LA BANCA DI FAMIGLIA – NON SOLO BABBO E FRATELLO, L’ETRURIA ERA ANCHE L’ISTITUTO PREFERITO DALLO ZIO DI MARIA ELENA BOSCHI: IL FRATELLO DELLA MADRE (DI CASTIGLION FIBOCCHI, PAESE DI LICIO GELLI) HA CREATO UN RETICOLO DI SOCIETA’ CHE RICEVEVA PRESTITI DALL’ISTITUTO. E CHE HA LASCIATO UN “BUCO” DA 25 MILIONI
Giacomo Amadori per la Verità
«Prendi una banca, trattala male. È questa è l' unica legge che c' è». Nella famiglia Boschi devono essere dei fan di Marco Ferradini e della sua indimenticabile canzone Teorema. Infatti tra le carte della bancarotta della ex Popolare dell' Etruria c' è anche una storia poco raccontata che ha tra i protagonisti lo zio di Maria Elena, Stefano Agresti, fratello della madre Stefania, nato a Spoleto nel 1958 e residente a Castiglion Fibocchi, borgo famoso per il ritrovamento delle liste della P2 di Licio Gelli.
La vicenda riguarda i ricchissimi fidi rilasciati alle società del gruppo Saico, già specializzato nella produzione di pannelli fonoassorbenti, mutui che hanno causato nelle casse dell' istituto un buco da circa 25 milioni di euro. Il colpo è riuscito grazie a un reticolo di sigle, vere e proprie scatole cinesi, in cui il signor Agosti ha avuto un ruolo non da comprimario. Per esempio le Fiamme gialle riassumono in un prospetto tutti gli incarichi ricoperti da Agresti nelle società della holding aretina mentre il management della Saico si adoperava per spedire su un binario morto i soldi di Etruria.
Innanzitutto lo zio della sottosegretaria Maria Elena è stato, tra il giugno 2003 e il gennaio 2010, consigliere d' amministrazione della capogruppo Saico Spa. Sino al 16 marzo 2010 è stato, invece, al vertice di altre società collegate: presidente della Ayr Srl (a partire dal 1998) e consigliere e liquidatore della Saico co Srl (dove era entrato nel 2001); Agresti è stato anche, per quasi quattro anni, presidente della Saico refinish Srl, fallita il 24 maggio 2011.
Ma vediamo come questa galassia di società ha permesso di far perdere a Etruria 25 milioni di euro, divenuti crediti deteriorati. Le società del gruppo Saico hanno quasi tutte scaricato il proprio concordato su una newco, la Se Ambiente Srl, fallita nel 2013 e costituita ad hoc il 4 marzo 2010, a ridosso delle domande concordatarie del 17 marzo. Il 16 marzo Agresti aveva lasciato il gruppo. La Saico Spa, la Energiambiente Spa, la Ayr, la Saico refinish e la Saico co hanno deciso di utilizzare la Se Ambiente come bad company. Un piano che non è riuscito, «nelle more procedurali» solo alla Saico refinish, dichiarata fallita in data 24 maggio 2011.
Agresti, dunque, è stato un dirigente apicale di tre delle società che hanno sfruttato la S.e. Ambiente per liberarsi «di tutti i debiti risultanti dalle scritture contabili». L' azienda «appariva tra l' altro non sufficientemente patrimonializzata in quanto, sebbene il capitale fosse stato deliberato in 1 milione di euro, era stato versato per soli 50.000 euro». La Se Ambiente per gli investigatori «sarebbe rientrata in un articolato piano finalizzato: a evitare il fallimento delle quattro società; ad acquisire a costo zero il patrimonio delle aziende; a rendere difficoltose le azioni di responsabilità nei confronti dei rispettivi organi amministrativi e di controllo».
La prima grande pattumiera del gruppo era stata, però, la Energiambiente: al 31 dicembre 2008 vantava, per esempio, crediti per 2,5 milioni nei confronti della controllante Saico Spa e di 3,6 milioni verso la Saico refinish presieduta da Agresti. A succedere a Energiambiente nel ruolo di discarica è stata la Se Ambiente che non aveva dipendenti e non ha mai svolto attività commerciale.
Visto che nessun istituto voleva darle una fideiussione, i vertici aziendali si sono rivolti a una società milanese con un capitale sociale insufficiente per offrire garanzie bancarie di un certo spessore e rappresentata da due pluripregiudicati (prima di essere intesta a a una pensionata del 1937), uno dei quali si è presentato alla firma con una procura speciale falsa. Gli amministratori dell' Etruria non hanno avuto da ridire neanche su queste garanzie.
Il curatore fallimentare della Se Ambiente, Gionata Bartolini, ricostruisce le criticità che hanno portato al default e i finanzieri riassumono così le sue conclusioni: «Dalle notizie acquisite sul conto delle società concordatarie (principalmente Saico Spa ed Energiambiente Spa) emergeva come, molto probabilmente, il gruppo tendesse a celare uno stato di insolvenza consolidatosi molto prima di quando l' insolvenza sia poi sfociata con la presentazione della domanda concordataria».
stefania agresti madre di maria elena boschi
Per il curatore, essendo la capogruppo Saico Spa già sovresposta con Banca Etruria, è stata creata la Energiambiente (il cui unico scopo era recuperare crediti, senza avere le garanzie): ma la società, puntualizza Bartolini, già a fine 2008, non aveva più margini di continuità aziendale. Insomma il crac matura quando tra i dirigenti più importanti della holding c' è ancora Agresti. Secondo gli investigatori, che le intenzioni del management non fossero delle migliori era deducibile pure dal fatto che la sede della newco è stata spostata in Emilia per sviare le indagini sul futuro fallimento della società e rendere difficoltose le azioni di responsabilità nei confronti degli organi societari.
maria elena boschi al mare con la madre stefania agresti
La domanda sorge spontanea: come ha fatto una banca a finanziare una ditta (la Energiambiente) che non produceva reddito, ma prendeva soldi e li girava ad altre società del gruppo, già fortemente indebitate (usando conti di appoggio di banca Etruria)? Significa che, probabilmente, il gruppo dirigente, con Agresti in prima linea, aveva ottime entrature nel panorama finanziario aretino, prima ancora dello sbarco di babbo Boschi nel Cda della banca (che avverrà quando l' Etruria aveva già approvato il piano concordatario del gruppo).
Grazie a questi canali privilegiati i fidi arrivarono copiosi, senza troppi controlli. Per quel buco sono a finiti a processo ad Arezzo con l' accusa di bancarotta fraudolenta 17 tra ex amministratori, manager (compresi due ex direttori generali) e membri del collegio sindacale. Ad essi la Procura contesta non le sofferenze, ma gli affidamenti iniziali. Non sappiamo, invece, se a Bologna e ad Arezzo qualcuno abbia deciso di vederci chiaro sui fallimenti della Saico refinish (di cui Agresti è stato presidente) e della Se Ambiente.