BERLUSCA “POCO ENTUSIASTA” DI VOTARE COME PREMIER RENZI, IL SUO PIÙ ACCREDITATO CONCORRENTE ALLE PROSSIME ELEZIONI
Ugo Magri per La Stampa
Già stasera potremmo avere il nuovo governo in carica. Nel caso spuntasse qualche intoppo sulle poltrone (mai dire mai), cerimonia del giuramento e passaggio delle consegne avrebbero luogo domani, 25 aprile, radioso anniversario della Liberazione: una coincidenza dal sapore molto simbolico.
Subito dopo, dibattito in Parlamento e voto di fiducia. Napolitano non ha perso un attimo. Una giornata per tutte le consultazioni di rito, in pratica il tempo necessario ai partiti per pronunciare un sì o un no. Il via libera, più o meno a scatola chiusa, è giunto da Pd, Pdl e Scelta Civica, cioè gli stessi partiti che hanno retto il governo Monti. Volenti o nolenti, proseguiranno il loro sodalizio...
I democratici garantiscono «pieno sostegno» a Napolitano, sebbene il documento approvato dalla Direzione registri 7 voti contrari e 14 astensioni, tra cui quella ragguardevole di Rosy Bindi. Berlusconi promette a sua volta «il massimo dell'appoggio possibile», però si appresta a mettere come condizione irrinunciabile che il governo tagli l'Imu.
Sotto sotto confida che su Amato il Pd si spacchi, in modo da tornare alle elezioni dandone la colpa agli avversari. Attende fiducioso. E per ingannare il tempo, Silvio decolla stamane per gli Usa, destinazione Dallas, dove è invitato all'inaugurazione della «Presidential library» di Bush, al cospetto di Clinton e dello stesso Obama.
Disco rosso invece dai Cinque Stelle, da Sel e dai Fratelli d'Italia. Quanto alla Lega, semaforo giallo: dipende da chi sarà il premier. Fosse Amato, Maroni mai lo voterebbe perché con lui la Lega ha una antica ruggine. Svariati indizi fanno pensare che pure la Padania finirà all'opposizione. Nei colloqui di ieri il Presidente mai s'è lasciato sfuggire il nome di Amato. Tuttavia ha tracciato un identikit del futuro premier che sembra ritagliato su misura per l'ex «Dottor Sottile».
Dev'essere «ben conosciuto in Europa, figura autorevole e in grado di imporsi nelle trattative internazionali», ha scandito con tutte le delegazioni Napolitano. Con una chiosa che a qualche suo ospite nello studio alla Vetrata ha ricordato i vecchi presidi di una volta: «...e deve parlare bene le lingue, specialmente l'inglese, perché non si può andare all'estero a rappresentare l'Italia senza conoscerle».
Amato nella lingua di Shakespeare è notoriamente «fluent». Conosciuto in Europa, pure. Autorevole, senza dubbio. Per cui la notte è calata sulla Capitale nella convinzione collettiva che stamane verrà convocato al Quirinale per l'incarico. In realtà ci sarebbe pure Enrico Letta, il quale ha molte delle qualità sopracitate. Tuttavia il vice-segretario Pd, che sta svolgendo funzioni di «number one» dopo le dimissioni confermate da Bersani in Direzione, non sembra affatto sgomitare per l'incarico, e forse mai il Capo dello Stato ha preso in considerazione il suo nominativo.
Fatto sta che Letta ha guidato la delegazione del partito all'incontro con Napolitano: se avesse nutrito ambizioni in proprio, a trattare sul Colle sarebbe andato un altro, non lui. Del tutto caduta invece la chance di Renzi, tenuta viva dai cosiddetti «giovani turchi» Pd, in particolare da Orfini.
Più dell'identikit, che poco combacia con il profilo del sindaco fiorentino, pare sia stato determinate il veto del Cavaliere. Berlusconi ha fatto sapere a chi di dovere che lui non avrebbe potuto accettare come premier il suo più accreditato concorrente alle prossime elezioni. Gli stessi montiani si sono mostrati poco entusiasti. Renzi ne ha preso atto senza stracciarsi le vesti, «non credo che la mia candidatura sia sul tappeto» ha fatto sapere.
Al Quirinale sono saliti pure i grillini. Il professor Becchi, da molti considerato ideologo a Cinque Stelle, li aveva scongiurati di disertare l'appuntamento. Ma la Lombardi e Crimi sono saliti per confermare a Re Giorgio che si batteranno contro la fiducia al governo, riservandosi peraltro di votare caso per caso certi provvedimenti, com'è nella linea tracciata da Grillo (avvelenato con Napolitano: «La nomina di un ottuagenario è stata spacciata come gesto di responsabilità », scrive crudele nel suo blog).
BERLUSCONI AL SENATO CON GLI OCCHIALImatteo renzi GIORGIO NAPOLITANO GIULIANO AMATO E GIANNI DE GENNARO jpeg