“BASTAVA NON DIRE” - GLI SCIENZIATI DELL’AQUILA CONDANNATI PER OMICIDIO PER AVER RASSICURATO LA POPOLAZIONE PRIMA DEL TERREMOTO - BOSCHI DISSE: “IMPROBABILE IL RISCHIO A BREVE DI UNA FORTE SCOSSA” - DE BERNARDINIS: “NON C’È PERICOLO, SITUAZIONE FAVOREVOLE” - LE VITTIME SONO 42 SU 308, QUELLE CHE, DOPO LE FRASI DEI TECNICI, NON SONO SCAPPATE - ESPLODE IL CASO DEL PREFETTO GIOVANNA IURATO CHE RACCONTA RIDENDO DELLA SUA FALSA COMMOZIONE DAVANTI ALLE MACERIE…

1- "GLI ESPERTI CONVINSERO GLI AQUILANI A RESTARE"
Antonio Massari per "il Fatto Quotidiano"

"Sarebbe bastato non dire". È la frase più incisiva, nella sentenza di 946 pagine firmata dal giudice Marco Billi, perché in sole quattro parole demolisce un intero sistema della comunicazione. Anello per anello. E sancisce che le istituzioni - lo Stato - ha il dovere di usare correttamente le parole: possono valere la vita o la morte.

Questo dice la sentenza: 42 persone, il 6 aprile 2009, a l'Aquila, sono morte per il micidiale miscuglio di onde sismiche e parole sbagliate. "Sarebbe bastato non dire", scrive Billi, "in tema di evoluzione dello sciame in corso"; le parole che invece Enzo Boschi, presidente dell'Ingv, ebbe la premura di dire: "I forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta".

"Sarebbe bastato non dire, sul tema dello scarico di energia", le parole che invece Bernardo de Bernardinis, vice capo del settore tecnico della Protezione civile, sentì il bisogno di dire: "Non c'è un pericolo, io l'ho detto al Sindaco di Sulmona, la comunità scientifica mi continua a confermare che è una situazione favorevole...".

Sarebbe bastato non dire queste, e altre parole, per evitare il seguente, "tragico effetto": "Grazie, per queste vostre affermazioni, che mi permettono rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa", disse l'assessore alla Protezione Civile regionale Daniela Stati, dopo la riunione della commissione Grandi rischi, che si tenne a l'Aquila il 31 marzo 2009, 6 giorni prima della scossa che uccise 308 persone.

Sarebbe bastato non dire, per evitare che molte vittime - elencate in fondo alla sentenza, in una drammatica spoon river, con annesso risarcimento da complessivi 7 milioni e 400mila euro - potessero decidere diversamente, magari fuggendo di casa, invece di restarvi. E invece furono "indotti a rimanere in casa...", furono vittime della "convinzione che lo sciame in corso" fosse "un fenomeno del tutto neutro, consueto, sotto controllo, non preoccupante, pressoché irrilevante".

La sentenza di Billi dimostra che non s‘è trattato di un processo alla scienza. Tutt'altro: è un processo all'uso criminoso delle parole - la condanna e per concorso in omicidio colposo - quando perdono la vocazione a un'informazione corretta. Per corretta, in un tribunale, s'intende la loro conformità alla norma. E una norma dispone che in quella riunione, regolamentata per legge, la Commissione non doveva calibrare "il giudizio di prevedibilità/evitabilità" sul "terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio, quale giudizio di valore, al fine di tutelare l'integrità della vita (...). Sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione".

E a questo dovere, invece, i condannati sono venuti meno. Parliamo di Franco Barberi (all'epoca presidente vicario della Commissione Grandi Rischi), Bernardo De Bernardinis (vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione Civile), Enzo Boschi (presidente dell'Ingv), Giulio Selvaggi (direttore del Centro nazionale terremoti), Gian Michele Calvi (direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case), Claudio Eva (ordinario di fisica all'Università di Genova) e Mauro Dolce (direttore dell'ufficio rischio sismico di Protezione civile).

De Bernardinis, Eva e Calvi, scrive il giudice, non avevano neanche la "competenza specifica tale da consentirgli di interpretare i dati sullo sciame sismico in corso". Non viene contestata la "mancata previsione del terremoto" ma "la violazione di specifici obblighi in tema di valutazione, previsione e prevenzione del rischio sismico. E la violazione di specifici obblighi in tema d'informazione chiara, corretta e completa".

Non a caso, le vittime menzionate, sono 42 su 308: quelle che, in base alle prove prodotte dall'accusa, "investite da un contenuto informativo diretto e rassicurante", hanno "disinnescato la istintiva e atavica paura del terremoto", abbandonando "le misure di precauzione individuali seguite per tradizione familiare".

Il comportamento della Commissione appare coerente con la strategia di Bertolaso che, in quei giorni, commenta al telefono: "Li faccio li faccio venire a L'Aquila, o da te o in Prefettura, decidete voi, tanto a me non me ne frega niente, in modo che è più un'operazione mediatica. Cosi loro che sono i massimi esperti in terremoti diranno: sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano cento scosse di quattro scala Richter, piuttosto che il silenzio perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa quella che fa male".

È lo stesso Bertolaso che, interrogato, sullo scarico d'energia ammette: "Apprendo ora che (...) è una teoria sbagliata... certo non me la sono inventata io". Appunto: sarebbe bastato non dire.


2- SISMA L'AQUILA, PREFETTO IURATO RISE
(ANSA) - Poco dopo il suo insediamento nella carica di Prefetto dell'Aquila, citta' sconvolta dal terremoto, Giovanna Iurato ''scoppiava a ridere ricordando come si era falsamente commossa davanti alle macerie e ai bimbi rimasti orfani''. E' quanto stigmatizzano i pm di Napoli commentando una telefonata (il 28 maggio 2010) fra Iurato e il Prefetto Francesco Gratteri intercettata nell'inchiesta sugli appalti per la sicurezza nell'ambito della quale Iurato e indagata per turbativa d'asta.

 

 

Il terremoto visto dall'alto (foto Adnkronos)Casa dello studente sisma9be 21 vulcanologo enzo boschiBernardo De Bernardinis FRANCO BARBERIBERTOLASO con CAschettoPREFETTO GIOVANNA IURATO

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