AMERICANI CON IL FISCAL CLIFF - I RICCHI NON LASCERANNO GLI STATES ANCHE DOPO L’AUMENTO DELLE TASSE: PERCHE’? - PRIMA DI TUTTO: LA LEGGE DEGLI STATI UNITI PREVEDE CHE ANCHE CHI VIVE E LAVORA ALL’ESTERO PRESENTI LA DENUNCIA DEI REDDITI IN AMERICA - MA C’E’ ANCHE UN ASPETTO “ETICO”: NON MANCANO I PAPERONI CHE RITENGONO SIA GIUSTO PAGARE DI PIU’ - E IN FONDO, IL 20% SU CAPITAL GAINS E DIVIDENDI NON E’ POI COSI’ MALE…

A. Zamp. per "la Repubblica"

«Gli americani ricchi non lasceranno il paese per pagare meno tasse com'è successo in Francia con Gerard Depardieu». A dirlo con tono convinto, e a spiegarne il perché all'indomani dei rialzi fiscali per i più abbienti, è uno dei maggiori esperti sulla psicologia e le problematiche della parte più opulenta della società. Robert Frank, 44 anni, è infatti l'autore di un saggio-inchiesta, Richistan, oltre a curare, prima per il Wall Street Journal, ora per la Cnbc, una rubrica dedicata alla «wealth», alla ricchezza.

Secondo lei, Robert Frank, qual è il significato simbolico dell'aumento delle aliquote fiscali sui redditi più alti?
«Pur essendo il primo rialzo in oltre 20 anni, non dobbiamo dimenticare che, ben prima del voto del Congresso, una parte consistente dei ricchi si era detta favorevole a pagare di più. Intendiamoci: a nessuno piacciono le tasse. Ma si erano resi conto, a cominciare da Warren Buffett, di dover contribuire maggiormente ai problemi del paese e speravano, dopo essersi sentiti perseguitati per quattro anni dalla Casa Bianca, di voltare pagina».

E adesso che succederà? E perché non fuggiranno come i loro colleghi francesi?
«Per due ragioni: la prima è che la legislazione fiscale degli Stati Uniti rende quasi impossibile evitare le tasse andando all'estero. I cittadini americani sono obbligati a presentare la denuncia dei redditi anche se vivono e lavorano all'estero. E comunque Singapore sembra troppo lontana da New York e la Svizzera non è più affidabile come una volta. Semmai si sposteranno da New York e dalla California, dove le tasse statali sono più alte, in posti come la Florida».

E la seconda ragione per cui non scapperanno?
«È forse la più importante: anche se coloro che guadagnano più di 1 milione di dollari finiranno con l'assorbire il 90 per cento dell'incremento delle entrate, l'accordo non è affatto male per i più ricchi. I quali traggono buona parte degli introiti dai dividendi e dai capital gains: le cui aliquote fiscali saranno del 20 per cento, quindi abbastanza contenute.
Non solo: molti di loro hanno approfittato degli ultimi giorni del 2012 per vendere azioni per decine di miliardi di dollari, pagando le vecchie imposte, e ora vedono nel rialzo di Wall Street qualcosa che li farà guadagnare di più di quel che perdono con le tasse».

Negli ultimi anni il tema della ineguaglianza è stato al centro del dibattito politico americano. Obama ne ha fatto il cavallo di battaglia: dopo l'accordo, pensa che la problematica sarà messa a tacere?
«Non penso proprio. Da un lato, infatti, l'ineguaglianza è ancora così grande e in crescita che continueranno i tentativi dei democratici di ottenere una maggior giustizia, ad esempio sui tagli alla spesa. Da un altro lato il drappello di miliardari è politicamente molto diviso: ci sono progressisti come Buffett e George Soros, e conservatori come il fratelli Koch o Sheldon Adelson. E le due fazioni continueranno a confrontarsi. Mi faccia dire un'ultima cosa: Buffett diceva che era ingiusto che la sua segretaria pagasse un'aliquota fiscale più alta della sua. Con la nuova legge la segretaria continuerà a versare proporzionalmente di più».

 

 

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