LO SCATTO SULLA TRAVE – HANNO FINALMENTE UN’IDENTITÀ 4 OPERAI (SU 11) DELLA STORICA FOTO (IN POSA) AL CANTIERE DEL ROCKFELLER CENTER

Vittorio Sabadin per "La Stampa"

Una delle foto più famose del mondo, ancora oggi riprodotta su magliette, manifesti, vassoi, cartoline e opere d'arte, è quella che ritrae undici operai che fanno colazione seduti su una trave d'acciaio sospesa nel vuoto, scattata il 20 settembre 1932 al cantiere del Rockefeller Center, a New York. Non c'è persona che non l'abbia vista e che non la ricordi con un brivido di emozione, per la noncuranza di quelle figure sospese a 260 metri dal suolo, che nella pausa di mezzogiorno bevono, fumano e mangiano con la tranquillità che avrebbero se si trovassero al caffè di sotto, sulla 50° strada.

Per 80 anni è stato impossibile scoprire l'identità di quegli operai, molti dei quali erano immigrati dall'Europa. Ma una meravigliosa storia, cominciata in un pub irlandese, ha permesso di identificarne quattro e può portare nei prossimi mesi a completare l'elenco di quei coraggiosi, irresponsabili funamboli.

I fratelli Sean ed Eammon O'Cualain stavano girando nel 2011 un documentario a Shanaglish, nel Nord dell'Irlanda, quando entrarono per una birra nel pub di Mickey Whelan. Dietro al bancone c'era una copia della foto del Rockefeller Center, appesa alla parete come in milioni di altri bar del mondo.

Ma questa aveva qualcosa di diverso: sotto l'operaio che occupava il primo posto a destra e teneva una bottiglia in mano, c'era una scritta: «Questo è mio padre Sonny. Pat Glynn». Sean e Eammon possiedono quell'istinto che consente di vedere grandi storie dietro a piccoli particolari, e chiesero al padrone del pub come contattare Pat Glynn, nella speranza di ricavare abbastanza materiale per un documentario da mandare in onda su «Tg4», una emittente irlandese. Uscirono dal locale con un numero di telefono, che aveva il prefisso della città di Boston.

Pat non aveva prove per dimostrare che l'uomo sulla trave fosse suo padre, ma non aveva nemmeno dubbi al riguardo. «Certo che è lui. E il primo a sinistra è mio zio, Matty O'Shaughnessy. Erano emigrati insieme in America e insieme hanno trovato lavoro».

E gli altri? La risposta stava forse 70 metri sottoterra in Pennsylvania, negli archivi dell'agenzia Corbis, proprietaria dell'immagine. Lo studio dei negativi originali permise di scoprire molte cose. Innanzi tutto il fotografo che aveva ripreso la scena (forse Charles Ebbets, forse Lewis Hine) non era solo quel giorno nel cantiere. Sulla torre della Rca c'erano i suoi colleghi William Leftwich, a cavallo di una putrella con il cappello in testa e la macchina in mano, e Thomas Kelley, sospeso a quell'altezza vertiginosa in giacca e cravatta.

Negli archivi di Corbis ci sono altri negativi che riprendono gli operai prima e dopo lo scatto diventato famoso, cosa che fa pensare a una seduta fotografica organizzata. All'epoca si usavano lastre di vetro, ed era impossibile cambiarle ed effettuare più scatti tenendosi in equilibrio a quell'altezza. Può darsi che i lavoratori siano stati messi in posa. In piena depressione, con una disoccupazione al 24% e lo scontro presidenziale fra Franklin Delano Roosevelt e Herbert Hoover in corso, non era una cattiva idea mostrare sul «New York Herald Tribune» del 2 ottobre lo sfrontato orgoglio di operai pagati bene, un dollaro e mezzo l'ora, per celebrare la gloria del Rockefeller Center e di New York.

Ma sulla trave, ha sottolineato il Magazine di «Le Monde» nel rievocare la vicenda, c'erano comunque lavoratori veri e aveva un senso cercare di scoprire chi erano. Tra le foto dell'archivio ne fu trovata un'altra, che riprendeva quattro operai sdraiati su una putrella d'acciaio. Incredibilmente, sul retro dell'immagine erano annotati i loro nomi e, cosa più sorprendente ancora, due di loro facevano anche parte degli undici dell'immagine più nota: erano Joseph Eckner, terzo da destra, e Joe Curtis, terzo da sinistra.

I fratelli O'Cualain hanno mandato in onda su «Tg4» il loro documentario, in gaelico e in inglese, nel giorno di St Patrick di quest'anno. L'hanno intitolato «Men at Lunch», «Uomini al pranzo», senza avere la minima idea dell'interesse che avrebbero suscitato. Adesso arrivano loro lettere da ogni parte d'Europa, scritte da persone che credono di avere individuato nella foto un loro parente emigrato a New York negli Anni 20.

Può darsi che in poco tempo si riesca a completare l'elenco di quegli operai, dando un nome anche agli altri sette. Se qualcuno li ha messi in posa, questo non toglie nulla al loro coraggio, alla loro fatica e all'icona che sono diventati per quell'America disperata che cercava di rialzare la testa.

 

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