LA SACROSANTING REVIEW DI BERGOGLIO: PIÙ POTERI ALLE CHIESE LOCALI, ATTENZIONE AI DIVORZIATI, PIÙ SPAZIO AI LAICI - STOP AI SERMONI SOPORIFERI: PER PARLARE AI FEDELI TOCCA ESSERE BREVI E EFFICACI

1 - "MAGGIORI POTERI ALLE CHIESE LOCALI" COSÌ FRANCESCO CONVERTIRÀ IL PAPATO
Andrea Tornielli per "La Stampa"

«Evangelii gaudium», la «gioia del Vangelo» che è da proporre a tutti: è il titolo della lunga esortazione apostolica di Papa Francesco resa nota ieri. Il primo vero documento programmatico del pontificato, che invita tutta la Chiesa a una «conversione pastorale e missionaria», a uscire, ad abbandonare le logiche di apparato, a non rimanere attaccati a usanze superate: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l'evangelizzazione del mondo attuale, più che per l'autopreservazione».

PIÙ POTERI AI VESCOVI
Francesco scrive: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato». Rifacendosi alle aperture enunciate nel 1995 da Wojtyla ma rimaste senza seguito, afferma di pensare a «un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù intese dargli».

Anche le strutture centrali della Chiesa «hanno bisogno di ascoltare l'appello ad una conversione pastorale» e di realizzare di più la collegialità indicata dal Concilio. Si deve rafforzare il ruolo delle conferenze episcopali, con l'attribuzione di «qualche autentica autorità dottrinale», perché «un'eccessiva centralizzazione complica la vita della Chiesa».
Non insistere solo sulla «morale»

Anche per colpa dei media, «il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari». Ciò accade quando questioni che fanno parte dell'insegnamento morale della Chiesa vengono continuamente proposte «fuori del contesto che dà loro senso». Una pastorale in chiave missionaria «non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere». Bisogna invece concentrarsi «sull'essenziale, su ciò che è più bello».

LA CHIESA NON È UNA DOGANA
La Chiesa è «una Madre con le braccia aperte». Bisogna lasciare aperte le porte delle chiese, ma anche quelle dei sacramenti. A proposito dell'eucaristia, Francesco spiega - citando sant'Ambrogio - che «non è il premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli». Un accenno riferibile anche alla condizione di molti divorziati risposati che sarà studiata dal prossimo Sinodo. «La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c'è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».

PIÙ SPAZIO AI LAICI E ALLE DONNE
Francesco critica il clericalismo che penalizza i laici, mantenendoli «al margine delle decisioni» o assorbendoli in «compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l'applicazione del Vangelo alla trasformazione della società». E riconosce che le rivendicazioni dei diritti delle donne «pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere».

LA SCELTA PER I POVERI
Non ascoltare il grido del povero vuol dire porsi «fuori dalla volontà del Padre». Si tratta di una «preferenza divina che ha una conseguenza nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere gli stessi sentimenti di Gesù». Francesco invita a non confidare «nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato», e in scelte economiche che «sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi».

L'ABORTO NON È «PROGRESSISTA»
Tra gli esclusi ci sono i nascituri, «che sono i più indifesi e innocenti di tutti». «Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana». Ma Francesco riconosce anche: «abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie».

UNA CHIESA «PLURALE»
Francesco che la missione evangelizzatrice non è questione di addetti ai lavori o di «truppe» scelte. Annunciare la gioia del Vangelo è tutto il popolo di Dio. Un «popolo dai mille volti». L'annuncio cristiano non si identifica in alcuna cultura. Per questo «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell'esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia».

2 - LE PREDICHE NOIOSE NEL MIRINO "SACERDOTI, PREPARATEVI MEGLIO"
Andrea Tornielli per "La Stampa"


Chi predica, prima deve «lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta». Ben 19 pagine dell'esortazione sono dedicate a come si fa una predica, «perché molti sono i reclami» al riguardo. L'omelia, spiega il Papa è la «pietra di paragone per valutare la vicinanza di un pastore» al suo popolo», ed è cruciale per la trasmissione del Vangelo, come hanno insegnato grandi vescovi predicatori, da Ambrogio a Giovanni Crisostomo. Oggi le prediche mattutine di Santa Marta sono una delle novità più significative del pontificato: brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, comprensibili da tutti.

Bergoglio ricorda che l'omelia «è il dialogo di Dio col suo popolo»: non può essere «uno spettacolo di intrattenimento», non risponde alla logica mediatica, ma «deve dare fervore e significato alla celebrazione». Dunque sia breve ed eviti «di sembrare una conferenza o una lezione», per non danneggiare «l'armonia» tra le parti della messa.

Chi fa l'omelia parli «come una madre a suo figlio», con «vicinanza cordiale». La predicazione «puramente moralista o indottrinante, e anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi», riducono infatti la «comunicazione tra i cuori».

Il Papa invita a dedicare «un tempo prolungato» alla preparazione dell'omelia, perché un predicatore che non si prepara «è disonesto e irresponsabile verso i doni che ha ricevuto». Bisogna invece «prestare tutta l'attenzione al testo biblico», la Parola va venerata e studiata «con la massima attenzione e con un santo timore di manipolarla».

È anche importante cogliere il messaggio centrale del testo. «Se un testo è stato scritto per consolare, non dovrebbe essere utilizzato per correggere errori... se è stato scritto per motivare la lode o il compito missionario, non utilizziamolo per informare circa le ultime notizie».

Il predicatore non deve poi cadere nella tentazione di «pensare quello che il testo dice agli altri, per evitare di applicarlo alla propria vita». E deve «porsi in ascolto del popolo» collegando «il messaggio biblico» con ciò che le persone vivono.

È importante anche il modo di trasmettere questo contenuto. Per rendere più attraente un'omelia, Francesco suggerisce di «imparare a parlare con immagini». Il linguaggio deve essere semplice, mentre troppo spesso accade che i predicatori usino «parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio» di chi ascolta.

Per poter parlare alle persone bisogna «condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione». Il linguaggio poi deve essere «positivo»: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio», senza fermarsi «alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso».

 

 

 

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