orlando letta

PRIMA TOLGONO IL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI E POI SI FANNO PAGARE DA NOI LA CRISI - DA CINQUE ANNI I DIPENDENTI DEL PD SONO IN CASSA INTEGRAZIONE (E NELL'ELENCO C'E' PURE GIANNI CUPERLO!): LETTA DA PREMIER HA ABOLITO I CONTRIBUTI DIRETTI ALLA POLITICA, CHE OGGI INFATTI NON RIESCE A FAR QUADRARE I CONTI - I DEM HANNO 122 LAVORATORI IN CIGS, INIZIATA NEL 2017. IN AUTUNNO SCADRÀ: UNA GRANA IN PIÙ IN CAMPAGNA ELETTORALE...

Giacomo Amadori per “La Verità

 

ENRICO LETTA

Si annuncia un autunno caldo per il Pd. Nel 2014 il governo di Enrico Letta ha tagliato il finanziamento ai partiti, quello di Matteo Renzi ha dato fondo alle ultime risorse del partito per vincere il referendum sulla riforma costituzionale e adesso, come il gatto che si morde la coda, lo stesso Pd si trova sull'orlo dell'abisso con la cassa integrazione straordinaria agli sgoccioli (la scadenza degli ammortizzatori sociali è prevista per l'autunno) per i suoi 122 dipendenti. Lavoratori che nel 2020 dovrebbero essere costati circa 6,5 milioni di euro, per una media di 53.000 euro l'uno.

 

gianni cuperlo

Il più noto dei cassaintegrati è Gianni Cuperlo, ex candidato perdente alla segreteria contro il fu Rottamatore. Il decreto 149 del 28 dicembre 2013, convertito in legge nel febbraio del 2014, ha abolito, sull'onda della demonizzazione dei costi per la politica, il finanziamento pubblico e introdotto un sistema di contribuzione volontaria.

 

gianni cuperlo

Il medesimo decreto estendeva ai partiti politici la normativa sulla cassa integrazione salariale e i contratti di solidarietà. A tal fine, il provvedimento autorizzava la spesa di 15 milioni di euro per il 2014, di 8,5 milioni per il 2015 e di 11,25 milioni di euro a decorrere dal 2016, alla quale si provvedeva attraverso l'utilizzo di quota parte dei risparmi conseguenti alla progressiva riduzione del finanziamento pubblico.

 

andrea orlando 1

Non sappiamo se ci troviamo di fronte a una nemesi, a un contrappasso o a una norma scritta con astuzia, fatto sta che a quel piccolo tesoretto in questo momento sta attingendo soprattutto il Pd.

 

Purtroppo non è facile avere una quadro chiaro della situazione, anche perché sia all'Inps (presieduta da Pasquale Tridico) che al ministero del Lavoro, guidato dal piddino Andrea Orlando, il dicastero che emette i decreti autorizzativi di pagamento e quindi conosce anche gli importi, non sono stati particolarmente generosi con le informazioni. Anzi si sono chiusi a riccio e per questo c'è da augurarsi che qualche parlamentare faccia un'interrogazione su un tema che evidentemente viene ritenuto particolarmente sensibile.

 

andrea orlando a Cernobbio

Sul portale del ministero si legge che l'intervento straordinario di integrazione salariale può essere chiesto quando la sospensione o la riduzione dell'attività lavorativa sia causato da riorganizzazione o crisi aziendale, da contratti di solidarietà. La durata per il primo motivo può essere al massimo di 24 mesi «anche continuativi, in quinquennio mobile».

 

Per lo stato di crisi sono previsti solo 12 mesi e per avere una seconda autorizzazione devono essere passati almeno altri otto mesi dalla precedente. Nel terzo caso si oscilla dai 24 ai 36 mesi.

 

CASSA INTEGRAZIONE

L'unico che ci ha degnati di una risposta (all'ufficio stampa per una settimana si sono comportati come le tre note scimmiette), è stato il direttore generale dell'Inps Vincenzo Caridi: «Le difficoltà di risposta probabilmente riguardano l'oggetto della richiesta. Le scelte relative alla cassa integrazione attengono all'azienda così come il contingente di personale da destinare ad essa. Per questo motivo il dato che chiede può reperirlo esclusivamente presso i diretti interessati.

 

L'Inps, in quanto ente di previdenza può fornire solo dati statistici opportunamente anonimizzati sui servizi di sua competenza». Quando abbiamo fatto notare che si trattava di un dato di sicuro interesse pubblico, Caridi ha replicato così: «Certo che sì. Ma non può essere l'ente previdenziale a fornire numeri individuali se non lo fa il datore di lavoro».

 

pd nazareno

E allora ci siamo rivolti ai principali partiti per fare chiarezza. Lega, Fratelli di Italia e Movimento 5 stelle hanno negato di avere lavoratori in cassa integrazione. Da Forza Italia, invece, nessuna risposta. Comunque la situazione più delicata è, a quanto ci risulta, quella del Pd.

 

Nei giorni scorsi il tesoriere Walter Verini e la responsabile delle risorse umane Antonella Trivisonno ci hanno fatto pervenire la loro versione su carta intestata del partito. Dalla tesoreria ci tengono subito a far sapere di aver rispettato tutte le norme sull'accesso agli ammortizzatori sociali e sulle loro proroghe. «Il Pd, come altri partiti, ha avuto la necessita di richiedere la cassa integrazione» ammettono.

 

sede del pd largo del nazareno

E precisano che la Cigs riguarda tutti i 122 dipendenti e che la percentuale di riduzione oraria e in media del 40%. Quindi puntualizzano il motivo del ricorso alla Cassa a partire dal settembre del 2017: «È stato necessario a causa delle difficoltà finanziarie derivanti dalle uscite della campagna referendaria del 2016 e accentuate - a seguito delle elezioni politiche del 2018 - dalla consistente riduzione dei parlamentari e delle conseguenti entrate attraverso le "erogazioni liberali"».

 

Dal Nazareno precisano che «all'epoca fu deciso di intraprendere questo percorso di tutela occupazionale perché il Partito democratico non ha mai voluto considerare l'ipotesi di procedere a riduzione del personale attraverso licenziamenti dei propri lavoratori».

 

sede del pd largo del nazareno 2

E così l'1 settembre 2017 il Pd ha avviato la cassa integrazione con la causale «crisi».

Successivamente l'ha mutata in «riorganizzazione» fino al periodo della pandemia, quando ha fatto ricorso alla cassa Covid. Terminata l'emergenza sanitaria, il partito ha richiesto «un'ulteriore proroga della Cigs per la riorganizzazione».

 

Dal Pd rimarcano, però, «di aver usufruito, nel pieno rispetto della normativa, di sole due proroghe della Cigs» e che «queste sono state motivate dalla necessita di aver maggior tempo per dare attuazione al programma di risanamento, evitando cosi l'avvio di procedure di licenziamento collettivo».

 

sede del pd largo del nazareno 3

E che cosa prevede questo piano? «Azioni finalizzate all'incremento della raccolta fondi mediante il 2x1000» e delle «erogazioni liberali, a partire da quelle degli eletti»; «riorganizzazione interna di uffici e strutture»; «attivazione di percorsi di ricollocamento».

 

La capa del personale Trivisonno, contattata dalla Verità, sottolinea: «Confermiamo che il partito non ha alcuna intenzione di licenziare i propri lavoratori, indipendentemente dalla campagna elettorale».

 

ENRICO LETTA

Dagli uffici di via Sant'Andrea delle Fratte aggiungono: «Il finanziamento l'ha tolto non Letta, ma il Parlamento che approvò quasi all'unanimità il decreto del governo». Al Pd è rimasto un ricco 2x1000 che nelle dichiarazioni del 2021 valeva 6,9 milioni di euro (davanti Fratelli d'Italia -2,7 milioni - e Lega -1,8-), una voce, però, in discesa rispetto agli anni precedenti: nel rendiconto del 2020 il 2x1000 valeva 7,4 milioni, nel 2019 addirittura 8,4. Una diminuzione prevista dal tesoriere Verini, il quale nella relazione al rendiconto del 31 dicembre 2020 aveva annotato: «Per quanto riguarda i proventi, e in particolare il 2x1000, è ragionevole e prudente prevedere una riduzione dello stesso legata alla riduzione del reddito medio pro capite dei contribuenti, conseguente alla difficile situazione economica derivante dalla pandemia».

 

enrico letta

Il Pd, come detto, si troverà senza Cigs alla vigilia delle elezioni. Ma Verini getta acqua sul fuoco: «Per noi la prima cosa è tutelare il lavoro. Cercheremo di risolvere il problema con il contributo dei militanti. Siamo un partito che può contare su mezzo milione di cittadini che spontaneamente inseriscono il codice M20 nella loro dichiarazione dei redditi. Siamo la formazione politica che ha più sottoscrittori e lavoreremo per incassare ancora di più dal 2x1000».

 

Ma come si è visto, negli ultimi anni, queste entrate sono diminuite anziché aumentare. Gli altri proventi, circa 2,3 milioni di euro l'anno, provengono dai versamenti dei parlamentari che portavano gli introiti del 2020 derivanti dalla militanza a circa 9,8 milioni, contro gli 11,2 dell'anno prima. Gli oneri per la «gestione caratteristica» del partito ammontano complessivamente a 7.731.000, di cui 4,43 milioni destinati al personale, tra stipendi (2,3), contributi (0,9), trattamenti di fine rapporto (0,34) e altri costi (0,88).

 

E se il conto non va in passivo è proprio grazie alla Cigs che smaltisce il 40 per cento del lordo complessivo di salari e oneri sociali (5,3 milioni), ovvero, a spanne, circa 2,1 milioni l'anno, per un totale di oltre 10 in un lustro.

 

ENRICO LETTA

Alla fine, nell'ultimo esercizio reso pubblico, risulta un avanzo di quasi 2 milioni di euro. Sul futuro, però, sembrano addensarsi nuvoloni neri. Ma dal Pd predicano tranquillità: «Abbiamo, con accordi sindacali, intavolato protocolli di incentivi all'uscita. Noi una sola parola non prendiamo in considerazione: licenziamenti. Altra cosa è accompagnare alla pensione con qualche incentivo, in pieno accordo con l'Rsu interna e con i lavoratori. In questo senso abbiamo alleggerito il carico dei costi. È vero che oggi questi sono ancora superiori alle entrate e che siamo riusciti a tenere la baracca in equilibrio anche grazie agli ammortizzatori sociali. Ma quando questi termineranno, nel prossimo autunno, cercheremo di aumentare le entrate, sempre in maniera iper trasparente».

 

Il messaggio è chiaro: se gli elettori del Pd vogliono evitare il licenziamento dei lavoratori del loro partito del cuore devono aprire il portafogli, anche attraverso il 2x1000. Prima che sia troppo tardi.

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