LA VENEZIA DEI GIUSTI - ''ITALIAN GANGSTERS'' DI RENATO DE MARIA, A METÀ TRA DOCUMENTARIO E FICTION, È NOTEVOLE: RACCONTARE L’ITALIA DALLA FINE DELLA GUERRA AI PRIMI ANNI ’70 ATTRAVERSO LA VITA DI UN GRUPPO DI GANGSTER
Marco Giusti per Dagospia
Italian Gangsters di Renato De Maria
Venezia. Dalle parti di Orizzonti. A volte basta una buona idea per uscire dalla palude dell’inerzia del cinema italiana, dove spesso passano ore senza che accada davvero nulla. L’idea di questo strano film di Renato De Maria a metà tra il documentario e la fiction, Italian Gangsters, presento a Orizzonti fuori concorso e prodotto dall’Istituto Luce e dalla Minerva Pictures dei fratelli Curti, è notevole. Raccontare l’Italia, anzi trent’anni fondamentali dell’Italia, dalla fine della guerra ai primi anni ’70, attraverso la vita di un gruppo di gangster italiani famosi che hanno riempito le prime pagine dei nostri giornali e ai quali il cinema ha dedicato film su film.
Solo che i gangsters in questione, Ezio Barbieri, Paolo Casaroli, Pietro Cavallero, Luciano De Maria, Horst Fantazzini, Luciano Lutring, non ci sono più e molto del repertorio cinematografico relativo alle imprese delle loro bande costa parecchio. Così, al posto dei veri gangsters troviamo dei giovani attori, per lo più inediti al grande pubblico, Francesco Sferrazza Papa, Sergio romano, Aldo Ottobrino, Paolo Mazzarelli, Andrea Di Casa, Luca Micheletti, Renato De Maria, che li interpretano e raccontano in prima persona le loro storie, e al posto del repertorio più caro, troviamo gran materiale storico dell’Istituto Luce e un bel po’ di noir di proprietà della Minerva Pictures e di film che possono in qualche modo riportarci al mondo che De Maria cerca di descrivere.
Anche perché la tesi del suo film, che peraltro era la tesi di molti film girati da Carlo Lizzani e da Florestano Vancini negli anni ’60, per tutti Il gobbo, un italian gangster che qui manca all’appello, o Banditi a Milano, è che la fine della guerra e lo sciogliersi delle brigate partigiane più politicizzate portò spesso a una sorta di lotta armata criminale pronta alla rapina. Lotta armata che finirà, con l’arrivo del boom, per diventare un puro pretesto per banditi che spesso sognavano di vivere la bella vita del tempo.
Proprio dai racconti immaginati da De Maria, regista di Paz! e La Prima Linea che da sempre ha un occhio al noir realistico, e interpretati dai suoi attori ripresi su uno sfondo nero, viene fuori un ritratto di un’altra Italia che ha mal digerito la fine della lotta armata e la resa a una pace democristiana che si serve di polizia e fascisti per consolidare il proprio potere. Si butta così sulla rapina, anche un po’ anarchica e romantica, tra Pierrot Le Fou e la Banda Bonnot. Magari saranno forse questi gangster italiani a far da ponte con la lotta armata degli anni ’70, come seguendo una tradizione di bande politicizzate.
Proprio i materiali del Luce storicizzano i ragionamenti dei protagonisti su un’Italia distrutta del dopoguerra, mentre i brani celebri di film di Fernando Di Leo o di Elio Petri, anche se appartengono spesso a epoca diverse, funzionano come da immaginario collettivo per le azioni criminali che diventano puro cinema.
L’operazione, nel suo complesso, è povera, ma è bizzarra, gli attori sono freschi e interessanti, magari certi dialoghi peccano di eccessivo modernismo, nessun gangster degli anni ’50 e ’60 direbbe mai “macho” o “sexy” o spiegherebbe il significato di “entraineuse”, e rivedere in un contesto diverso certi brani di film celebra naturalmente le grandi inquadrature di certi autori, come Di Leo. Non si capisce, va detto, quale sia poi l’utilizzo finale di un film così concepito, ma rimane un’operazione non banale.