VOLANO SEMPRE GLI STRACCI – CASO SHALABAYEVA, PAGA SOLO L’UFFICIO IMMIGRAZIONE DELLA QUESTURA DI ROMA – INVECE DELLE DIMISSIONI DI ALFANO, CINQUE POLIZIOTTI VERSO IL RINVIO A GIUDIZIO PER L’ESPULSIONE DELLA MOGLIE DEL DISSIDENTE KAZAKO ABLYAZOV
Gio.Bia. per il “Corriere della Sera”
Cinque avvisi di conclusione delle indagini preliminari che preludono a cinque richieste di rinvio a giudizio per altrettanti poliziotti che nel maggio 2013 prestavano servizio all’ufficio immigrazione della questura di Roma: l’ex dirigente Maurizio Improta, oggi questore di Rimini, il suo vice di allora, un ispettore e due assistenti. Finisce così l’inchiesta della Procura di Roma sull’espulsione in Kazakistan di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente Mukhar Ablyazov del quale le autorità di quel Paese avevano chiesto l’arresto in quanto latitante. Lui non si trovò, la donna sì, insieme alla figlia di 4 anni; aveva con sé un passaporto falso della Repubblica Centrafricana: per questo gli inquirenti si apprestano a chiedere il processo pure nei suoi confronti.
Fu un caso politico-diplomatico-poliziesco che sfiorò il ministro dell’Interno Alfano ed è costato il posto al suo ex capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, nonché il pensionamento anticipato di qualche settimana del caposegreteria del Dipartimento della pubblica sicurezza. Poi il decreto di espulsione fu annullato e la Shalabayeva ottenne un tardivo asilo politico (quando già era in Svizzera), Ablyazov fu arrestato in Francia dov’è tuttora detenuto in attesa di estradizione.
Quasi due anni d’indagine hanno indotto i pubblici ministeri di Roma (che diedero il nulla osta al rimpatrio) ad addossare ogni responsabilità ai funzionari di polizia, accusandoli di aver trattato la pratica in maniera fin troppo burocratica, inducendo in errore i responsabili della prefettura e i magistrati che firmarono l’espulsione della moglie del dissidente kazako. Improta e i suoi colleghi devono rispondere di falso ideologico, per non aver indicato ciò che secondo i pm sapevano (lo status di perseguitata nel Paese che la rivoleva indietro e la disponibilità di risorse economiche) e di omissione d’atti d’ufficio, per non aver trasmesso ai magistrati tutte le informazioni acquisite sulla vera identità di Alma Shalabayeva, con le quali il giudice di pace avrebbe potuto prendere una decisione diversa dall’espatrio.
È la versione del presidente del tribunale di Roma, che denunciò «una mancata trasmissione di atti che ha avuto gravissime conseguenze». I poliziotti — a cominciare da Improta, ascoltato come testimone — hanno sempre sostenuto il contrario, insistendo sul fatto che mai, fino all’allontanamento dall’Italia, la moglie del «latitante» kazako spiegò che nel suo Paese rischiava persecuzioni, e che era sua intenzione chiedere asilo politico. L’ufficio immigrazione — hanno spiegato — riservò un diverso trattamento al cognato della signora, fermato con lei, perché riuscì a dimostrare di avere titolo di rimanere nell’area Schengen, mentre sulla Shalabayeva c’erano solo informazioni riferite dalla Squadra mobile e dalla Digos, relative al passaporto falso.
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