LA VENEZIA DEI GIUSTI - IL SEDERE DI OPHELIE BAU IN 'MEKTOUB, MY LOVE' HA LASCIATO IL SEGNO TRA I CRITICI ABBRUTITI. LE CRITICHESSE AVRANNO DI CHE INCAZZARSI: TRIONFO DI MACHISMO E DI SGUARDI MASCHILI SU CORPI FEMMINILI. UN FILM BELLO ED EROTICISSIMO - L’UNICA PELLICOLA CON SGUARDO FEMMINILE È ‘ANGELS WEAR WHITE’, RITRATTO CINESE E DI GRAN GUSTO DI UNA SEDICENNE IN FUGA
Marco Giusti per Dagospia
Venezia. Beh, il sedere di Ophelie Bau, nuova nudissima star lanciata da Abdellatif Kechiche in Mektoub, My Love: Canto Uno, ha lasciato il segno tra i critici abbrutiti che si sono dovuti svegliare all'alba per vedere le tre ore del film. Bellissimo. E gia' divisivo, viste le reazioni in sala. Ma pronto per il Leone d'Oro o qualcosa che gli andra' molto vicino. Ma anche trionfo di machismo e di sguardi maschili sui corpi femminili.
Anche se il protagonista, il giovane Amin, sceneggiatore di provincia che vive a Parigi gira attorno a tutte queste belle e si accontenta di guardarle, sentirle, al massimo fotografarle. Ma sono loro a muovere tutto, come in un film di Rohmer fotografato da Joe D'Amato. Il massimo per il critico perverso.
Le critichesse avranno di che incazzarsi. Giustamente. I temi? Dio, la luce, il sud della Francia, il cinema, la fotografia, la scrittura, Renoir, ma soprattutto Dio che e' luce, sia per i cattolici che per i musulmani, attraverso i corpi delle donne, attraverso i loro discorsi continui, attraverso il loro amore.
Machista quanto volete, ma Abdellatif Kechiche ci sorprende ancora una volta con queste bellissime tre ore di Mektoub, My Love: Canto Uno, tratto dal romanzo autobiografico di Francois Begaudeau, "La blessure, la vraie", con la sua ossessione per il bellissimo corpo della sua protagonista, Opheiie Bau, che non smette un attimo di inseguire dopo che la abbiamo vista in un eroticissimo inizio mentre fa l'amore col bel Toni, il suo amante, quasi sotto gli occhi del nostro protagonista, Amin, Shain Boumedine.
Siamo a Sete, sud della Francia, dove vive una piccola comunita' maghrebina, come in un altro celebre film di Kechiche, Cous Cous. Amin, bello e giovane, fa lo sceneggiatore a Parigi, sembra piu' interessato a guardare, fotografare, riprendere. Torna a casa per le vacanze estive, dove ritrova il cugino Toni, sciupafemmine che non la smette di imitare la celebre camminata di Aldo Maccione, detta La classe, l'amica di infanzia Ophelie, bellissima e infedelissima, innamorata di Toni.
Ma entrano in scena due altre belle ragazze di Nizza, e Nizza non e' Parigi, dice la gelosia Ophelie, le russe, le zie, femmine che devono seguire maschi infedeli, lo zio Kaleb, che tocca tutte. Amin parla con tutte, ascolta ogni sfogo, ma rimane sempre al di fuori dell'amore. Mentre le ragazze amano e soffrono, piangono e ballano scatenate in discoteca con gli operatori che inseguono i loro corpi in continuazione. Si amano anche fra di loro, ovviamente.
Film, credo, insostenibile per le fan di Concita, ma che esplode nelle immagini con una forza che pochi altri registi riescono a tramettere. Alle registe, in questo festival parecchio misogino e totalmente maschile, rimane un solo titolo, Angels Wear White di Vivian Qu, un'opera seconda, ritratto serissimo di una ragazza di sedici anni fuggita di casa che cerca di sopravvivere in un universo corrotto e maschile.
La sua eroina, Mia, che lavora come receptionist in un piccolo albergo di una cittadina sul mare, ha le registrazioni della violenza che un potente del posto ha praticato su due bambine. Pensa di usarle per ottenere magari un documento di identita' da un piccolo malavitoso. Al tempo stesso le famiglie delle due bambine sono indecise se seguire la giustizia o mettersi d'accordo con il violentatore.
Vivian Vu si dimostra regista di gran gusto, in grado di costruire un racconto, anche importante sulle condizioni della donna in Cina, che esplodera' in un bellissimo finale. Con Annette Bening presidente della giuria e' piu' che possibile che ottenga un premio importante l'unico sguardo femminile che si e' visto nel concorso.