IN GINOCCHIO DA SCARPELLINI – DOPO AVER RESCISSO I CONTRATTI E AVER FATTO LA VOCE GROSSA, LA CAMERA VA A CANOSSA E SI RIPRENDE IN AFFITTO DUE PALAZZI A SAN SILVESTRO – E IL PALAZZINARO NON FA SCONTI: 8 MILIONI L’ANNO
1 - “SCARPELLINI SCUSACI”: LA CAMERA TORNA DAL PADRONE DI CASA
Paola Zanca per il “Fatto quotidiano”
E alla fine tornarono a bussare alla porta, anzi ai portoni di Sergio Scarpellini, il padrone di casa di mezza Camera dei deputati, che dal 1997 garantisce un tetto a onorevoli e funzionari.
Sergio Scarpellini saluta il Sindaco Marino
Quest’anno – per temeraria iniziativa del Cinque Stelle Riccardo Fraccaro – le strade del Parlamento e del costruttore romano dovevano finalmente separarsi: addio uffici nei Palazzi Marini (ovvero nel quadrilatero attorno alla capitolina piazza San Silvestro) e fine degli affari per l’imprenditore che con quegli affitti negli ultimi vent’anni ha fatto bingo. Ma non è ancora ora di divorziare, e forse non lo sarà mai. Il contratto è scaduto il 28 febbraio scorso. Ma i gruppi parlamentari, quattro giorni prima, hanno espresso l’estremo desiderio di “riaprire il confronto” con la Milano90.
Per Scarpellini, certo, la ferita è aperta. Ma siamo convinti che non ci metterà molto a rimarginarsi. Fino a dieci giorni fa, la prospettiva per lui era quella di trovarsi di fronte a un grosso problema: due palazzi sfitti dalla sera alla mattina e il faticoso compito di trovare un nuovo acquirente con necessità di spazi così imponenti. Perciò, seppure Montecitorio abbia messo sul tavolo alcune condizioni tassative, per lui questi nuovi contratti sono una manna dal cielo.
TUTTO, dicevamo, comincia alla fine degli anni Novanta quando la Camera è in cerca di spazi per dare un ufficio a circa 400 deputati. Inizia così il rapporto con la Milano90 società che, oltre ai palazzi, offre una serie di servizi tra cui pulizie, consegna posta, guardiania e ristorazione.
Sergio Scarpellini e Fabrizio Panecaldo
Nasce così un sodalizio apparentemente senza logica, visto che Montecitorio firma contratti che prevedono la rinuncia alla possibilità di recesso e paga canoni stratosferici che si rivalutano di anno in anno: ancora nel 2010, calcolavano i Radicali, lo Stato aveva già speso più di 350 milioni di euro per affittare palazzi che, nel frattempo, avrebbe potuto abbondantemente acquistare. Un anno e mezzo fa, a pochi mesi dal suo ingresso alla Camera, dunque, il deputato M5S Riccardo Fraccaro porta a casa un risultato storico: riesce a far approvare un emendamento che prevede la possibilità di rescindere anticipatamente i contratti con Scarpellini.
A dicembre 2014, tutti liberi. È che nessuno ha pensato a dove traslocare. Così, quando è arrivato il momento di fare i bagagli, è stato il panico tra gli onorevoli che reclamavano una scrivania e soprattutto tra i 300 dipendenti della Milano90 che hanno scoperto di rimanere senza un posto di lavoro.
A quel punto si è capito che, con Scarpellini, bisognava di nuovo sedersi a trattare. Montecitorio fa una contro offerta pari quasi alla metà del canone iniziale (meno di 3 milioni di euro contro i 4 e mezzo richiesti), lui dice no (“cifra palesemente incongrua”) e dalla Camera diffondono una nota in cui annunciano che il rapporto è “chiuso”.
I giorni passano, lo “sfratto” del 28 febbraio diventa esecutivo. E la settimana scorsa i gruppi parlamentari sono costretti a capitolare. Chiedono – e ottengono – di riaprire la trattativa con il ras dei palazzi. Ai deputati servono gli uffici e a quei 300 serve un lavoro. Peccato che nel frattempo si è anche scoperto che Scarpellini, nonostante gli affari d’oro, ha debiti con l’Inps e l’Inail per un totale di 615mila euro. E senza Durc (il certificato di regolarità contributiva) le aziende non possono avere rapporti con la Camera.
Così al patron della Milano90 è stata chiesta la cortesia di mettersi in regola. E di rinunciare alla possibilità di fare causa alla Camera per il recesso anticipato. In cambio Montecitorio è disposta a tornare a bussare ai suoi portoni, pagando (chiede Scarpellini) non meno di 8 milioni di euro più Iva. Dicono tutti sì, tranne Scelta Civica e la Lega che preferivano chiudere definitivamente i rapporti con l’imprenditore.
Favorevole anche il Movimento Cinque Stelle, anche quel Fraccaro che a tutto diede inizio: “I soldi risparmiati avremmo dovuto accantonarli per un eventuale contenzioso, invece così possiamo averli subito a disposizione. E poi c’erano trecento persone di mezzo. Non facciamo demagogia, quando ci sono delle scelte concrete da fare le facciamo. Ora mi auguro che si faccia presto un bando per aprire un’altra mensa qui a Montecitorio e che si recuperino altri spazi. Dovevamo farlo un anno fa, se c’è la volontà politica in sei mesi lo facciamo”.
2 - GLI AFFITTI DI MONTECITORIO PAGATI ALL’IMMOBILIARISTA IL DOPPIO DEL MERCATO
Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”
Ricordate i famosi palazzi Marini che ospitavano gli uffici dei deputati e per i quali la Camera ha speso mezzo miliardo di affitti pagati alla società Milano ’90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini?
Adesso c’è una lettera firmata Roberto Reggi, direttore dell’Agenzia del Demanio, che su quella vicenda apre un nuovo scenario. C’è scritto che per uno di quei quattro immobili, classificato convenzionalmente come Marini 3, il canone giusto è di 2 milioni 720 mila euro: 313 euro annui al metro quadrato, che dovrebbero scendere addirittura a 266 con la riduzione prevista dalla legge.
Meno della metà, ossia, rispetto ai 647 euro pagati finora. Ma anche dei 618 euro proposti da Milano ’90 giusto qualche giorno fa, nel tentativo di salvare almeno una parte di quella clamorosa rendita apparentemente franata con la decisione della Camera di rescindere i contratti. È raccontato in quella lettera ufficiale di cui sopra, sia pure con l’imperdonabile inciampo in un errore d’ortografia da seconda elementare: «per l’utilizzo di Palazzo Marini 3 la società proprietaria a richiesto una somma di euro 5.376.925,12».
Più di quella «a» senz’acca, che certo qualche interrogativo lo meriterebbe, il contrasto fra le cifre fa sorgere inevitabilmente una serie di domande. Per tutto questo tempo, considerando che i contratti risalgono alla fine degli anni Novanta, quanti denari in più abbiamo sborsato rispetto a ciò che avremmo dovuto pagare? La perizia del Demanio spiega che «il valore locativo annuo individuato all’attualità risente evidentemente del trend negativo attraversato dal comparto immobiliare».
E ci sta. Ma ci sta pure un’altra considerazione: la crisi va avanti ormai da molti anni, durante i quali il vecchio affitto dei palazzi Marini, che non pochi hanno sempre giudicato esorbitante, continuava a correre. Ma poi: come vennero fissati i canoni originari? Esistono forse precedenti pareri di congruità? Dopo la lettera del Demanio, sarebbe opportuno renderli pubblici. O no?
Anche perché salta fuori adesso che le strade della Camera e di Scarpellini non sono ancora destinate a dividersi. L’arma letale dell’immobiliarista sono i 400 dipendenti di Milano ’90 che in base ai contratti di fornitura di servizi prestavano servizio in quei Palazzi. Con la rescissione degli affitti finirebbero in mezzo a una strada: inutile dire che la colpa è già stata mediaticamente appioppata agli onorevoli indifferenti verso chi perde il posto. Da qui l’improvvisa virata. Se non proprio a 180, almeno a 90 gradi: si rinuncerà a due soli palazzi anziché a tutti e quattro, com’era stato già deciso.
Una svolta per certi versi clamorosa, capace di far tirare un respiro di sollievo non soltanto ai lavoratori e al proprietario degli immobili, ma pure a molti deputati che rischiavano di restare senza ufficio. Che tuttavia fa a pugni con tante dichiarazioni incendiarie ascoltate in questi mesi, secondo cui la pagina dei palazzi Marini si doveva considerare definitivamente chiusa.
GIANCARLO CREMONESI SERGIO SCARPELLINI
Una svolta, peraltro, accettata anche dalla forza politica che si era impegnata con più determinazione per la soluzione radicale. Sia pure, hanno spiegato i tre rappresentanti del Movimento 5 Stelle nell’ufficio di presidenza Luigi Di Maio, Claudia Mannino e Riccardo Fraccaro in poche righe inviate alla presidente della Camera Laura Boldrini, «con il fine precipuo di salvaguardare i posti di lavoro» e alla condizione che «l’eventuale accordo dovrà contenere la rinuncia al contenzioso della Milano ’90».
Il percorso tuttavia è ancora in salita. Non soltanto per il prezzo. Alla stima del Demanio Scarpellini ha replicato ieri offrendo i palazzi Marini 3 e 4 per un canone totale di 8 milioni l’anno più Iva. Ovvero, quasi 400 euro al metro quadrato: ritenendo che la Camera debba pagare anche la sua rinuncia alle carte bollate. E per una durata contrattuale di sei anni più altri sei. La proposta è finita per ora in frigorifero. Si è scoperto che Milano ‘90 ha un debito di 615 mila euro con l’Inps e l’Inail per i contributi previdenziali non versati di quei lavoratori.