IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – CI HA LASCIATO A 91 ANNI SERGIO DONATI, SCENEGGIATORE DI FIDUCIA DI SERGIO LEONE PER TUTTI I SUOI PIÙ GRANDI SUCCESSI. È SUA LA PRIMA, SPETTACOLARE BATTUTA DI “PER QUALCHE DOLLARO IN PIÙ”: “QUESTO TRENO FERMA A TUCUMCARI?” – DONATI È STATO ANCHE SCENEGGIATORE DEI GRANDI WESTERN POLITICI DI SERGIO SOLLIMA, DI POLIZIESCHI, POLIZIOTTESCHI, SPIONISTICI, E FILM DI GENERE DI OGNI TIPO, DA “COL CUORE IN GOLA” DI TINTO BRASS A “IL CONTE TACCHIA” DI SERGIO CORBUCCI – VIDEO
Estratto dell’articolo di Marco Giusti per Dagospia
“Questo treno ferma a Tucumcari?”. Ricorderete la prima, spettacolare battuta di “Per qualche dollaro in più” di Sergio Leone. Beh, quella battuta è di Sergio Donati, che ci ha lasciato a 91 anni, sceneggiatore di fiducia di Leone per tutti i suoi più grandi successi, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “C’era una volta il West”, “Giù la testa”.
Ma sceneggiatore anche dei grandi western politici di Sergio Sollima, “La resa dei conti” e “Faccia e faccia”, che sono forse le sue opere maggiori, di avventurosi come “L’orca assassina” di Michael Anderson, di polizieschi, poliziotteschi, spionistici, e film di genere di ogni tipo, da “Col cuore in gola” di Tinto Brass a “Il conte Tacchia” di Sergio Corbucci, da”7 volte 7”, primo dei tnati film che scrisse per Michele Lupo a “Codice Magnum” di John Irvin con Arnold Schwarzenegger, da “Ming, ragazzi” di Antonio Margheriti, mischione western-kung fu, a “Sbatti il mostro in prima pagina” di Marco Bellocchio, che avrebbe dovuto essere il suo film di esordio da regista.
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Leone lo cercò già ai tempi di “Per un pugno di dollari”, ma Donati allora lavorava come un pazzo, pagatissimo, come copy della CPV per la pubblicità, caroselli su caroselli, dai Barilla con Mina ai Cinzano con Paolo Ferrari, dai Tè Ati con Massimo Girotti (“La forza dei nervi distesi”) ai Vidal con Amedeo Nazzari ai celebri Permaflex (“qui c’è sotto qualcosa”) con Paolo Ferrari.
Nato a Roma nel 1933, Donati si era spostato a Milano proprio per far pubblicità come copy, prima della CPV, poi in proprio, con una sua società. Non si fidava del cinema e del mondo del western all’italiana.
Era anche giallista, e per questo molto corteggiato dal cinema. E velocissimo a scrivere. Se Papi e Colombo gli comprano un giallo, “Il ritorno di Shark”, per farci un film, scritto da Castellano e Pipolo, il produttore napoletano Alberto Grimaldi, padrone della PEA, tra le prime società che coproducevano western e eurospy con gli spagnoli, lo impose come cosceneggiatore di “100.000 dollari per Lassiter” di Joaquim Romero Marchent, uno dei padri dell’eurowestern, gli affida il copione di “Requiem per un agente segreto” di Sergio Sollima con Stewart Granger, un film che Tarantino (sua ammissione) ha rubato di sana pianta per “Inglorious Bastards”, e subito dopo a risistemare segretamente il copione di Luciano Vincenzoni di “Per qualche dollaro in più”, che doveva essere il secondo western di leone e il primo prodotto dalla PEA.
“A Sergio non andava bene. Luciano non sapeva chi era il tizio che metteva il becco sul suo copione”. Il maggior lavoro, secondo Donati, fu sui dialoghi. “Per esempio scrissi la battuta “questo treno fermerà a Tucumcari”, e una scena col vecchio e il treno. La cosa di cui sono molto fiero nella mia carriera è la fine del film. Ero troppo piatto nel copione. Clint Eastwood diceva i nomi dei banditi – Johnson, Smith – e io dissi, “no, Sergio, sarebbe divertente se questo bounty killer aggiunge i soldi della taglia – tredici dollari, diciotto dollari, venticinque. E allora il Colonnello dice, “Guai, ragazzo?” E lui: “No, vecchio, penso di avere guai con la mia somma”. A quei tempi, grazie a una battuta, il pubblico applaudiva come allo stadio.
lee van cleef jesus guzman per qualche dollaro in piu
Mentre scrive con Vincenzoni la sceneggiatura di “Il buono il brutto il cattivo”, Donati è chiamato da Grimaldi per rivoltare in chiave western un racconto di Franco Solinas che di western non aveva molto. “Era un bel soggetto di Solinas, ambientato in Sardegna, la storia di un carabiniere che insegue un bandito e alla fine, dopo che ha scoperto la sua innocenza, se lo trova inquadrato nel mirino della pistola e lascia partire il colpo. la storia fu trasferita nel west e fu aggiunto un lieto fine, anche su consiglio di Leone.”
Il film fu un grande successo e rimane uno dei grandi copioni della stagione degli spaghetti western, a detta di tutti i fan. Ma Leone non prese molto bene questo tradimento di Donati, al punto che non mise il suo nome tra gli sceneggiatori di “Il buono, il brutto, il cattivo”.
La lavorazione non fu facile, perché Leone, allarga qui la sua cerchia di collaboratori, cercando l’eccellenza del cinema italiano. “Per il film Leone voleva i migliori sceneggiatori disponibili sul mercato”, ricordava Donati, “così chiamò Age e Scarpelli, e fu un errore. Scrissero una specie di commedia ambientata nel West, non un western; nel film credo sia rimasta appena una battuta scritta da loro”.
Ovviamente questo è da verificare, anche se Furio Scarpelli ha descritto come “fatale” il loro incontro con Leone. Contemporaneamente si raffreddano anche i rapporti di Leone con Vincenzoni, che se ne va dalla scrittura del film e lavora a due western di registi diversi, Il mercenario di Sergio Corbucci e Da uomo a uomo di Giulio Petroni.
Ma Donati rimase a suo fianco, lavorando otto mesi al montaggio e al missaggio del film. Un lavoro che sembrava interminabile e che finì solo il 23 dicembre a un soffio dall’uscita prevista. Un massacro, ricordano tutti, visto che Leone non era mai contento. Nino Baragli, il montatore, lo chiamava “spappolation” (“ti ammazza al montaggio…”).
clint eastwood per qualche dollaro in piu'
Tagliarono una ventina di minuti dal montatone finale per prolemi di durata. Via anche una scena di sesso fra Eastwood e una messicana, come capitò spesso nei film di Leone. Il problema dei collaboratori eccellenti si ripresenta per “C’era una volta il West”, visto che Leone chiama come soggettisti e sceneggiatori due giovani maestri del cinema italiano come Bernardo Bertolucci e Dario Argento.
Ma le cose non funzionarono benissimo. Almeno come ricordava Donati: “Dopo molti mesi mi ha telefonato: era deluso dai due intellettuali. Io ero molto offeso e ho accettato solo per i soldi. Ho scritto tutta la sceneggiatura in venti giorni, il secondo tempo senza nemmeno alzarmi dalla sedia. Ho scritto il tipo di sceneggiatura che piace a lui, con descrizioni interminabili, dialoghi allusivi, lunghe biografie dei personaggi, e molti suggerimenti di regia; dice sempre mi raccomando gli attacchi, dobbiamo sempre indicare tre o quattro attacchi diversi perché lui possa scegliere in montaggio”.
Per Donati il copione di Bertolucci e Argento non era più lungo di ottanta pagine. “C’erano molte buone intenzioni, ma nessuna sostanza. Il principale contributo che io ho dato, perché sono un romantico, è sui personaggi come Cheyenne... e la cosa migliore che ho fatto, spero, è dare un senso alla storia”.
Donati inventa anche l’uomo senza gambe, Mr. Morton. Ma per Bertolucci il copione è molto più lungo. Non solo. Tutta la storia si sviluppa dai mesi di conversazioni da ultracinefili tra Bertolucci e Leone con Dario Argento nella veste di spettatore attento. A chi dobbiamo credere?
La stessa cosa si ripresenterà con il film successivo “Giù la testa”, il film che Leone vuole scrivere con Peter Bogdanovich, su consiglio di John Ford, e che invece tornerà a scrivere con Donati e dirigerà lui stesso. Forte del rapporto con Leone e dei successi dei loro film, Donati scrive tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 una marea di western e di film di genere, specializzandosi, grazie a Michele Lupo, nel western scanzonato. E’ Claudio Mancini, produttore esecutivo e organizzatore die film di Leone a spingerlo a dirigere un suo film, “Sbatti il mostro in prima pagina” con Gian Maria Volonté.
sbatti il mostro in prima pagina
Ma si capirà ben presto che non è il mestiere suo. Grande artigiano, come l’altrettanto prolifico Ernesto Gastaldi, altro sceneggiatore chiamato di continuo da Leone a sistemare copioni, Donati non ha forza quel qualcosa in più che Leone cercava da Bertolucci, Argento, Age e Scarpelli, ma offre un solido mestiere e una scrittura veloce particolarmente adatta al cinema popolare. Lavorerà moltissimo, firmando film come “La poliziotta” e “Il padrone e l’operaio” di Steno, “Cipolla Colt” di Castellari, “Il bestione” e “Il conte Tacchia” di Sergio Corbucci, “L’isola degli uomini pesce” di Sergio Martin, “I Paladini” di Giacomo Battiato, il televisivo “Il settimo papiro”, prodotto da Ciro Ippolito, lavorando moltissimo anche all’estero.
C’è anche un film, “Crepa padrone, crepa tranquillo”, iniziato da Jacques Deray e continuato da Piero Schivazappa con Alain Delon e mai terminato che andrebbe riscoperto… Con la fine del nostro cinema di genere intorno alla fine degli anni ’70 e poi con la morte di Leone, per il quale aveva scritto il soggetto di una serie tv, “Colt”, riscritta ultimamente da Massimo Gaudioso e Stefano Sollima, il figlio di Sergio, tramonta anche il lavoro di Donati, lo sceneggiatore che più di tutti, penso, avrebbe seguito Leone anche all’inferno nella sua voglia di raccontare storie e personaggi nati dalla visione ammirata del grande cinema hollywoodiano nel dopoguerra.
“No, questo treno non ferma a Tucumcari”, è la risposta di un passeggero al colonnello Douglas di Lee Van Cleef. Due secondi dopo si fermerà a Tucumcari.