“MI PIACEVA CHE A PATTI SMITH SI VEDESSERO I PELI DELLE ASCELLE” - LYNN GOLDSMITH, LA MITICA FOTOGRAFA CHE HA IMMORTALATO A CANTANTE PER LA COPERTINA DELL’ALBUM EASTER, RIVELA COM’È NATO LO SCATTO: “VOLEVO CHE SI VEDESSE CHE AVEVA UN BEL CORPO, UN SENO GRANDE. MA NON AVREBBE MAI POTUTO SOMIGLIARE A UNA CONIGLIETTA DI PLAYBOY, E HO PENSATO CHE FAR VEDERE QUEI PELI SAREBBE STATO ESSENZIALE PER MOSTRARE CHI FOSSE. LA CASA DISCOGRAFICA PROVÒ A CANCELLARE I PELI, MA…” - VIDEO
Estratto dell’articolo di Tiziana Lo Porto per “Il Venerdì di Repubblica”
Nessuna delle due se lo ricorda. «È come se ci fosse stata da sempre», dice Lynn Goldsmith parlando di Patti Smith e del momento in cui si sono conosciute. Frequentavano entrambe il night Max's Kansas City e la downtown New York degli anni 70, sono amiche da decenni, e da decenni le due artiste portano avanti una collaborazione che di recente ha preso la forma di un libro, un volume monumentale con dentro alcuni dei ritratti che Goldsmith ha fatto di Patti Smith, dagli anni 70 a oggi.
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Il libro si chiama Before Easter After, è stato pubblicato in inglese da Taschen nel 2019, e adesso in italiano da Rizzoli (traduzione di Giuliana Olivero). L'Easter del titolo è l'album di Patti Smith del 1978 che ha in copertina una foto di Goldsmith. Il disco è arrivato dopo una brutta caduta dal palco (nel 1977 a Tampa, Florida) in cui Patti si era rotta l'osso del collo, una lunga terapia e la completa guarigione.
[…] Negli anni Settanta hai fotografato Patti Smith a colori, e il rosso, l'azzurro o il verde che hai usato rimandano a Giovanni Bellini e al Rinascimento italiano...
«Vero. Ci sono anche altre ragioni, ma sono stati soprattutto i pittori italiani a farmi desiderare quei particolari colori: il rosso del sangue di Cristo, l'azzurro del velo delle Madonne. […] c'era in particolare un fotografo, Francesco Scavullo, che lavorava per Cosmopolitan e che usava fondali delle stesse tonalità dei vestiti indossati dalle modelle. Ho fatto lo stesso con Patti.
E soprattutto, quando ho iniziato a fotografarla, c'erano già altri che l'avevano ritratta prima di me, fotografi meravigliosi come Robert Mapplethorpe o Judy Linn, e che avevano sempre usato il bianco e nero. Patti ha in sé quel pathos che è proprio del bianco e nero. Ma il mondo è a colori, ed è a colori che lo vediamo. Così ho pensato che aggiungendo il colore avrei potuto espandere l'immagine di Patti e mostrarla come il mondo la vedeva davvero».
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Com'è nato lo scatto sulla cover di Easter?
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«[…] Quello scatto in particolare doveva essere una delle foto promozionali. Patti si era portata una canottiera leggera e consumata che lasciava intravedere le forme. Di solito indossava abiti che la coprivano, come nella cover di Horses. E ho pensato: voglio che il mondo veda che ha un bel corpo, un seno grande e tutto il resto. Patti si era appena ripresa dalla caduta a Tampa, e sollevare il braccio come fa in quella foto era un vero momento di resurrezione.
E poi mi piaceva che si vedessero i peli delle ascelle, perché Patti non avrebbe mai potuto somigliare a una coniglietta di Playboy, e ho pensato che far vedere quei peli sarebbe stato essenziale per mostrare chi è: estremamente femminile e al tempo stesso completamente reale. Clive Davis della Arista, la casa discografica che ha pubblicato il disco, dopo avere visto la foto ha provato a fare cancellare i peli, ma per fortuna Patti aveva da contratto l'ultima parola e così i peli sono rimasti. All'epoca Patti non si depilava le gambe, né tantomeno le ascelle, e alcuni magari pensavano che era volgare. Ma nemmeno Linda McCartney si depilava. Per alcune donne non depilarsi significava mostrare chi erano».
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Ed erano gli anni Settanta, le donne si riappropriavano della libertà di scegliere cosa fare del proprio corpo.
«Sì, ma non credere che fosse una cosa così diffusa. La gente idealizza quell'epoca per l'Era dell'Acquario, Haight-Ashbury, l'amore libero e tutto il resto, e crede che l'America fosse libera. Ma erano fenomeni minuscoli rispetto al fatto che fossero sempre uomini bianchi ad avere il controllo e a gestire il potere, come accadeva da secoli. La presa di coscienza che c'è stata tra la fine degli anni 60 e i 70 ha riguardato un numero limitato di persone a paragone di tutta quanta l'America».
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Hai vinto la causa contro la Andy Warhol Foundation, e non era affatto scontato. È stata perseveranza, giustizia, o solo fortuna?
«Di sicuro sono stata fortunata. Ma a monte c'è stata la decisione che ho preso di portare avanti la causa. Mi avevano offerto un patteggiamento, e se avessi accettato sarebbe stato tutto più facile, sicuramente per me. In America usano il sistema giudiziario come un'arma, per cui certa gente fa causa a qualcuno sapendo che quel qualcuno potrebbe farle causa. Si muovono preventivamente, aspettandosi che poi tu accetti l'offerta che ti fanno. Ed è quello che è successo con la Andy Warhol Foundation. Bullismo bello e buono. […] è stata la Foundation a querelarmi, per una foto mia che era stata usata da Warhol. Quando succede una cosa del genere, devi per forza difenderti».
C'è una foto che rimpiangi di non avere mai scattato?
«Avrei amato fotografare Madre Teresa di Calcutta. Non per la foto in sé, ma perché avrei voluto conoscerla, avrei voluto passare del tempo con lei. E lo stesso vale per Georgia O'Keeffe, Gesù e Mosè».
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