
“PECHINO NON ACCETTA PIÙ DI SUBIRE L'ORDINE GLOBALE: VUOLE CONTRIBUIRE A RISCRIVERLO” – ETTORE SEQUI E LA RISPOSTA CINESE AI DAZI DI TRUMP CON L’IMPOSIZIONE DI TARIFFE DEL 34% SUI BENI AMERICANI - "PER IL DRAGONE LA POSTA IN GIOCO È ALTISSIMA. I DAZI FANNO MALE E XI JINPING DEVE EVITARE UN PERICOLOSO RALLENTAMENTO ECONOMICO. PER QUESTO NON PUÒ LIMITARSI A RAPPRESAGLIE TARIFFARIE, MA ACCENTUA IL SUO CORTEGGIAMENTO VERSO L'EUROPA. LA CINA È TROPPO GRANDE PER RITIRARSI, TROPPO ESPOSTA PER CHIUDERSI, TROPPO INTERCONNESSA PER ISOLARSI. LA VERA DOMANDA È QUALE SISTEMA EMERGERÀ DOPO…”
Ettore Sequi per la Stampa - Estratti
A 48 ore dall'annuncio di Trump sui dazi a concorrenti e alleati, la Cina risponde con fermezza: dazi del 34% su beni americani, restrizioni su import agricolo, limitazioni alle esportazioni di materie prime critiche.
Al di là della simmetria apparente, la reazione cinese rivela un approccio più articolato: l'adattamento calcolato e strategico di una potenza che conosce la natura sistemica della sfida con gli Stati Uniti.
La Cina sa che questa partita va ben oltre il commercio. Non si tratta solo di riequilibrare la bilancia commerciale: l'obiettivo di Trump è ricostruire l'autonomia industriale americana, riportare intere filiere in patria e ridurre al minimo la dipendenza strategica dagli avversari.
La Cina è il bersaglio principale, ma non l'unico. I dazi sono infatti una leva di pressione, se non intimidazione, anche su Europa, Sud globale, e persino sull'industria americana globalizzata, che paga ora il prezzo di filiere troppo dipendenti da Pechino.
Per la Cina la posta in gioco è altissima. I dazi fanno male e Xi Jinping deve evitare un pericoloso rallentamento economico, garantire una crescita non inferiore al 5% per contenere la disoccupazione giovanile e salvaguardare la stabilità sociale. Le vulnerabilità sono però molteplici: invecchiamento demografico, fuga di capitali, settore immobiliare in crisi, stagnazione dei consumi. Per compensare una domanda interna che non riparte, il governo ha rafforzato i sussidi industriali, alimentando l'export, principale motore di crescita, ma inasprendo così lo scontro con Washington, che accusa Pechino di distorcere la concorrenza e di scaricare sul mondo il suo eccesso di capacità produttiva. Per questo la Cina non può limitarsi a rappresaglie tariffarie, ma deve preparare un arsenale efficace: restrizioni sull'export di terre rare, indagini su aziende statunitensi attive in Cina, possibili svalutazioni mirate del renminbi, persino una graduale dismissione di quote del debito sovrano Usa. Sono strumenti di pressione per creare spazio di manovra negoziale.
Allo stesso tempo Pechino ridisegna le rotte commerciali, sposta segmenti della produzione verso economie intermedie come piattaforme di transito per aggirare i dazi americani. Rafforza anche i rapporti con i paesi del Sud globale, riorganizza le catene del valore e rilancia la diplomazia economica multilaterale. Per attutire l'impatto dei dazi americani il governo cinese accentua anche le sue offensive di charme verso Giappone e Corea del Sud e, in forme più sottili, verso un'Europa –anch'essa alla ricerca di nuovi mercati– con cui è in corso un discreto corteggiamento reciproco. La Cina vuole presentarsi come attore prevedibile e responsabile.
È un messaggio per tutti quei governi disorientati dall'unilateralismo americano: la Repubblica Popolare si propone come forza stabilizzatrice, garante dell'ordine, sostenitrice della Organizzazione Mondiale del Commercio e in grado di offrire infrastrutture, tecnologia e accesso a mercati in espansione.
XI JINPING - DONALD TRUMP - VLADIMIR PUTIN
Pechino sa anche che l'indole di Trump è transattiva e opportunistica: ogni scontro nasconde l'ipotesi di un accordo, ma intende arrivarci con buone carte. E non è escluso che, oltre al commercio, in un possibile perimetro negoziale con Washington possano entrare dossier più ampi: la gestione delle tecnologie dual use, la regolazione dell'intelligenza artificiale, la stabilità dello Stretto di Taiwan, il ruolo strategico della Russia.
Pechino non accetta più di subire l'ordine globale: vuole contribuire a riscriverlo.
(...)
Secondo Pechino la guerra commerciale in corso non è una crisi temporanea: è la nuova normalità di un ordine in trasformazione. Gli Stati Uniti non stanno semplicemente difendendo la loro industria: stanno cercando di riscrivere le gerarchie dell'economia internazionale, riconfigurando le regole del gioco.
La Cina è troppo grande per ritirarsi, troppo esposta per chiudersi, troppo interconnessa per isolarsi. Nella migliore tradizione strategica cinese, anche questa crisi è un'opportunità: per accelerare la transizione verso un mondo multipolare, per consolidare la propria influenza sul Sud globale, per disarticolare un ordine che Pechino contesta e che oggi anche Washington sembra voler abbandonare. La vera domanda non è chi vincerà, ma quale sistema emergerà dopo.