CAMERON IN FUGA DALL’EUROGERMANIA (E OBAMA TREMA) - ATTESA ALLE STELLE PER “THE SPEECH” DEL 22 GENNAIO: IL PREMIER INGLESE RIVELERA’ COME INTENDE ALLONTANARSI DALL’UNIONE FACENDO FINTA DI RESTARE DENTRO - PHILIP GORDON, “ASSISTENTE PER L’EUROPA” DI OBAMA, CONFESSA: AGLI STATES SERVE CHE LONDRA STIA SALDAMENTE NELL’UNIONE - MA CAMERON, PRESSATO DAGLI “INDIPENDENTISTI”, POTREBBE CEDERE…

Leonardo Maisano per il "Sole 24 Ore"

«The Speech», è atteso per il 22 gennaio in Olanda. Dal palco di un Paese partner a denominazione di origine controllata, quale è l'Aja, David Cameron svelerà al mondo la sua strategia per portare Londra lontano dall'Unione facendo finta di continuare a tenerla dentro.

Il discorso suscita ansie. Negli irlandesi e non solo perché sono presidenti di turno dell'Unione, ma per le implicazioni potenziali del distacco di una capitale non affatto qualsiasi, rappresentando, come è Londra, una quota enorme dell'interscambio commerciale con Dublino. Soprattutto negli americani.

Scoprire che per deliberata autoesclusione l'amico inglese potrebbe non essere più nella posizione ideale per farsi interprete e messaggero del comune pensiero anglosassone, inquieta Washington oltre ogni attesa. Oggi più che mai, se davvero Bruxelles dimostrerà di aver trovato dopo la crisi la coesione necessaria per stringersi in forme di cooperazione tanto avanzate da dare una risposta al celebre interrogativo di Henry Kissinger che negli anni Settanta si domandava quale numero dovesse comporre per «parlare con l'Europa».

Le parole di franca preoccupazione rivolte da Philip Gordon, assistant secretary per l'Europa dell'amministrazione Obama, alla stampa inglese sono state nette nel precisare che la special relationship anglo-americana si tutela al meglio se Londra siede al centro dell'Europa. Non basta replicare con l'evidente considerazione che già ora il Regno Unito non può essere considerato alla guida della Ue, essendo fuori dall'euro, visto il peso specifico che i Paesi a moneta unica, di fatto, esercitano. Cameron, infatti, immagina di andare molto più in là, e rischia di giocarsi in un colpo solo tanto il futuro quanto il passato.

È un azzardo chiedere di rinegoziare i termini dell'adesione rinazionalizzando politiche specifiche per poi sottoporre con un referendum secco - dentro o fuori dalla Ue - le nuove intese. Il destino di Londra potrebbe finire per non essere dissimile da quello della Norvegia che, pur essendo fuori dalla Ue, subisce politiche deliberate a Bruxelles senza poterle influenzare.

Così facendo Cameron rischierebbe di porre in pericolo la prosperità futura del Regno Unito, ma cancellerebbe anche la dottrina indicata da Harold Mac Millan negli anni Sessanta, fatta di vicinanza strategica con gli Usa e impegno in Europa. Philip Gordon lo ha voluto ricordare al premier britannico saldando i due principi che ora andranno letti così: l'impegno in Europa è condizione perché sopravviva l'intesa strategica con l'America.

Appare impossibile che Cameron sia pronto a gettare tutto ciò sulla pira dell'appeasement in seno a un partito conservatore dirottato dagli euroscettici e terrorizzato dalla crescita dell'eurofobo United Kingdom Independence party. L'altolà degli Stati Uniti, inatteso nella forma, conferma ora che il rischio c'è. E tanto basta per considerare il Brexit dall'Unione uno scenario non ancora probabile, ma ormai certamente possibile.

 

CAMERON DAVIDPHILIP GORDON photo Obama barak ROTTURA EURO L EURO CHE AFFONDA

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