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DAGOREPORT - CHE COSA FRULLA NEL CAPOCCIONE DI DONALD TRUMP? QUAL E' IL SUO PIANO PER UN NUOVO ORDINE MONDIALE, A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA? - L'AFFARISTA FATTOSI PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI È CONVINTO CHE RILEGITTIMANDO LA RUSSIA DI PUTIN COME POTENZA MONDIALE, MOSCA SI SLEGHI DALL’ABBRACCIO COL SUO NEMICO N°1, LA CINA, E MOLLI L’IRAN AL SUO FATAL DESTINO - MA IL TRUMPONE LA FA TROPPO FACILE, AL PUNTO DA PROVOCARE PERPLESSITÀ IN UN ALLEATO DI FERRO COME IL SAUDITA MOHAMMED BIN SALMAN (NON E' UN CASO CHE RIAD OSPITI IL VERTICE PER LA PACE IN UCRAINA, ANZICHE' NELLA NEUTRALE SVIZZERA) – IL DIALOGO IMMAGINARIO TRA IL PRINCIPE EREDITARIO SAUDITA E “THE DONALD” E TUTTE LE VARIABILI CHE TRUMP NON PRENDE IN CONSIDERAZIONE: DALLA REAZIONE CINESE ALLA DEPORTAZIONE DI DUE MILIONI DI PALESTINESI, DALLE SPACCATURE NELL’ISLAM A TAIWAN, PASSANDO PER L'EUROPA...
DAGOREPORT
DONALD TRUMP E VLADIMIR PUTIN - MEME BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA
Il mondo farebbe bene a preoccuparsi per il nuovo ordine mondiale che ha in mente Donald Trump. Dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca il tycoon ha iniziato a calpestare alleati, diritto e organizzazioni internazionali, scaricando al cesso quattro anni del multilateralismo bideniano.
Da immobiliarista cinico, Trump vuole rapporti bilaterali, one-to-one, a differenza dei precedenti presidenti Usa, in cui decide lui e l’altro obbedisce. Viceversa, "You are fired" ("sei licenziato"), come tuonava all'epoca di "The Apprentice".
Da immobiliarista con la mentalità di un capomastro, le sue idee sulla “pacificazione” del mondo sono schematiche ed elementari. Ma i tasselli del puzzle non combaciano e i metodi per realizzarlo ancora più strampalati.
Ora che ha deciso di dare di nuovo legittimità a Vladimir Putin, riconoscendo la Russia come potenza mondiale, Trump si aspetta, in modo naturale, che Mosca si sleghi dall’abbraccio mortale con la Cina e che molli l’Iran al suo destino.
DONALD TRUMP - VOLODYMYR ZELENSKY - MEME BY EDOARDO BARALDI
D’altronde, il Tycoon è convinto che Putin sia sì un interlocutore da prendere in considerazione, ma con i giusti limiti: sotto il ciuffo arancione, Trump pensa che l’ex agente del Kgb altro non sia che l’esponente di un mondo novecentesco che basava la sua volontà di potenza sulle testate e la deterrenza nucleari.
Niente a che vedere con lo strapotere tecnologico dei cinesi, gli unici a poter competere con gli Stati Uniti. La Russia, insomma, agli occhi di Donald, non conta un cazzo, al massimo è un avversario minore, sostanzialmente innocuo per Washington.
Il suo pragmatismo spicciolo sposato a un tatticismo compulsivo (domani è un altro tweet) ha spinto il neopresidente a scegliere Riad come sede dei colloqui di pace con la Russia. Un’anomalia diplomatica, visto che una guerra tra due paesi europei non dovrebbe essere risolta nel Golfo Persico. Sarebbe bastata una Svizzera qualunque per sedersi intorno a un tavolo insieme a quel rotwailer di Lavrov e ai suoi portaborse.
Donald Trump Mohammad bin Salman
E invece, la scelta è ricaduta, non a caso, su un Paese che non ha aderito alla Corte penale internazionale (che ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Putin) e ha già avuto un ruolo nella distensione Usa-Russia, in particolare nel maxi-scambio di prigionieri di agosto 2024, quando fu rilasciato, tra gli altri, il giornalista del “Wall Street Journal”, Evan Gershkovich.
Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, regnante de facto nel petrol-regno, in questi anni è stato scaltro nel tenersi le mani libere e proporsi di volta in volta come interlocutore o degli Usa o della Russia.
Bin Salman è riuscito a riassumere credibilità internazionale: nel 2018 l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi lo aveva fatto diventare una specie di criminale internazionale. Ma la guerra in Ucraina e il suo ruolo cruciale di secondo produttore al mondo di petrolio (dopo gli Stati Uniti) lo hanno reso un interlocutore indispensabile per tutti.
mohammed bin salman trump visit da cbc
Il sogno di Bin Salman è diventare il leader di un Medio Oriente stabilizzato entro il 2030, giusto in tempo per veder realizzato il suo mega progetto Vision, un maxi piano di modernizzazione e rinnovamento del Paese, sia dal punto di vista infrastrutturale che sociale, che si è dato come limite proprio il 2030. Senza contare che nel 2034 Riad ospiterà i mondiali di calcio, un evento che sancirà la consacrazione globale della potenza saudita.
In cambio della disponibilità ad accogliere i negoziati con la Russia, Bin Salman avrà le porte aperte per investire cifre iperboliche negli Stati Uniti, da cui già ottiene armi e soprattutto jet militari.
Tutto bene? Nì, perché Bin Salman, grande amico della famiglia Trump (grazie ai buoni uffici di Jared Kushner, marito di Ivanka e vera mente degli Accordi di Abramo per la pacificazione del Medio Oriente), è rimasto un po’ disorientato dalle sparate del tycoon a stelle e strisce.
volodymyr zelensky - trattative di pace - vignetta by osho
Le argomentazioni proposte da Trump a Bin Salman sono infatti apparse, agli occhi del principe saudita, confusionarie e deboli, se non altro da un punto di vista strategico (d’altronde Trump si muove a fiuto senza una visione di lungo periodo). Le conversazioni tra i due hanno fatto emergere da un lato il metodo approssimativo del tycoon arancionato, dall’altro la preoccupazione del principe ereditario.
Immaginiamo il botta e risposta.
Trump: La Russia non rappresenta un problema, perché Putin non sarà più alleato dell’Iran, e una volta isolata Teheran avremo modo di negoziare con gli ayatollah da una posizione di forza. Se non accettano, ci penserà Netanyahu con le nostre bombe ad annientarli. Quindi, firma gli Accordi di Abramo, trova un’intesa con Israele.
MBS: Se dobbiamo essere realisti, due milioni di palestinesi non possono essere deportati da Gaza… E l’Iran potrà anche essere stato mollato dalla Russia, ma ha comunque il sostegno della Cina…
Trump: Tranquillo! Sto creando con Netanyahu una struttura intergovernativa che fornirà ai palestinesi degli incentivi economici per l’uscita volontaria da Gaza.
E tu, con la forza del tuo patrimonio, dovrai convincere l’Egitto ad accogliere i palestinesi. D’altronde, Al Sisi è un amico e noi gli diamo soldi e armi.
MBS: E se poi Pechino stringe un accordo con Teheran?
Trump: Xi Jinping capirà presto che la Russia non è più con lui. Fatti fuori Hezbollah e mezza Hamas, i pasdaran non avranno più capacità di nuocere.
MBS: E come la mettiamo con i soldi che il Qatar dà ad Hamas?
VIGNETTA ELLEKAPPA - DONALD TRUMP E LA STRISCIA DI GAZA
Trump: L’Emiro chiuderà i rubinetti e non sono preoccupato neanche per Erdogan, che tra l’altro ora sta facendo la pace con i curdi. Alla Turchia daremo la Siria e non ci darà più problemi.
MBS: E l’Unione Europea?
Trump: A loro ci penso io. Sono 27 paesi e sono divisi. Gli dirò di comprare armi e gas dagli Stati Uniti e di non fare affari con la Cina. E in cambio, continuerò a mantenere viva la Nato lasciando i soldati americani in Europa.
L’immaginario dialogo tra i due aiuta forse a comprendere quanto poco malleabile sia il pensiero trumpiano, che trascura molte variabili.
DONALD TRUMP BENJAMIN NETANYAHU
La prima riguarda il ritorno della Russia nel G7 (che a quel punto tornerebbe a essere G8), auspicato dallo stesso Trump. Una decisione del genere implica infatti che l’Unione europea rimuova le sanzioni verso Mosca, cosa che i leader del Vecchio continente non sembrano affatto intenzionati a fare (anzi, ieri hanno annunciato un nuovo pacchetto di misure economiche contro la Russia).
Ma anche se lo facessero, a quel punto sarebbe inevitabile la riapertura di oleodotti e gasdotti russi verso l’Europa. Un’eventualità illogica rispetto al piano trumpiano di forzare l’Ue ad acquistare risorse naturali dagli States.
Altra variabile che la faciloneria di Trump non considera: le divisioni dell’Islam. È vero che, rotto l’asse della resistenza con Hamas e Hezbollah, l’Iran è stato di fatto depotenziato, e se la Russia tornasse nell’orbita euro-atlantica Khamenei non avrebbe più un importante alleato (Teheran e Mosca si scambiano armi e droni).
D’altro canto, però, ciò non risolverebbe l’annosa questione degli scazzi interni al mondo musulmano. L’Iran, pur depotenziato, resterebbe il punto di riferimento del mondo sciita, che è presente, come minoranza, in tutti i Paesi della penisola araba, e oltre (Iraq, Siria, Bahrein, senza considerare lo Yemen, dove i sauditi combattono da anni una sanguinosa guerra).
telefonata tra donald trump vladimir putin - vignetta by osho
L’isolamento non sarebbe affatto automatico, e di sicuro non implicherebbe il controllo delle minoranze sciite, che potrebbero continuare a destabilizzare l’area, come fanno i ribelli Houthi foraggiati dall’Iran.
Ancora, Trump la fa facilissima sulla crisi umanitaria a Gaza. Ma smollare 2 milioni di palestinesi all’Egitto e Giordania non è affatto facile.
Al Sisi è certamente un solido alleato degli Usa, come del resto il giordano Abdullah, ed è vero che senza i miliardi statunitensi il Cairo si ritroverebbe con le tasche e gli arsenali vuoti, e i kalashkivov nelle piazze, ma anche il generale-dittatore ha le sue beghe interne. L’Egitto ha un’altissima disoccupazione, e accollarsi un milioni di sfollati palestinesi sarebbe come mettere in una polveriera una bomba con la miccia già accesa.
La popolazione di Gaza e Hamas sono talmente compenetrati l’uno con l’altro che sarebbe automatico un ritorno della Fratellanza musulmana, casa madre del movimento terrorista che fu troncata in Egitto soltanto da un golpe di Al Sisi nel 2013.
Infine, il punto interrogativo più grande riguarda la Cina. Pechino è l’unica potenza in grado di competere per il dominio globale, ancora saldamente in mano agli Stati Uniti. Ma sfanculare gli alleati europei, con dazi e controcazzi, potrebbe portare l’Ue a consegnarsi mani e piedi al bavaglio di seta di Xi Jinping.
E gli stessi cinesi, che a differenza di Trump ragionano guardando sul lunghissimo periodo, sanno di poter mostrarsi come interlocutori seri e affidabili, di fronte alle pazzie trumpiane, pur temendo la fine dell’amicizia “senza limiti” della Russia, che garantiva loro gas e petrolio a bassissimo costo e supporto militare.
Non a caso, il ministro degli esteri cinese Wang Yi, invitato a parlare alla conferenza per la sicurezza di Monaco, si è inerpicato in un elogio del mondo multipolare: “Non è solo una necessità storica, ma una realtà, e noi ci impegniamo per un mondo multipolare ordinato, vogliamo essere una forza costruttiva”. Per poi chiosare: “Cina ed Europa sono partner, non rivali”.
XI JINPING ABBRACCIA VLADIMIR PUTIN
Senza considerare il grosso guaio Taiwan. Trump minimizza i rischi dell’espansionismo cinese nel Pacifico: ritiene infatti che Taipei non sia più un problema, perché ciò che rende l’isola strategica, ovvero le fabbriche di microchip cruciali per l’industri tecnologica statunitense, torneranno negli Stati Uniti.
Ma ignora, o fa finta di ignorare, che l’espansionismo cinese nel Pacifico è una minaccia per molti alleati fondamentali degli Usa nella zona: Giappone, Corea del Sud, Australia, e l’India di Narendra Modi, che ha accolto alla Casa Bianca annunciando una “mega-partnership”. Kiev potrà non essere strategica per la “Fortezza America”, ma il Pacifico bagna anche le coste statunitensi, e la Cina è molto vicina…
VOLODYMYR ZELENSKY CON GLI OCCHIALI
A proposito di Ucraina, Trump vuole Zelensky e gli europei cornuti e mazziati. Chiede al presidente ucraino, che ormai definisce “dittatore” andando oltre la propaganda putiniana, di regalargli 500 miliardi tra terre rare e infrastrutture cruciali del Paese, come “compensazione” per i 340 miliardi che avrebbe speso l’America per l’assistenza a Kiev, e pretende che sia l’Unione europea ad accollarsi i costi della ricostruzione e della futura missione di peacekeeping che dovrebbe monitorare il rispetto della tregua.
Ma è così sicuro che la vecchia Europa, per quanto in frantumi, senza unità né guida politica, si faccia infilare pure questo cetriolone su per le chiappe?
VERTICE EUROPEO PER L UCRAINA A PARIGI
Trump forse non ha notato un dettaglio: al tavolo del vertice europeo sull’Ucraina, convocato da Macron a Parigi, non c’erano soltanto leader dell’Unione, ma anche il segretario della Nato, Mark Rutte, e il premier britannico, Keir Starmer (il Regno Unito è il Paese che in questi anni, dopo gli Stati Uniti, ha dato più armi e aiuti all’Ucraina, al punto che Boris Johnson, a cui a Kiev hanno dedicato anche una statua, nel 2022 sabotò l’accordo di pace mediato da Erdogan assicurando a Zelensky che l’Occidente non l’avrebbe mai abbandonato). Chi vuole isolare, alla fine rischia di finire isolato…
LA FACCIA DI GIORGIA MELONI AL TAVOLO DEL VERTICE EUROPEO PER L UCRAINA
XI JINPING - TAIWAN E CINA
xi jinping vladimir putin vertice brics 2024 foto lapresse
XI JINPING - TAIWAN E CINA
il ritorno a nord degli abitanti della striscia di gaza foto lapresse 4
emmanuel macron keir starmer vertice europeo sull ucraina foto lapresse
il cercapersone in oro regalato da benjamin netanyahu a donald trump