
PIÙ CHE IL DAZIO, IL VERO GUAIO È CHE NON SI CAPISCE UN CAZZO – IL “TIMES”: “LA ‘CURA’ PROPOSTA DA TRUMP, COME L’HA DEFINITA LUI STESSO, NON HA UN CALENDARIO. UNO SCENARIO PIÙ PREVEDIBILE, E FORSE PIÙ STABILE, DIPENDEREBBE DALLA CHIAREZZA DEL VERO OBIETTIVO DEI DAZI. IL PRESIDENTE XI E IL RESTO DEL MONDO STANNO CERCANDO DI CAPIRE SE LE TARIFFE RAPPRESENTINO UNA CLAVA PER OTTENERE CONCESSIONI COMMERCIALI, OPPURE UN NUOVO IMPEGNO DI LUNGO TERMINE DEGLI STATI UNITI VERSO IL PROTEZIONISMO…”
Traduzione di un estratto dell’articolo di David Charter per “The Times”
Il presidente Trump ha accelerato lo scontro internazionale che potrebbe definire il suo secondo mandato: il confronto con la Cina. La minaccia di imporre un dazio aggiuntivo del 50% oltre al 34% già annunciato durante il cosiddetto “giorno della liberazione” – a meno che Pechino non faccia marcia indietro sulle sue contromisure – rappresenta un autentico shock economico in stile “shock and awe”.
Il rifiuto di proseguire i negoziati con la Cina rivela un presidente trincerato nella sua linea dura sui dazi, disposto a correre il massimo rischio economico pur di non arretrare.
I DAZI DI DONALD TRUMP - MEME BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA
Nel corso della sua carriera, tanto negli affari quanto in politica, Trump ha sempre reagito ai conflitti sfoderando le armi più potenti a sua disposizione. Come presidente degli Stati Uniti, in un conflitto non militare, può contare sulla più grande economia del mondo e sulla valuta più forte: due strumenti che, nella maggior parte dei casi, risultano schiaccianti.
Ma il principale rivale geopolitico dell’America non è privo di mezzi economici altrettanto potenti. La Cina ha la capacità di colpire duramente alcuni dei nomi più importanti dell’elettronica e dell’informatica statunitensi – Apple, Intel, Tesla, Qualcomm – tutte aziende che dipendono in larga misura dal mercato e dalla produzione cinesi.
Finora, però, è stato Trump a infliggere i colpi più duri. Un mese fa Apple valeva 3.600 miliardi di dollari. Al pomeriggio di lunedì, la sua capitalizzazione era scesa a circa 2.700 miliardi.
Le radici della volontà di Trump di “fare giustizia” con la Cina risalgono a lontano, in particolare alla sua indignazione per l’ingresso del Paese nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, evento che secondo lui ha accelerato la desertificazione industriale americana e l’era della globalizzazione.
Ma la motivazione più immediata affonda nella pandemia da Covid-19. Trump accusa la Cina di aver scatenato il virus, compromettendo le sue possibilità di rielezione nel 2020, e ha più volte sottolineato la pericolosa dipendenza americana da Pechino per i farmaci e altre forniture strategiche.
Anche il presidente Biden ha visto negli squilibri commerciali una minaccia alla sicurezza nazionale, cercando un “reset” con metodi più convenzionali: ha investito 280 miliardi di dollari nel Chips Act per riportare negli Stati Uniti la produzione di semiconduttori. Uno degli effetti collaterali delle sue maxi-leggi sugli investimenti, però, è stata l’inflazione – un prezzo politico che lui e il suo partito hanno pagato nelle elezioni dello scorso anno.
Dove Biden ha cercato un riadattamento di lungo periodo e più prevedibile, Trump punta a forzare un riallineamento di decenni di pratiche commerciali nel giro di pochi giorni.
L’inflazione sembra inevitabile, e con essa possibili perdite elettorali per i Repubblicani nelle elezioni di metà mandato del prossimo anno. Ma guardare così avanti appare vano, vista l’incertezza su quale sarà il livello dei dazi già alla fine di questa settimana.
La natura imprevedibile dell’approccio di Trump sta aggravando i disordini nei mercati e nell’economia, rendendo impossibile pianificare.
È qui che la situazione attuale si discosta dal crollo indotto dal Covid: allora, la vita tornò gradualmente alla normalità con l’arrivo dei vaccini – sviluppati a tempo di record proprio sotto l’amministrazione Trump. Ma questa volta, la “cura” proposta da Trump, come l’ha definita lui stesso, non ha un calendario prevedibile. La sua risposta al crollo dei mercati globali è stata: «A volte bisogna prendere la medicina.»
donald trump xi jinping mar a lago
Uno scenario più prevedibile, e forse più stabile, dipenderebbe dalla chiarezza del vero obiettivo dei dazi. Il presidente Xi e il resto del mondo stanno cercando di capire se le tariffe rappresentino una clava per ottenere concessioni commerciali, oppure un nuovo impegno di lungo termine degli Stati Uniti verso il protezionismo, utile a finanziare tagli fiscali e un rilancio manifatturiero nazionale.
Ma l’ultimatum lanciato da Trump alla Cina è di ben altro livello. Nello stesso post sui social media in cui minacciava l’aumento dei dazi, ha scritto: «Tutti i colloqui con la Cina riguardanti i loro incontri richiesti con noi saranno interrotti.»
GUERRA DEI DAZI TRA USA E CINA
Trump sta costringendo Pechino a una prova di forza, contro un avversario che non è certo noto per arrendersi facilmente. E il mondo intero non può che osservare se la seconda economia del pianeta piegherà il capo davanti alla prima – con conseguenze imprevedibili e potenzialmente pericolose se lo stallo dovesse protrarsi.