotte, accussì bella non l’aggio vista maie”, canta un soldato al chiar di luna sulla trincea italiana in mezzo ai commenti dei commilitoni italiani e austriaci incantati. Poi però canta la tristissima e mortuaria “Fenesta ca lucive e mo’ non luce” e capiamo dove andiamo a parare.

 

“Torneranno i prati”, ultima opera di Ermanno Olmi, che l’ha scritta riprendendo le lettere dei soldati della Grande Guerra, un racconto di Federico De Roberti del 1921 e l’ha diretta con la collaborazione di Maurizio Zaccaro e la bellissima fotografia del figlio Fabio, è una specie di poetico testamento del Novecento e di quanti lo hanno attraversato.

 

Morti o meno in trincea non fa differenza, ci spiega a un certo punto un personaggio del film. Perché anche i sopravvissuti sono come morti due volti. La prima lassù insieme ai loro compagni e la seconda nel ricordo terribile della guerra. Ma più che alla Grande Guerra o alla guerra in generale, Olmi sembra riandare col suo racconto costruito per piccole storie poetiche alla memoria. La sua è una ricostruzione di una memoria che ormai, morti tutti i reduci di quelle battaglie, vive attraverso i figli o i nipoti di quelli che l’avevano veramente vissuta.

 

torneranno i prati ermanno olmitorneranno i prati ermanno olmi

Anche per questo il film è dedicato al padre, che quella guerra l’aveva fatta. Strano che un ottantenne dedichi un film alla memoria di suo padre. Ma si può ben capire che un uomo non più giovane cerchi di impedire al vuoto di cancellare anche la memoria di persone e storie che stanno svanendo per sempre. Magari sotto alla luna di una trincea. E questo tentativo, più che il rispetto dei morti e dei soldati che vennero massacrati inutilmente su quelle montagne, si può leggere come il rispetto per il grande racconto dei padri, dei fratelli, di noi stessi riguardo al secolo passato, alla scomparsa inevitabile di quella memoria.

 

Olmi lo fa soprattutto riprendendo i veri luoghi e i veri oggetti della Grande Guerra, credo anche le vere lettere dei soldati. Che si assomigliano tutte, in tutte le guerre. Le missioni suicide, gli ordini sbagliati. I tenentini che non sanno dove mettere le mani. La paura, la disperazione della trincea. Non si preoccupa, ad esempio, di rispettare un certo ordine temporale. Tutto accade in una notte, la notte che renderà uomo e forse vecchio, vecchissimo il tenentino lasciato lì su quella postazione sperduta in mezzo al bombardamento degli austriaci.

 

torneranno i prati ermanno olmi torneranno i prati ermanno olmi

Ma non si percepisce mai come il tempo reale di una notte. Sembra che su quella trincea passino giorni, mesi, anni. Anche perché certi personaggi arrivano e scompaiono senza lasciare traccia di sé. Il capitano malato che si rifiuta di ubbidire a ordini criminali, che si toglie i gradi e torna nella vita reale. Il soldato che dà da mangiare a un topino di montagna. La volpe che passa ogni notte sotto il lacero. Non stiamo ascoltando il racconto di una notte, stiamo ascoltando cento, mille racconti legati a cento e mille notti di guerra.

 

E dove, come nei film di guerra di Nicholas Ray, si rischia di salvare i morti e di far morire i vivi. E i ruderi non sono mai così antichi per noi, esseri umani. E tanti soldati rimarranno lassù, sepolti sotto la neve e non avranno neppure più un nome quando la neve se ne andrà. In qualche modo sentiamo pure il peso, ma forse è solo un sentimento personale, dei film dedicati alle trincee che lo hanno preceduto, soprattutto a “La Grande Guerra” di Mario Monicelli, ai suoi soldatini Gassman e Sordi, ormai memoria pure loro, insieme a Monicelli, a Age, Scapelli e Vincenzoni, di un secolo passato.

 

Sepolti sotto la neve. Non so se “Torneranno i prati” sia un grande film, in mezzo a tanta neve e poesia un critico in quarta fila a un certo punto russava clamorosamente alla proiezione per la stampa. Magari non ha quella costruzione forte di racconto che uno avrebbe desiderato. Certo è un grande viaggio nella memoria di un paese, di un passato che ogni giorno si allontanano sempre più dalla realtà di quello che sono stati davvero il nostro paese e la nostra gente.

 

ermanno olmi sul set di torneranno i pratiermanno olmi sul set di torneranno i prati

Se le trincee e le montagne sono sempre quelle, come le gavette e le mantelline, le facce non sono più quelle dei nostri nonni. E neppure la fotografia quasi in bianco e nero che rispettosamente ricuce quell’umanità riesce a trovare la verità di quei soldati che brillano nelle fotografie e nei filmati del tempo, perfino nel vecchio “Maciste alpino”. Segno che sarà sempre più difficile ricostruire la memoria nostra e dei nostri cari per immagini.

 

Erano anni che Ermanno Olmi non ci dava un film così forte e sentito, senza retoriche da editorialista invecchiato. Un film più vicino ai lavori di Gianikian e Ricci Lucchi, ai documentari di Claude Lanzmann che non ai grandi classici sulla Grande Guerra di Stanley Kubrick e Lewis Milestone.

 

Ma anche un film dove si capisce il senso dello svanire del ricordo. Ho trovato bravissimo Claudio Santamaria come maggiore e perfetto Alessandro Sperduti come tenente. Onore a Cecilia Valmarana che lo ha visto come film del Centenario della Grande Guerra. Non si poteva fare scelta migliore oggi in Italia. In sala dal 6 novembre.

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