CAMERON LA DICE TUTTA SULLA NUOVA CAMPAGNA D’IRAQ CONTRO L’ISIS: “E’ UNA MISSIONE CHE DURERÀ ANNI” - PER SPEZZARE I TERRORISTI BISOGNA INTERCETTARE I SOLDI CHE LI ALIMENTANO: PETROLIO E FONDI DAGLI EMIRATI DEL GOLFO
1 - ISIS: CAMERON, IN IRAQ MISSIONE DURERA' ANNI
(ANSA) - Quella in Iraq ''sara' una missione che non durera' qualche settimana, ma anni. Dobbiamo essere pronti a questo tipo di impegno''. Lo ha detto il primo ministro britannico David Cameron oggi a Westminster prima del voto sul via libera a raid in Iraq.
2 - L’ORO NERO DEI JIHADISTI QUARANTA DOLLARI AL BARILE PER PAGARE GUERRA E TERRORE
Maurizio Ricci per “la Repubblica”
In base al principio “follow the money”, segui il danaro, petrolio e relative installazioni sono fra i primi obiettivi dell’offensiva aerea lanciata contro i jihadisti dell’Is. L’obiettivo è tagliare la principale fonte di finanziamento del califfato, anche se il petrolio, in Medio Oriente, è sempre materia contorta e carica di contraddizioni.
Comunque, benché parte dei soldi dell’Is venga da donazioni estere (in particolare dagli emirati del Golfo) e da tasse interne (recentemente è stata introdotta una tassa di 2 dollari al mese sugli esercizi commerciali nei territori controllati), gli esperti sono convinti che il grosso dei fondi con cui vengono pagate le armi, i soldati e, in generale, chi lavora per il califfo, arrivi dai giacimenti e dalle raffinerie di cui l’Is si è impadronito negli ultimi mesi.
sostenitori di isis festeggiano in siria
Per ora, l’attacco americano ha colpito tre giacimenti di greggio e quattro raffinerie nel Nord della Siria. Solo una parte, dunque, del parco petrolifero di cui dispone l’Is, che ha in mano almeno 11 giacimenti e una rete assai più fitta di raffinerie, spesso artigianali. Di fatto, tutti gli impianti della Siria e alcuni di media grandezza in Iraq. In teoria, un patrimonio potenziale, modesto a livello mondiale, ma rilevante a livello locale.
La Siria potrebbe, infatti, produrre, a pieno regime, circa 400 mila barili di greggio al giorno. Ma, nonostante la campagna di reclutamento avviata per attirare tecnici qualificati ideologicamente solidali, l’Is è assai lontana da questo obiettivo, che richiede esperienza e manutenzione.
Gli esperti giudicano che i pozzi sotto il controllo dei jihadisti in Siria arrivino a non più di 50 mila barili al giorno, cui aggiungere 30 mila barili dai giacimenti iracheni. Questi 80 mila barili corrispondono, però, a oltre 3 milioni di dollari al giorno nelle casse delle califfo, supponendo un prezzo di 40 dollari a barile (contro i 100 dollari ufficiali) sul mercato nero.
Il greggio estratto viene caricato sui camion- cisterna e trasportato in varie direzioni. Quali? In una classica contraddizione del petrolio mediorientale, uno dei principali acquirenti del greggio dell’Is è il suo arcinemico: il dittatore siriano Assad. Ma buona parte dei camion si dirige, invece, verso il confine con la Turchia. Dopo la condanna dell’Onu, commerciare il greggio dell’Is è pericoloso ed espone a sanzioni. Ma nasconderlo è facile.
Il greggio arriva fino al terminale petrolifero di Ceyhan, dove il petrolio islamista viene mischiato negli oleodotti al petrolio legale. È una rete di contrabbando robusta e sperimentata. In una seconda contraddizione mediorientale, infatti, questo commercio non è stato inventato dall’Is. Esiste da decenni. Da quando, all’inizio degli anni ‘90, le sanzioni colpirono l’Iraq di Saddam Hussein e il greggio iracheno poteva arrivare sul mercato solo di contrabbando.
Le dimensioni del traffico di greggio non vanno, tuttavia, esagerate. Concentrando l’attacco sulle raffinerie, piuttosto che sui giacimenti, gli americani mostrano di saperlo. La parte maggiore degli 80 mila barili estratti dai campi petroliferi ancora funzionanti, infatti, viene lavorata e trasformata in benzina e gasolio in Iraq e in Siria nella ragnatela di raffinerie, spesso improvvisate, che si irraggia intorno ai giacimenti.
Una parte viene esportata attraverso gli stessi canali di mediatori e contrabbandieri del greggio, ma una parte cospicua va a soddisfare il fabbisogno del mercato interno. Viene cioè venduta e consumata all’interno di Iraq e Siria ed è quindi fuori della portata dell’intervento dei finanzieri turchi sul traffico clandestino verso Ceyhan. Proprio per questo, è un pilastro essenziale della vita quotidiana nei territori controllati dall’Is e del funzionamento del califfato.
Figlio delle sanzioni contro Saddam, venduto anche all’arcinemico Assad, la storia dell’oro nero dei jihadisti affronta un’altra contorsione. Buona parte delle raffinerie in cui finisce il greggio controllato dagli uomini del califfo si trova, infatti, in Kurdistan, cioè nella patria dei peshmerga che, ogni giorno, combattono contro i jihadisti.
Sono raffinerie clandestine che il governo curdo ha sempre tollerato, perché servivano a lavorare e smerciare il petrolio che i leader di Kirkuk non volevano consegnare al governo di Bagdad. Adesso, forniscono ai jihadisti i soldi con cui armano i volontari che tentano di sfondare le linee dei peshmerga ed entrare in Kurdistan.