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QUANDO IL BEAUBOURG ERA "IL MOSTRO DEL MARAIS": BREVE STORIA DEL CENTRO POMPIDOU CHE SIN DALLE ORIGINI SCATENO’ POLEMICHE: RENZO PIANO FU ACCUSATO DI ESSERE IL VALLETTO DELLA DELLA BORGHESIA PIU’ RAPACE - IL "PECCATO ORIGINALE" DEL CENTRO ERA DI INSIDIARE L’EGEMONIA USA SULL’ARTE DEL '900 - LE CRITICHE DEGLI INTELLETTUALI

PARIGI CANTIERE BEAUBOURGPARIGI CANTIERE BEAUBOURG

Marco Cicala per Il Venerdì - la Repubblica

 

Con tre milioni e rotti di presenze l' anno il Beaubourg, al secolo Centre Georges Pompidou, è il quarto monumento e il terzo museo più visitato di Francia dopo Louvre e D' Orsay. Su Tripadvisor - questa versione secolarizzata del giudizio universale - ottiene in Italia quattro stelle sulle cinque a disposizione. A fine 2016, dei 4.298 recensori 917 lo reputavano eccellente, 601 molto buono, 275 così così, 110 scarso e 71 una fetenzia. Non è un gran campione demoscopico però frugando tra i commenti qualche indicazione interessante la si può scovare.

 

Tra gli stroncatori riaffiora ad esempio come una solida convinzione il leggendario fake secondo cui per costruire il Beaubourg si sarebbero demolite Les Halles, gli epici mercati generali parigini. In realtà al posto del Centre c' era un parcheggio senza alcun appeal.

 

POMPIDOU CON LA MOGLIEPOMPIDOU CON LA MOGLIE

Les Halles stavano dall' altra parte del Boulevard Sébastopol, dove oggi campeggia l' angoscioso Forum, che ha dieci anni meno del Beaubourg ma ne dimostra di più. L' avevano concepito come un centro commerciale delle dimensioni di una città sotterranea. In superficie un ameno giardino con vialetti intitolati ai poeti, nei multipli strati del sous-sol un labirinto di negozi, cinema, bar, muscolosi snodi della metropolitana.

 

Ma in un trentennio quel paradiso del consumo si è degradato assumendo rapidamente i tratti inferi che sonnecchiavano in lui. Tra spaccio, rapine, incrudelite movidas, c' erano pomeriggi nei quali già all' ora del tè il Forum des Halles diventava un posto da cui era salubre girare alla larga. Anche per questo hanno deciso di rimetterci mano. Fine dei lavori prevista per il 2018.

 

Il Beaubourg se la passa decisamente meglio. È un quarantenne con la faccia simpatica del futuro invecchiato, dell' avanguardia arretrata se non a retroguardia diciamo a medioguardia, dell' utopia che con l' età diventa giocoforza una zia.

 

La sua cura ricostituente di restauri l' ha affrontata nel 1997-2000. E, sebbene i numeri non siano più quelli di una volta, tiene botta alla brutale flessione turistica che gli attentati jihadisti stanno infliggendo alla Francia.

 

pompidou center a parigipompidou center a parigi

Voluto da un presidente colto e mondano che morì prima di vederlo ultimato, il Pompidou nasceva come futuribile centro multidisciplinare dedicato alle arti e alle tecniche del Novecento. Politicamente però scaturiva da una volontà di rivalsa e da una nostalgia di grandeur. Si era alla fine degli anni '60 e l' America trionfante proclamava ai quattro venti che in fatto d' arte l' egemonia di Parigi era finita e a farla da padrona era ormai New York. Il gaullista Georges Pompidou raccolse quel verdetto come una sfida e ingranò il progetto Beaubourg.

 

Certo, gli USA peccavano di arroganza imperiale, ma le cose stavano esattamente come le vedevano loro. Poco importa che evaporata con gli anni Cinquanta la fase eroica dell' espressionismo astratto e dintorni, l' America vendesse ormai molta più arte di quanta non ne producesse in proprio: la sua centralità era indiscutibile, inscalfibile. Le irrequiete potenze del mercato avevano preso casa a New York. E felicemente. Nulla e nessuno avrebbero potuto schiodarle da lì per dirottarle altrove.

CENTRE POMPIDOUCENTRE POMPIDOU

 

Secondo un raffinato critico "conservatore" come Marc Fumaroli, il "peccato originale" del Beaubourg si annidava proprio in quella presunzione di poter competere con l' America su un terreno dove non poteva esserci gara: La partita Parigi-New York nel campo del modernismo, poi del postmodernismo, era perduta in anticipo dalla Francia... New York, le sue gallerie e i ricchi collezionisti che vi affluivano, le sue potenti case di vendita, le sue antenne europee alla Dokumenta di Kassel e alla Fiera di arte contemporanea di Basilea erano diventati i padroni del mercato e dei suoi gusti.

 

Il risultato sarebbe stato paradossale: ideato come vetrina parigina e ufficiale dell' arte francese, il Pompidou divenne un' eco attutita dell' arte quale la si intende a New York; lo Stato culturale francese che si fissava come alternativa alla cultura di massa all' americana ha finito per diventare il contrario di ciò che pretendeva di essere, l' alternativa provinciale di ciò che sognava di emulare o addirittura di sconfiggere (Parigi-New York e ritorno. Viaggio nelle arti e nelle immagini, Adelphi, 2011).

 

renzo piano (2)renzo piano (2)

La nascita del Beaubourg si cristallizzò nelle polemiche come la mosca nell' ambra. Contro quel "moloch" apostrofato nei modi più fantasiosi - "la raffineria", "il gazometro", "il mostro del Marais" cioè "della palude" (in francese marais significa palude) - gli abitanti del quartiere raccolsero trentamila firme e in un bellicoso volantino del 1971 si leggeva: Si tratta probabilmente di un raffinato capolavoro di concezione razionale. Ma ce ne freghiamo! Per noi, il signor Renzo Piano non è altro che il valletto della borghesia e della sua frangia più rapace: speculatori e promotori immobiliari.

 

Non bastasse, nell' anno in cui il Centro veniva aperto al pubblico, 1977, un esimio professore del Collège de France specializzato in storia sociale, Louis Chevalier, pubblicava un libro che in certi ambienti radicali avrebbe fatto epoca: si intitolava L' assassinio di Parigi e denunciava le infamie "neo-hausmanniane" di un urbanismo spietato che stava annientando il cuore antico e popolare di una città ormai irriconoscibile.

PARIGI BEAUBOURGPARIGI BEAUBOURG

 

Per quanto avesse l' aspetto di un gioioso meccano ispirato ai marchingegni di Jules Verne, il Pompidou venne letto dai suoi oppositori come un fosco corpaccione semiotico, una matassa di segni che rimandavano allo stato inquietante dell' arte e della cultura nella società di massa.

 

Scrivendone a caldo nel suo stile iperbolico, il sociologo Jean Baudrillard evocava le visioni distopiche di Moebius, Philip K. Dick o Stanley Kubrick. Unico contenuto di Beaubourg è la massa, quella che scorre sulle sue scale mobili, quella che in un andirivieni gigantesco simile al movimento dei pendolari di periferia si incolonna nei suoi manicotti di plastica e che consuma anche se non compra e non paga nessun biglietto - l' ingresso è libero.

 

Per Baudrillard il Centre è un ipermercato dove la moltitudine realizza la propria vendetta: annegandola nella merce, mette festosamente a morte una cultura dalla quale è stata esclusa per secoli e che in fondo ha sempre detestato. Il Pompidou?

 

Inutile incendiarlo, contestarlo. Andateci! È il modo migliore per distruggerlo.

BEAUBOURG 6BEAUBOURG 6

Quando, alcune vite fa, abitavo a Parigi mi capitava di andare al Beaubourg anche tutti i giorni, ma senza intenti teppistici.

 

Alla BPI (Bibliothèque publique d' information) i libri te le li prendevi da solo e oltre ai video, alla musica, ai corsi di lingua, c' erano tutti i giornali del mondo infilati sulle stecche ogni mattina. A noi che con colorito malarico riemergevamo dai lugubri recessi delle facoltà italiane, sembrava un sogno di efficienza, gratuità e calefazione.

 

D' inverno la biblioteca era riscaldata meglio di altre, perciò i clochard erano parecchi.Non è vero che venissero solo per ammucchiarsi in una pennica etilica o per servirsi dei cessi. Circondati da zaini grossi come menhir, li vedevi sfogliare enciclopedie, manuali, rotocalchi, con barbe e misteriosa concentrazione da esegeti del Talmud.

 

Alla Bibliothèque potevi poi attaccare bottone con tipe e tipi d' ogni nazionalità. Per niente intimidite dall' Aids galoppante, le manovre di abbordaggio sessuale proseguivano intense e più o meno galanti. Inutile dirlo: un sacco di gente andava alla BPI solo per quello.

 

Eppure qualcosa già steccava. Presentandoti al Beaubourg sbattevi sempre più spesso su code dantesche che ti costringevano a tornartene indietro. Gli ingressi divennero controllati. Apparvero i metal detector. La presenza di poliziotti e vigilantes si fece più massiccia. Camminando sul pavé della piazza ti sentivi squittire sotto le scarpe i cocci delle risse a bottigliate lasciate lì dal popolo della notte.

 

BEAUBOURGBEAUBOURG

Sotto l' urto di una folla che nei picchi di affluenza oscillava tra le 25 e le 40 mila persone al giorno, vedevamo usurarsi strutture concepite per ricevere un quarto di quella gente. L' impressione era che il Beaubourg stesse sfuggendo di mano.

 

Quando ne uscivi alla chiusura ti ricordava gli aeroporti o le stazioni di notte. Era come se in quell' iperluogo stesse germinando il non-luogo. Fatta tara dei toni apocalittici, ti veniva il sospetto che almeno un po' i vaticini di Baudrillard si stessero avverando.

 

Però il Pompidou rincorreva ancora il futuro. Nell' 87 - sotto Mitterrand - ci piazzarono davanti un grande orologio digitale a nove cifre che frullando ti riferivano quanti secondi mancavano al 2000.

 

Lo chiamarono Génitron e chi l' aveva ideato lo presentava come un' opera d' arte. Nel '97, in vista dei lavori di rifacimento, lo spostarono dal Beaubourg alla Bastille. Ma quando l' orologione tagliò il traguardo di fine millennio, non se lo filava più nessuno. Il prestissimo dell' innovazione ne aveva già fatto un rudere. Venne rimosso e mandato allo sfascio. Con tanti saluti al futuro.

GEORGES POMPIDOUGEORGES POMPIDOU

 

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