VITA (POCO) AGRAMA! - NUOVO CAPITOLO DEL PROCESSO MEDIASET: A CHI DAVA I SOLDI IL SOCIO DI BERLUSCONI? QUEL ROGO DI DOCUMENTI AD HONG KONG PER METTERE AL SICURO I REALI BENEFICIARI DI UN FIUME DI DENARO NERO DA ALMENO 190 MILIONI DI DOLLARI

Paolo Biondani per ‘L'Espresso'

Perché il fisco americano, in questi mesi, ha preso contatti con la procura di Milano? La risposta sta in un capitolo ancora inedito del processo Mediaset, il caso giudiziario che ha portato alla condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale. Il nuovo problema non riguarda, almeno direttamente, il leader di Forza Italia, che sta già scontando dieci mesi e mezzo di pena alternativa con l'affidamento ai servizi sociali. A interessare gli uffici fiscali di Los Angeles è un altro condannato, l'imprenditore statunitense Frank Agrama. Le sentenze lo definiscono «il socio occulto di Berlusconi» nel traffico di fondi neri e società offshore. Il suo «complice principale», con un ruolo così sospetto che i testimoni lo chiamavano «l'uomo dei misteri».

Ora le autorità di Hong Kong, dopo anni di battaglie legali, hanno trasmesso in Italia un nuovo carico di prove che gli valgono un altro appellativo: mister mezzo miliardo di dollari. Un fiume di soldi che emerge solo adesso, ma che Agrama è riuscito in gran parte a far sparire. Beffando, secondo l'accusa, perfino il fisco americano. Al centro di questo nuovo giallo internazionale c'è un rogo di documenti: carte segrete sui rapporti con il gruppo Berlusconi, che risultano "distrutte" dallo staff di Agrama ad Hong Kong. Per impedire che vengano smascherati gli inconfessabili beneficiari di un flusso di denaro nero da almeno 190 milioni di dollari.

Frank Agrama è il mediatore cinematografico, nato in Egitto nel 1930 ma trapiantato negli Stati Uniti, che è stato condannato a tre anni nel processo chiuso dalla Cassazione. I giudici, nelle sentenze, gli attribuiscono un ruolo da protagonista nella trama della frode. In sintesi: le tv della Fininvest compravano i diritti di trasmettere film americani a prezzi enormemente gonfiati rispetto ai costi reali; e la differenza, versata a finti mediatori come Agrama, finiva sui conti esteri nei paradisi fiscali controllati personalmente da Berlusconi.

Ridotta all'osso, è la storia di un padrone che fa la cresta sugli acquisti aziendali. Negli atti del processo Mediaset, però, mancava un capitolo chiave: con il sistema Agrama, in totale, quanti soldi sono spariti dall'Italia? Dove e a chi è finito tutto questo tesoro nero?
Per rispondere, bisogna partire dalle cifre consacrate dalla condanna definitiva. I giudici del processo Mediaset hanno esaminato solo i fondi neri creati nel periodo 1994-1998: in quei cinque anni, secondo la ricostruzione del pm Fabio De Pasquale, confermata in tutti i gradi di giudizio, Berlusconi ha sottratto al fisco italiano ben 368 milioni di dollari. Solo grazie alla legge ex Cirielli gran parte di questa accusa, benché comprovata, è caduta in prescrizione, per cui Berlusconi alla fine ha risarcito solo dieci milioni di euro. Mentre Agrama non ha rimborsato nulla, perché l'indulto del 2006 ha cancellato tutta la sua pena.

Ma le sentenze spiegano che buona parte della maxi-frode si deve proprio a lui. Agrama negli anni ‘70 aveva vissuto a Roma, frequentando anche personaggi malfamati e pericolosi. Proprio in quegli anni ruggenti riuscì a ottenere dall'amico Berlusconi una sorta di monopolio, economicamente inspiegabile, per gli acquisti di film prodotti dalla Paramount. Nel solo quinquennio 1994-1998 le reti Fininvest/Mediaset gli hanno versato più di 199 milioni di dollari, ma la Paramount ne ha incassati solo 64. Le società di Agrama, insomma, hanno drenato fuori dall'Italia ben 135 milioni di dollari. Una cresta che, come chiarisce la condanna definitiva, fino al 1998 l'amico americano si è diviso segretamente con Berlusconi. Di qui l'epiteto di "socio occulto".

Ma questa è solo la prima parte della trama. Durante il primo processo, la procura di Milano scopre che il gruppo Mediaset, attraverso la controllata Mediatrade, ha continuato a pagare anche dal 1999 al 2005 una rete di società con base ad Hong Kong, attribuite dall'accusa sempre ad Agrama. Che invece smentisce, sostenendo di essere solo «un consulente esterno».

Da Milano, quindi, parte una rogatoria, che però viene insabbiata: le autorità cinesi si rifiutano di trasmettere i documenti in Italia. Anzi, arrivano a citare a giudizio il pm De Pasquale, accusandolo di violazioni inesistenti. Nel frattempo Berlusconi viene condannato per la frode del 1994-1998, ma ottiene una trionfale archiviazione nel successivo processo Mediatrade: dopo il 1999, i suoi conti offshore non sono più attivi, per cui nessuno può dire che abbia continuato a spartirsi i soldi con Agrama. Questo secondo giudizio è tuttora in corso a Milano e tra gli imputati spiccano Piersilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri. Con il solito Agrama, che in caso di nuova condanna rischierebbe il disastro: un vero ordine d'arresto.

E qui si arriva ai misteri di Hong Kong. Ad aprire le ostilità è l'ex senatore Sergio De Gregorio che, confessando di essersi fatto corrompere da Berlusconi per tradire Prodi, si vanta di aver fatto pressioni sui diplomatici cinesi per bloccare la rogatoria. Un'accusa tutta da verificare. Sta di fatto che, dopo la caduta del governo Berlusconi, Hong Kong decide a sorpresa di collaborare. E in gran segreto spedisce a Milano i documenti su Agrama. Che la Procura affida alla stessa superesperta, Gabriella Chersicla, che ha vinto il processo Mediaset.

Il nuovo atto d'accusa svela molti retroscena. Prima di tutto, dietro le società di Hong Kong (con sigle come Wiltshire o Melchers) c'è proprio lui: Agrama è indicato nei contratti fiduciari («deed of trust») come «l'effettivo proprietario». Un brutto colpo per la sua linea di difesa. Ma la sorpresa maggiore sono le cifre: quelle società esotiche hanno continuato a incassare soldi dal gruppo Fininvest/Mediaset almeno fino al 2006, cioè anche durante le indagini e i processi, per un totale di oltre 486 milioni di dollari. I veri produttori di film però hanno ricevuto meno di 169 milioni. Come dire che Agrama incassa sempre il triplo di quanto spende. Come ai tempi d'oro del patto con Silvio. Come se Mediaset non potesse rifiutarsi di arricchirlo neppure quando era ormai sotto processo.

Tra i pagamenti giustificati si possono aggiungere 35 milioni di spese bancarie e legali. Tutto il resto è una cresta senza precedenti, che risulta distribuita in sei direzioni. Circa 31 milioni vengono riversati di nascosto fino al 2007, come tangenti private, a dirigenti italiani di Mediaset, tra cui primeggia Daniele Lorenzano, già condannato a tre anni e otto mesi e ora in attesa di affidamento. Altri 47 milioni entrano nei forzieri della famiglia Agrama, che ne restituisce solo 22 alle offshore. Quasi 26 milioni finiscono ad altre società classificate dubbie. Mentre il grosso della super-cresta sparisce in una specie di pozzo nero: ben 190 milioni di dollari, infatti, vengono intascati da personaggi che «non è possibile identificare». Nei documenti delle società di Hong Kong non compare nessun dato: la contabilità registra i bonifici in uscita, ma senza alcun nome o sigla dei beneficiari.

Il come e il perché di questa totale sparizione dei dati, che assomiglia molto a un'operazione da manuale di gestione del denaro sporco, lo spiegano i file su Mediaset sequestrati a una certa Paddy Chan, la fiduciaria-prestanome di Agrama a Hong Kong. Dai suoi computer salta fuori che, quando i magistrati di Milano chiesero per la prima volta di perquisire gli uffici di Agrama negli Stati Uniti, ad Hong Kong venne organizzato un bel rogo: i documenti più compromettenti furono «trafugati» e «distrutti».

Lo staff di Agrama, in particolare, ha spedito segretamente da Los Angeles ad Hong Kong un container con «17 armadi classificatori e 22 scatoloni di documenti». Dentro, c'erano «tutti i contratti con Paramount, Mediaset e le altre società designate dal gruppo Berlusconi». Cinque mesi dopo, sono tornati a Los Angeles solo «i documenti selezionati per la consegna ai magistrati italiani». La diligente Paddy Chan annota pure di aver pagato la fattura per la «distruzione» delle carte.

Nei computer di Hong Kong in compenso è rimasta traccia di altre manovre che ora rischiano di attirare l'attenzione anche del fisco americano. Nei documenti ufficiali, infatti, Agrama si è sempre presentato come semplice dipendente delle società di Hong Kong, indicandone come "proprietaria" l'asiatica Paddy Chan: quindi, niente tasse negli Stati Uniti. Dai contratti di trust, invece, ora risulta che lei è solo una prestanome, mentre "il titolare effettivo" è proprio Frank l'americano. Il colmo è che nel 2004, quando era Hong Kong a reclamare le tasse, lo stesso Agrama dettò una risposta contraria: «Noi facciamo tutti i ricavi negli Stati Uniti, quindi a Hong Kong non c'è niente da tassare». Per questo ora il fisco americano ha contattato la procura milanese. E così, oltre al fedelissimo Marcello Dell'Utri, ora il leader di Forza Italia ha anche un vecchio amico americano che rischia grossi guai. E conosce molti segreti.

2. E IL GRUPPO PAGA UNA SUPER-MULTA
Da ‘L'Espresso'

Se Silvio Berlusconi è uscito dal processo per i diritti televisivi con una condanna
per frode fiscale e un risarcimento di 10 milioni, il gruppo Mediaset ne ha ricavato una multa da parte del Fisco di oltre 27,3 milioni di euro. È quanto rivela la società controllata dal gruppo Fininvest nell'ultimo bilancio annuale, relativo al 2013. Briciole, se si pensa che nel 2005, quando il processo iniziò, i pubblici ministeri sostennero che il gruppo della famiglia Berlusconi si era appropriato di centinaia di milioni di dollari.

Molte di quelle imputazioni sono però finite in prescrizione e, ora, i proventi contestati dall'Agenzia delle Entrate si limitano a 44 milioni di euro, evasi tra il 2001 e il 2003. Il bilancio spiega che, a fronte delle contestazioni del Fisco su tasse non versate, sanzioni e interessi, la società alla fine si è vista costretta a staccare un assegno da 26 milioni. In aggiunta, però, l'Agenzia ha riconsiderato i conti relativi al 2004, presentando un'ulteriore notifica di 1,3 milioni. Fine dei grattacapi per l'azienda di Berlusconi? Non è detto. Per il processo Mediatrade, un filone giudiziario nato dal primo procedimento, la società ha versato finora al Fisco altri 5,4 milioni e stima che, per chiudere, dovrà sborsarne altri 11.G.R.

 

 

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