IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - QUINCY JONES, SCOMPARSO OGGI A 91 ANNI, HA RIVOLUZIONATO IL MONDO DEL CINEMA COME COMPOSITORE E ARRANGIATORE, SEGUENDO REGOLE DIVERSE DA QUELLE STABILITE DA HOLLYWOOD PER LA MUSICA DA FILM E PORTANDO LA SUA ESPERIENZA DI ARRANGIATORE TRA JAZZ E POP - HA AVUTO SETTE NOMINATION ALL'OSCAR NEL CORSO DELLA SUA CARRIERA, MA NON L'HA MAI VINTO. TROPPO FUORI DALLE REGOLE, TROPPO BRAVO... - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
A poco più di trent’anni, già con una fama di star e di genio musicale, Quincy Jones, scomparso oggi a 91 anni, entra nel mondo del cinema come compositore e arrangiatore e lo rivoluziona completamente. Inserendosi in quella per nulla piccola rivoluzione iniziata da Henry Mancini e da Alex North, il piano di Quincy Jones è quello di dare al cinema americano una vera musica americana.
Di smetterla quindi con il furto seriale della musica dei grandi compositori europei e della tradizione operistica come avevano fatto i pur grandi Max Steiner e Dimitri Tiomkin. E di seguire regole diverse da quelle stabilite da Hollywood per la musica da film. Basta con la musica che segue passo dopo passo quel che accade sullo schermo, che descrive cioè quello che vedi. Lo aveva già scoperto Henry Mancini, ammette lo stesso Jones, quando rompe la quarta parete della musica con “Peter Gunn”.
Solo che c’era arrivato dopo novanta film precedenti con musica tradizionale. Quincy Jones si permette molto di più, entra a Hollywood e col suo primo film inizia a cambiare le regole. Lo ha chiamato per musicare “L’uomo del banco dei pegni” proprio il regista, Sidney Lumet, su richiesta di sua moglie, che altri non è che la figlia di Lena Horne, la mitica cantante di “Stormy Weather”. Subito, nel film di Lumet, ambientato in una spettacolare New York in bianco e nero, Quincy Jones impone un sound del tutto diverso dal solito.
Portando al cinema tutta la sua esperienza di arrangiatore tra jazz e pop. In soli due anni musicherà qualcosa come 22 film, passando dallo spy, “Mirage” di Edward Dmytryk, al thriller, “La morte corre sul filo” di Sydney Pollack, dalla commedia, “Cammina, non correre” di Charles Walters allo spy da Guerra Fredda, “Chiamata per il morto” di Lumet, per esplodere con due colonne sonore incredibili, “La calda notte dell’Ispettore Tibbs” di Norman Jewison con Rod Steiger e Sydney Poitier e “A sangue freddo” di Richard Brooks tratto dal romanzo verità di Truman Capote.
Come aveva promesso, Quincy Jones riempie i vuoti lasciati nel film, e compone una musica che dialoghi con le immagini, che le contraddica magari, non che le sottolinei. E’ difficile stare dietro alle tante espressioni di Rod Steiger, dice, senza evitare l’effetto sottolineatura, ma è perfetto per l’apparizione cool del sofisticato Mister Tibbs di Poitier nella cittadina razzista del sud. Sarà il suo musicista preferitp, musicando ben quattro film di Poitier.
Quincy Jones è perfetto nel descrivere, con la sua musica, l’America degli anni ’60, la New York di Lumet, dove ebrei scampati all’Olocausto si confrontano con gli afro-americani, e il sud di Jewison, dove i bianchi razzisti non sono più i padroni di casa. I guai maggiori li ha per “A sangue freddo”, perché il film è così denso di emozioni e deve cercare di non essere ridondante. Arrivano le nomination all’Oscar. Ne avrà sette nel corso della sua carriera, ma non vincerà mai. Troppo fuori dalle regole, troppo bravo. Le composizioni migliori sono per film oggi poco noti.
“Un uomo per Ivy” di Daniel Mann con Sydney Poitier e Abbey Lincoln, che gli frutterà una nomination, “L’oro di McKenna” di J. Lee Thompson dove mette le chitarre elettriche in un western tradizionale solo sulla carta. Si inventa di tutto per film che non sono più circolati, penso a “Il mosaico del crimine” di James Goldstone con Harry Guardino e Bradford Dillman, al bellissimo “I sei della grande rapina” di Gordon Flemyng con Jim Brown, Ernest Borgnine, Warren Oates, che apre la stagione della Blaxploitation, “La poiana vola sul tetto”, un Tennesse Williams rivisto da Sidney Lumet, “The Lost Man” di Robert Alan Arthur con Sidney Poitier e Joanna Shimkus, sul terrorismo, considerato al tempo il suo lavoro più inventivo e contemporaneo, che “mischia Jazz e gospel, soul e rock e blues e rhytm e rumori della strada”.
Ma lavora anche sulla commedia in modo innovativo. “Bob&Carol&Ted&Aloce” di Paul Mazursky, sull’amore di gruppo, “John&Mary” di Peter Yates con Mia Farrow e Dustin Hoffman, “Fiore di cactus” con Walter Matthau e Ingrid Bergman. Anche se andrà avanti fino a “Il colore viola”, dove sarà anche produttore e supervisore, altre due nomination senza vittoria, la grande stagione innovativa di Quincy Jones è tutta o quasi circoscritta agli anni ’60. Lì si inventa la musica che adoreremo sentire nei film e telefilm americani degli anni successivi.
Quella sarà musica americana. Quella è la sua totale libertà. “Scoring is the only freedon left in music”, dice, dopo anni di arrangiamenti per qualsiasi cantante americano bianco o nero e anni di introduzioni ai loro dischi. Il cinema gli permette, nella New Hollywood che sta rinnovando tutte le sue regole, una totale libertà dove ha modo di sperimentare e inventare. E’ quello che fa in “L’oro di McKenna”, il suo primo western, dove parte da un tema indiano, poi aggiunge sottotemi spagnoli e messicani e poi esplode con un suo tema originale. La sua musica per il cinema, leggo sui vecchi giornali americani, è “americana come torta di mele”.
quincy jones e nastassja kinskiQUINCY JONES SINATRAquincy jones e michael jacksonQUINCY JONES 33quincy jonesquincy jones frank sinatraQUINCY JONES 35quincy jones 4quincy jones 7quincy jones e ray charles 4quincy jopnes e kendrick lamarquincy jones 16quincy jones 16quincy jones nastassja kinski quincy jonesquincy jones michael jackson 5quincy jones 9QUINCY JONES MARCO MOLENDINIquincy jones 99