ADDIO AD AGNESE BORSELLINO - L’ULTIMA INTERVISTA: “LE TRATTATIVE FURONO DUE”

Dal "Corriere della Sera" - È morta ieri, a Palermo, Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992. La signora Borsellino, 71 anni, era ammalata da tempo ma non aveva mai rinunciato a testimoniare il proprio impegno nella lotta alla mafia e nella ricerca della verità sull'uccisione del marito. I funerali si svolgeranno domani a Palermo. Numerose la manifestazioni di cordoglio.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordato la sua «esemplare sobrietà e misura in tutte le occasioni di pubblica celebrazione della figura del marito, la personale gentilezza e amichevolezza sempre mostrata nei miei confronti». Enrico Letta ha parlato di una donna «simbolo di coraggio e rispetto: Agnese Piraino Leto non è mai venuta meno ai valori forti ai quali lei e suo marito hanno improntato la loro vita».

La presidente della Camera Laura Boldrini ne ha sottolineato «la riservata fermezza della sua battaglia per la legalità, la tenacia con la quale ha reclamato giustizia». E il presidente del Senato Pietro Grasso: «È morta una persona meravigliosa. Ma non morirà con lei la voglia di sapere: continuerò a tenere accanto la sua determinazione, quella con la quale ha condotto per vent'anni una battaglia di giustizia. Una battaglia che vinceremo».

2 - ADDIO A AGNESE BORSELLINO. L'ULTIMA INTERVISTA: «LE TRATTATIVE FURONO DUE»
Felice Cavallaro per il "Corriere della Sera"

L'ultima volta che, appena dimessa dall'ospedale, s'è intestardita ad uscire da casa per una cerimonia ufficiale sulla sedia a rotelle, raffinata nei suoi rasi a copertura delle bende attorno a braccia sempre più esili, l'ha fatto sette mesi fa per l'inaugurazione della nuova sede della Dia a Palermo, fra i saloni di Villa Ahrens.

Un modo per incoraggiare chi combatte «corrotti e corruttori, ricattati e ricattatori», come sussurrò Agnese Borsellino in un inedito sfogo con il cronista del «Corriere» indicando la causa della strage di via D'Amelio: «Ci furono due trattative Stato-mafia. E mio marito fu ucciso per la seconda. Quella che doveva cambiare la scena politica italiana».

Rivelazione sussurrata prima di un abbraccio al ministro Annamaria Cancellieri: «La mia presenza qui è un miracolo, un atto d'amore verso la polizia di Stato». Ultimo flash ufficiale di un'esistenza devastata dall'apocalisse di via D'Amelio dove nel 1992 con cinque agenti di scorta fu ucciso Paolo Borsellino, l'uomo che Agnese Pirajno Leto, 71 anni, figlia di un alto magistrato, aveva sposato nel 1968, un matrimonio felice, tre figli.

Tutti vicini ieri sera nella casa di via Cilea: Lucia, 44 anni, proprio in quei giorni di Villa Ahrens designata assessore alla Salute del governo Crocetta, Manfredi, 41 anni, commissario di polizia a Cefalù, e Fiammetta, 40.

Resteranno di questa gran donna che chiese di essere ascoltata dalla Commissione antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu le sferzanti battute rivolte contro l'ex procuratore di Palermo Giammanco, contro il generale dei carabinieri Subranni, contro l'ex ministro Nicola Mancino.

Come confidò quel giorno di metà ottobre al Corriere, davanti a funzionari e amici devoti, compreso Fabio Granata, allora componente della commissione Pisanu: «Io ho centellinato le mie parole in questi anni. Attendevo il momento opportuno». Un riferimento diretto alle rivelazioni rilasciate alla Procura di Caltanissetta, al procuratore Sergio Lari, all'aggiunto Domenico Gozzo, ai magistrati impegnati sulla cosiddetta «trattativa Stato-mafia».

«Il mio cervello è l'unica cosa rimasta sana in questo corpo che mi lascia piano piano. Entro ed esco dall'ospedale per potere almeno resistere e parlare quando è necessario...». E poi, ripetendo una bordata già echeggiata ad Annozero: «Io sono una vedova di guerra».

Mancino s'era più volte difeso nei mesi precedenti, anche per la polemica sulle telefonate con il Colle, ma Agnese fu determinata nel giudizio tranciante: «Mancino, se proprio voleva, doveva telefonare a Loris D'Ambrosio a casa, incontrarlo al bar, ma non chiamarlo al Quirinale mettendo nel mezzo quel galantuomo di Napolitano. È gravissimo il comportamento di Mancino. Non mi fido di lui. Perché ricordo cosa mi disse mio marito: "Al Viminale ho respirato aria di morti". E Mancino non ricorda di averlo visto nei suoi uffici nel luglio '92».

Esplicita la convinzione, la rivelazione della signora Agnese quella mattina, prima dell'inaugurazione: «Mio marito fu ucciso per la seconda trattativa. La prima trattativa c'era già stata. La seconda doveva cambiare tutto, fare arrivare sulla scena politica nuovi personaggi». E giù dura sul Paese da ricostruire: «Bisogna cambiare questa Italia di corrotti e corruttori, di ricattati e ricattatori, tutti che si tengono per mano come bambini in girotondo. Al centro schiacciano l'Italia. Si tengono fra loro stritolando un Paese.

Ecco perché non ne posso più di sentire parlare di antimafia e di legalità in bocca a troppi che non potrebbero fiatare. La gogna ci vorrebbe, anche per chi riceve una comunicazione giudiziaria. Parlo della gogna del ridicolo, delle vignette, insomma un metterli a nudo invece di ritrovarceli protagonisti della vita pubblica».

Posizioni negli ultimi mesi sempre più vicine a quelle dei giovani delle «Agende rosse», guidate dal cognato, Salvatore Borsellino, il primo a dare ieri mattina la notizia con un post su Facebook: «È morta Agnese. È andata a raggiungere Paolo. Adesso saprà la verità sulla sua morte».

Un riferimento diretto al mistero di quell'agenda rossa sparita dalla borsa che il magistrato teneva sempre con sé. Uno dei buchi neri indicati da Agnese perché non si fermi la ricerca della verità.

3 - COSÌ HA LOTTATO PER LA VERITÀ
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Due verbali d'interrogatorio resi alla Procura di Caltanissetta nel 2009 e nel 2010 sono il segno di una battaglia che la signora Agnese non voleva abbandonare. Rappresentano un'eredità affidata a chi è chiamato a indagare ancora sulla morte di Paolo Borsellino, più di vent'anni dopo. Raccontò cose terribili confidatele dal marito, che ora sono agli atti del nuovo processo sull'eccidio di via D'Amelio e in quello palermitano sulla cosiddetta trattativa fra Cosa nostra e le istituzioni al tempo delle bombe.

Anche di quel «colloquio tra la mafia e alcuni pezzi "infedeli" dello Stato» le parlò il magistrato, poco prima di essere assassinato. Sempre avaro di dettagli, perché «quando io chiedevo qualcosa in più del semplice fattarello diciamo umano, lui mi diceva che non voleva mettere in pericolo me». Ma i «fattarelli» di cui la mise a parte erano tutt'altro che trascurabili, perché nascondevano l'isolamento che accompagnò Borsellino negli ultimi due mesi di vita, dopo l'omicidio di Giovanni Falcone.

«È stata una cosa moooolto inquietante... - si legge letteralmente nella trascrizione dell'interrogatorio in cui la signora Agnese riferì del contrasto con chi non l'aveva avvisato della segnalazione su un possibile attentato ai suoi danni -. Mio marito non era amato assolutamente in Procura». Fino al ricordo più indelebile: «Paolo mi disse "la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno".

Queste sono parole che sono scolpite nella mia testa, e sino a quando sono in vita non potrò dimenticare». Fece dei nomi, la vedova di Paolo Borsellino, e tra i chiamati in causa qualcuno reagì tirando in ballo la salute sempre più debole della donna (indicando la malattia sbagliata, peraltro). Anche questo ha dovuto subire la signora Agnese per difendere la memoria del marito. E la sua. Lasciando un'eredità che non deve andare perduta.

 

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