AA. VOTO SENATORI CERCASI – L’ALLEANZA GIALLOVERDE BALLA AL SENATO: CON SOLO 6 VOTI NON SI VIVE TRANQUILLI A PALAZZO MADAMA (TURIGLIATTO INSEGNA) – COSI’, PARTE LA QUESTUA DEI VOTI NEL GRUPPO MISTO E FRA I GRILLI ESPULSI – CALDEROLI NEL RUOLO DI RABDOMANTE
Monica Guerzoni per il Corriere della Sera
luigi di maio berlusconi salvini meloni
Sulla carta, sempre che riesca a nascere e giurare, il governo gialloverde ha numeri troppo stiracchiati per far passare al Senato i provvedimenti più importanti del «libro dei sogni» di Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Come insegna la fine traumatica del secondo governo di Romano Prodi - che dal 2006 al 2008 vide esaurirsi il tesoretto di 165 voti incassato con la prima fiducia a Palazzo Madama - sei voti in più della soglia di sopravvivenza bastano a partire, ma non consentono di mettere in cassaforte una maggioranza.
Eppure Roberto Calderoli, il leghista che più di ogni altro conosce segreti, meandri e codicilli regolamentari di Palazzo Madama e che da settimane va a caccia di nuovi alleati, non sembra granché preoccupato: «I numeri? Io sto tranquillo...». I 5 Stelle hanno eletto 109 senatori e i leghisti 58, un totale di 167 voti che garantisce la partenza del convoglio. Ma il Senato è terra di trincea.
È fra quei marmi e quei velluti che uno schieramento di governo può nascere e morire. Il nome del senatore trotzkista Franco Turigliatto ancora risuona, tra verità e leggenda, come quello di colui che affossò il già traballante esecutivo del professore emiliano. Memore (sia pure per conoscenza indiretta) di quei giorni traumatici per l' Unione prodiana e per il centrosinistra, Matteo Salvini insiste nel pressare Giorgia Meloni, sperando che si convinca a essere ufficialmente della partita.
Nell' ultimo faccia a faccia la leader di Fratelli d' Italia ha detto vigorosamente no, definendo Salvini «l' unico generale che dopo aver vinto si consegna al nemico lasciando sul campo i suoi alleati». Eppure l' opposizione che l' ex ministro ha in mente alternerà chiusure nette a sostanziose aperture: «Se arrivano i provvedimenti del centrodestra li votiamo, se arrivano quelli del M5S che non condividiamo, no».
calderoli - giancarlo giorgetti
Il reddito di cittadinanza? «È un errore, quella roba lì nun jela voto - annuncia barricate Giorgia Meloni -. Non si possono dare 800 al mese per stare a casa, pagati coi soldi di quelli che li guadagnano in 40 ore settimanali». E la flat tax? «Sì e je faccio anche l' applauso. Noi tifiamo perché il governo faccia bene». Insomma, il voto di fiducia della destra-destra difficilmente arriverà. Ma se strada facendo i pentaleghisti riusciranno a imbarcare i diciotto senatori di FdI, la navigazione sarà meno accidentata.
«Con una forte impronta di centrodestra - promette l' onorevole Meloni - potranno fare di conto sui nostri voti». Altrettanto difficili da prevedere sono le mosse di Forza Italia. Il gruppo guidato da Anna Maria Bernini parte compatto, con l' idea della «opposizione chiara e non pregiudiziale» annunciata dall' ex premier Silvio Berlusconi. Ma nel percorso di una legislatura può succedere di tutto, sia che le sirene leghiste riescano ad attrarre qualche senatore azzurro del Nord, sia che il Cavaliere riabilitato riesca a fare «acquisti» rubando pezzi alla maggioranza.
E così, per blindarsi, grillini e padani guardano al gruppo Misto e puntano ai pentastellati espulsi per la storia dei bonifici, Carlo Martelli e Maurizio Buccarella. Tra i 5 Stelle è diffusa la convinzione che i due siano già di fatto arruolati, perché il loro cuore è rimasto con il Movimento.
BERLUSCONI SALVINI MELONI AL QUIRINALE
Se i voti di vantaggio diventassero otto la caravella di Salvini e Di Maio potrebbe prendere il largo. E poi la speranza di leghisti e cinquestelle è che, come di solito avviene una volta ottenuta la fiducia, il governo faccia da calamita per altri senatori.
Gaetano Quagliariello però ne ha viste troppe e, ai leader dei due partiti consiglia di stare attenti alle scelte che si faranno al momento di comporre la squadra: «Se fossi nella nuova maggioranza non metterei al governo nessun senatore, né come ministro né come sottosegretario». Perché è vero che ci sono pur sempre i senatori a vita e che il nuovo regolamento di Palazzo Madama, con l' astensione che non equivale più al voto contrario, «li aiuta un po'». Ma è vero anche, ricorda l' ex ministro, «che per ogni provvedimento bisogna superare lo scoglio del numero legale».