CASA FOLLE CASA - LO STALKING ADESSO VALE ANCHE PER I CONDOMINI - UNA 40ENNE VIENE SFRATTATA PER AVER MOLESTATO UNA COPPIA DI VICINI (TIPO: “SE VI INCONTRO SULLE SCALE VI AMMAZZO” O “TI GIURO CHE TI FACCIO CIECO”) – I POVERINI SI SONO RIVOLTI A UNO PSICOLOGO E A UN AVVOCATO - IL GIUDICE HA COSÌ DECISO DI ESTENDERE LA LEGGE SUI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA…

Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"

«Voi del quinto piano siete morti, se vi incontro sulle scale vi ammazzo». Tv a tutto volume di notte, martellate contro la parete confinante, dispetti sempre più aggressivi, biglietti di insulti appesi sulla bacheca in portineria, ritorsioni e minacce: a Milano un caso di stalking in condominio induce per la prima volta il Tribunale, facendo ricorso a una interpretazione estensiva della legge sui maltrattamenti in famiglia, a sfrattare da casa sua la vicina che ossessionava i condomini sul loro pianerottolo.

Tecnicamente, la misura cautelare è l'«obbligo di allontanamento dalla casa familiare», che qui però è l'abitazione della dirimpettaia degli inquilini-vittime, peraltro di proprietà del padre dell'ex compagno dell'indagata, ed è norma che il giudice prende eccezionalmente in prestito appunto da quelle invece abitualmente applicate nei casi di maltrattamenti tra familiari che coabitano.

Come nel più classico dei contrasti tra inquilini, anche in questo condominio della periferia est di Milano tutto comincia con rumori molesti, tv e radio ad alto volume, urla in casa e sul pianerottolo da parte di una 40enne e del suo convivente dell'epoca. La coppia che vive nell'appartamento di fronte chiede loro cortesemente un po' di tranquillità, ma come risposta il marito viene apostrofato «sei un coglione... testa di c... vaff...».

E gli insulti, in fondo, sono ancora quasi niente in confronto allo spavento che, qualche settimana dopo aver posto la questione nell'assemblea di condominio, il marito si prende quando, incrociando i molesti vicini sul pianerottolo, viene afferrato per la collottola da chi lo blocca contro il muro, gli mette le mani alla gola e lo minaccia gridandogli «voi del quinto piano siete morti, se vi incontro sulle scale vi ammazzo, ho la pistola io».

Seguono notti nelle quali dall'appartamento di fronte si levano canti a squarciagola che apposta si protraggono fino alle 4 del mattino, bigliettini vengono appesi in bacheca con croci disegnate accanto al cognome dei vicini, si susseguono scritte minacciose tipo «vietata invasione di proprietà privata», e da ultimo anche sms al telefonino con la promessa «ti giuro che ti faccio cieco, non è una minaccia».

Per la coppia molestata il disturbo si tramuta presto in una situazione molto più seria: prima spendono soldi per insonorizzare la parete in comune, poi cominciano ad aver paura a uscire e entrare di casa per timore di incrociare i vicini molestatori, infine finiscono dallo psicologo che gli prescrive un farmaco per gli stati di ansia e gli attacchi di panico.

È a questo livello di guardia che il loro avvocato Mauro Carelli ritiene di inquadrare la vicenda nello stalking (cioè nel reato di atti persecutori) e la porta all'attenzione del Tribunale, dove la giudice delle indagini preliminari Stefania Donadeo, su richiesta avanzata dal pm Cristiana Roveda anche in ragione dello «stato depressivo reattivo in disturbo di personalità borderline» diagnosticato dall'ospedale San Paolo all'indagata per stalking, ha ora adottato un innovativo ordine di allontanamento da casa (e quindi per definizione anche dai luoghi abitualmente frequentati dagli inquilini-vittime).

Questa misura cautelare, infatti, per la giudice «deve ritenersi applicabile in via generale» anche in condominio, e non soltanto per i reati commessi ai danni di familiari coabitanti, perché «la collocazione sistematica», e un indiretto passaggio di una sentenza di Cassazione del 2010, «ne consentono un'estensione anche per tutelare persone non coabitanti nella stessa casa». Tanto più che questa «interpretazione estensiva» sarebbe «più favorevole all'indagata», giacché altrimenti le uniche alternative a disposizione della giudice per ottenere lo stesso risultato sarebbero state quelle «più gravose», come il divieto di dimora in un intero Comune o addirittura il carcere.

I poliziotti del commissariato Mecenate si sono così presentati a casa dell'indagata per quello che è stato sostanzialmente uno sfratto, che in quanto misura cautelare sarà periodicamente rivisto nei suoi presupposti a partire da un paio di mesi. Nel frattempo, anche se la 40enne può trovare alloggio nella casa della madre, l'ordinanza, visto il quadro clinico dell'indagata e anche per evitare il rischio che senza casa finisca sotto un ponte, è stata comunicata dalla giudice ai servizi socioassistenziali territorialmente competenti a seguire la donna.

 

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