IL MINISTRO DEI KAZAKI SUOI - ALFANO PER SALVARE LA FACCIA E' RIUSCITO A METTERSI CONTRO TUTTO IL VIMINALE

Guido Ruotolo per "la Stampa"

Squilla a vuoto il telefono della addetta stampa del ministro. Ministro «part-time», lo chiamano al Viminale: «Si ferma un paio d'ore, poi magari c'è un impegno da sbrigare che lui di solito delega ...».

È un giorno di lutto, al ministero. Di amarezza per le «teste che stanno per saltare», e di sfoghi. «Siamo rimasti schiacciati in un gioco più grande di noi. Vittime di una lotta politica in corso che ci ha messo in mezzo». Chi parla è uno dei massimi vertici del Viminale che si ritrova al centro dell' «affaire Shalabayeva», la moglie del dissidente kazako prelevata da un esercito di poliziotti in armi e fatta salire su un volo privato del governo del Kazakhstan.

Quando si sfoga uno dei vertici del Viminale, il ministro dell'Interno Angelino Alfano deve ancora parlare in Senato e dopo le dimissioni del capo di gabinetto, il prefetto Giuseppe Procaccini, si aspettano altre decisioni drastiche.

Dolore e amarezza in chi risponde al telefono. E che comunica quel guardarsi allo specchio senza riconoscersi in quella immagine di funzionari inetti e incapaci, colpevoli di non aver informato il ministro, di essere stati più realisti del re nell'assecondare i desiderata di un ambasciatore di un paese il cui dittatore è amico di Silvio Berlusconi.

Quell'immagine è un colpo di spugna che cancella storie personali e professionali esaltanti di un gruppo di «sbirri» e «prefettizi» le cui carriere professionali coincidono con gli ultimi quarant'anni di storia del Paese. E che li ha visti ciascuno nel proprio ruolo, coinvolti nella stagione del riscatto dello Stato contro il terrorismo e la mafia. O capaci di affrontare nuove emergenze, come i flussi disperati di decine di migliaia di immigrati senza documenti che negli anni hanno invaso il nostro Paese. Dall'emergenza Albania alla Libia.

«Un anno fa - si sfoga uno "sbirro" - la Cassazione ha reso esecutiva la condanna per il G8 di Genova, facendo fuori il gruppo di eccellenza dei nostri investigatori antimafia, oggi "prefettizi" e "sbirri" si ritrovano in una vicenda più grande di loro e proprio per questo pagheranno un prezzo altissimo...». Insomma, criminali e inetti.

Quello su cui riflettere è che anche questa vicenda dimostra, per dirla con chi istituzionalmente si occupa del comparto sicurezza, che esiste una «sindrome Ruby». Nel momento in cui l'ufficio del ministro dell'Interno delega al prefetto Procaccini di ricevere l'ambasciatore kazako, tutto ciò che accade poi va nella direzione di assecondare la direttiva che arriva dall'alto: risolvere un problema, una richiesta.

È dunque l'impronta del ministro che segna i comportamenti conseguenti delle forze di polizia. Qui, poi, abbiamo un ministro che è anche segretario di un partito e vicepremier del governo. Pur di accontentarlo, evidentemente - anche se a sua insaputa - si sono superati i limiti della correttezza e del rispetto dei diritti umani e della legge.

«Ai tempi del ministro Maroni la lotta per respingere gli sbarchi non è andata per il sottile - dice una "sbirra" - ma non ho mai visto portare qualcuno a un Cie e farlo partire dopo poche ore».

Se è vero che la moglie di Ablyazov si è dichiarata moglie di un dissidente che aveva la protezione umanitaria in Inghilterra, a poche ore dal suo forzato trasferimento in patria e la risposta della poliziotta è stata «mi dispiace... è troppo tardi....», questo conferma quella «sindrome Ruby», per cui si doveva «liberare» la nipote di Mubarak come in questo caso si doveva prendere il «ricercato». Il marito dunque. E lei che c'entra?

Il ministro Alfano al Senato ha sostanzialmente individuato in un «cortocircuito» informativo il problema. Non solo lui non è stato informato ma nella fase esecutiva dell'operazione il questore di Roma Fulvio Della Rocca non ha comunicato al Viminale gli sviluppi della situazione. Anche Alessandro Raffaele Valeri, il capo della segreteria del Dipartimento di Pubblica sicurezza nei fatti sarà sostituito. E il capo della Polizia dovrà riorganizzare il Dipartimento immigrazione.

Si assolve il ministro Alfano mentre nelle stanze vuote del Viminale riecheggiano quegli amari commenti di chi si ritrova sul banco degli imputati: «Siamo stati schiacciati in un gioco più grande di noi...».

Spetterà dunque alla sapienza del nuovo capo della Polizia, il prefetto Alessandro Pansa, ricucire una ferita profonda. A ricostruire un gruppo dirigente del Dipartimento di Pubblica sicurezza, dello stesso Viminale. E non sarà facile.

 

servo encomiok vignetta alfanoANGELINO ALFANO E MOGLIE Angelino Alfano Angelino Alfano VIMINALEMUKTHAR ABLYAZOV E LA FIGLIA ALUA E LA MOGLIE ALMA SHALABAYEVAPREFETTO ALESSANDRO PANSA

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