UN CAVILLO PER LIBERARE CECILIA SALA? – PER OTTENERE DA TEHERAN LA SCARCERAZIONE O I DOMICILIARI IN AMBASCIATA PER LA GIORNALISTA ITALIANA, IL GOVERNO DEVE TROVARE IL MODO DI NON ESTRADARE NEGLI STATI UNITI L’IRANIANO ABEDINI NAJAFABADI, SENZA PERO’ FAR INCAZZARE WASHINGTON – NORDIO E MANTOVANO PUNTANO SU UN APPIGLIO TECNICO: L’INGEGNERE DEI DRONI È ACCUSATO DI AVER FIANCHEGGIATO “IL CORPO DELLE GUARDIE DELLA RIVOLUZIONE ISLAMICA”, CHE L’ITALIA E L’UE NON CONSIDERANO UN’ORGANIZZAZIONE TERRORISTICA (A DIFFERENZA DEGLI USA) – GIORGIA MELONI DEVE CHIUDERE IL CASO ENTRO L’INSEDIAMENTO ALLA CASA BIANCA DI TRUMP – A COMPLICARE LE TRATTATIVE CON WASHINGTON C’È IL PRECEDENTE DI ARTEM USS, CHE GLI USA VOLEVANO E INVECE E' SCAPPATO…
1. NORDIO CERCA LA SPONDA USA PER RIFIUTARE L’ESTRADIZIONE
Estratto dell’articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Tre partite. In una. La liberazione di Cecilia Sala si sta giocando in questo momento su tre tavoli diversi del governo, tutti però sotto gli occhi del sottosegretario, e autorità delegata, Alfredo Mantovano. C’è la partita nelle mani della diplomazia e, più precisamente, dell’intelligence: sono i quadri di Dis e Aise a tenere i contatti, in un quadro reso ancora più complicato dalle divisioni interne, con il governo iraniano per pretendere il «principio di reciprocità» in quello che è ormai, nessuno più ne fa nemmeno un mistero lessicale, una trattativa per la liberazione di un ostaggio. Perché Cecilia Sala è un ostaggio.
C’è poi il nodo del rapporto con gli Stati Uniti, che in questa storia non sono uno spettatore terzo: di questo si è occupata, e ancora di più lo farà nelle prossime ore, direttamente la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sfruttando i suoi buoni rapporti con Washington e anche il momento favorevole del cambio di amministrazione tra Biden e Trump. […]
C’è poi un terzo tavolo, quello della giustizia. E passa per il rapporto del governo con la magistratura. E dalla possibilità che il ministro Carlo Nordio ha di agire da solo e di liberare Mohammad Abedini Najafabadi. Sfruttando, come ha spiegato Repubblica nei giorni scorsi, un articolo del codice di procedura penale, il 718, che al comma 2 prevede che, in caso di arresto con richiesta di estradizione, «la revoca è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta». Significa che se oggi Nordio lo chiedesse, Abedini Najafabadi sarebbe libero. […]
CARLO NORDIO ALFREDO MANTOVANO
In queste ore gli uffici hanno studiato e spiegato come esistono alcuni precedenti (quello recente dell’ingegnere informatico Hernè Falciani, arrestato a Malpensa e rilasciato su richiesta del ministero o quello del regista ucraino Yeven Eugene Lavrenchuk, arrestato a Napoli su richiesta russa e poi liberato sempre su ordine del governo).
E anche degli appigli da un punto di vista tecnico. Abedini Najafabadi è infatti accusato di aver fiancheggiato «il Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, l’Irgc», si legge negli atti americani inviati al ministero della Giustizia Usa che non hanno ancora formalizzato la richiesta di estradizione: si aspettano i documenti nei prossimi giorni, hanno comunque tempo fino alla fine del mese, «costruendo i sistemi di navigazione dei droni Shahed, che vengono utilizzati per attacchi terroristici in tutto il mondo. Inclusa la guerra della Russia in Ucraina».
Il punto però non è questo. Ma che l’Irgc, il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, è considerato sì dagli Stati Uniti dal 2019 come un’organizzazione terroristica. Ma non dall’Italia. Né tanto meno dall’Unione europea (lo è soltanto in Svezia) che non lo ha mai inserito nella black list. «Può l’Italia estradare un signore accusato di essere affiliato a un’organizzazione che per noi non è terroristica?» è la domanda che più volte è stata ripetuta in queste ore ai tavoli.
Dove pure è stato fatto notare come Abedini Najafabadi rischi l’ergastolo, se estradato, con condizioni «inumane e degradanti» che non sarebbero compatibili con le norme della nostra estradizione. Anche per questo il governo era convinto di trovare una sponda nei giudici milanesi con la concessione dei domiciliari. Ieri è arrivato però il parere negativo del procuratore generale, inatteso almeno secondo la politica.
«Spetta alla magistratura decidere sui domiciliari» ha detto non a caso ieri Tajani. Dimenticando però due cose: che proprio i magistrati che decisero per i domiciliari per un caso simile, quello del presunto trafficante di armi russo Artem Uss, arrestato su ordine degli Usa e poi fuggito mentre era in detenzione, sono finiti sotto procedimento disciplinare (poi assolti dal Csm).
E che l’articolo 718 dà direttamente al governo la possibilità di liberare l’iraniano. Serve soltanto una nuova istanza, visto che in un primo momento il ministero aveva dato il via libera al fermo. E soprattutto la volontà politica di non fare quello che un alleato come gli Stati Uniti ci ha chiesto con forza. Gran parte della partita si gioca qui.
2. LA DOPPIA STRATEGIA PER LA LIBERAZIONE SI PUNTA AI DOMICILIARI IN AMBASCIATA
Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per “La Stampa”
Italia e Iran si stanno parlando. È un dialogo continuo, fatto in superficie di note ufficiali e comunicati, e nei canali più sotterranei di diplomazia e intelligence. Quelli che si sono aperti subito, il 19 dicembre, giorno dell'arresto di Cecilia Sala. Il confronto è schietto, ma intessuto di codici e segnali reciproci.
[…] È Giorgia Meloni, e sotto di lei, Carlo Nordio, ad avere il potere di far uscire Cecilia Sala dal freddo del carcere di Evin, darle un letto, e il caldo di una stanza sicura. È il primo obiettivo a cui lavora il governo. Ma per arrivare a questo esito, la presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia devono compiere una scelta su un altro detenuto, Mohammad Abedini Najafabadi, che è in stato di detenzione cautelare su richiesta degli Stati Uniti.
L'ingegnere iraniano, che ha anche la cittadinanza svizzera, è stato arrestato il 16 dicembre a Milano, accusato dagli americani di aver fornito tecnologia sotto embargo negli Usa per i droni delle Guardie rivoluzionarie, inseriti nella black list dei gruppi terroristici.
La scelta è tra estradare Abedini o dare un dispiacere a Washington, accettando lo scambio con Sala, secondo le regole imposte da Teheran che ha trasformato la giornalista nella pedina di un gioco internazionale.
Il governo e i servizi segreti stanno predisponendo un piano, che è suscettibile di aggiustamenti in corso, a seconda delle variabili più prevedibili. Secondo quanto riferiscono fonti di primo piano dell'esecutivo, l'orizzonte della trattativa è di circa due mesi. In questo arco temporale devono succedere alcune cose precise: il compromesso proposto agli iraniani è di non consegnare Abedini agli Usa, ma senza farlo tornare in Iran, cosa che farebbe imbufalire gli americani. In cambio il governo chiede la liberazione o quantomeno di trasferire Sala nell'ambasciata italiana di Teheran, ai domiciliari.
L ULTIMO VIDEO DI CECILIA SALA PRIMA DELL ARRESTO
I segnali, si diceva: sono arrivati chiari ieri, in una nota di Palazzo Chigi, al termine di un vertice riunito da Meloni. Per la prima volta il caso Sala e il caso Abedini sono stati messi in collegamento, nero su bianco in un comunicato dove si precisa che per l'ingegnere sarà «garantita parità di trattamento nel rispetto delle leggi italiane e delle convenzioni internazionali». […]
Il tempo è il fattore che in questo momento più inquieta il governo Meloni, soffocato nella stretta tra il ricatto iraniano e la richiesta del Dipartimento di Giustizia americano. Quello che emerge della strategia italiana è la volontà di accelerare il più possibile per tentare di uscire dallo stallo prima che Donald Trump entri nei pieni poteri di presidente americano e cambi i vertici dell'intelligence.
A quel punto i servizi segreti italiani si potrebbero trovare di fronte qualcuno che non conoscono, interlocutori che sarà più complicato scontentare, perché potenzialmente in carica per altri quattro anni, mentre farlo con gli uomini dell'amministrazione di Joe Biden, che è ormai agli sgoccioli, è un rischio che Meloni sente di poter correre.
L'intelligence di Roma ha parlato apertamente ai colleghi di Washington di un precedente: l'8 dicembre 2022 la cestista Brittney Griner è stata rilasciata da una prigione russa in uno scambio di prigionieri con il trafficante di armi Viktor Bout, detenuto negli Stati Uniti. Secondo il governo, gli americani non possono impedire di tutelare in ogni modo la salute di una cittadina italiana di 29 anni, buttata in una cella senza nessun conforto.
Al ministero della Giustizia sanno che Nordio avrebbe un paio di leve per risolvere la faccenda: revocare la misura cautelare ad Abedini o non firmare l'estradizione. L'intima speranza del Guardasigilli, come del resto dell'esecutivo, è che non si arrivi a questo: la scommessa è che i magistrati milanesi della Corte d'Appello non siano conseguenti con la procura generale che ieri ha dato parere negativo alla richiesta dei domiciliari.
ELISABETTA VERNONI MADRE DI CECILIA SALA
Ma c'è un altro precedente che complica il quadro: la fuga di Artem Uss, figlio di un'oligarca russo, scappato dai domiciliari mentre pendeva su di lui la richiesta di estradizione in Usa, e la potente irritazione americana che portò Nordio a scaricare la responsabilità sui magistrati. Un trattamento che le toghe milanesi hanno bene in mente in queste ore in cui si decide sulla probabilità di aumentare il pericolo di fuga di Abedini, in caso di trasferimento in una sede consolare garantita dall'Iran.
[…]
La priorità assoluta è portare Cecilia fuori dal carcere, evitando di irrigidire un regime indebolito dalla reazione di Israele che ha falciato i suoi proxy in Libano, e dalla caduta dell'alleato Assad in Siria. I rapporti degli 007 che sono arrivati sul tavolo di palazzo Chigi, ad Alfredo Mantovano, che è l'autorità delegata, segnalano rischi potenziali per circa 500 italiani attualmente in Iran. In una società non democratica, priva di uno stato di diritto, gli arresti possono anche non avere una ragione, come nel caso di Sala.
Oppure si possono basare sul capriccio ideologico. Come è stato candidamente riferito al governo: che Sala era seguita dal ministero della Cultura iraniano, infastidito da due servizi realizzati per Chora, poi postati sui suoi profili social. Uno su Diba, 21 anni, donna che sfida la teocrazia della guida suprema Ali Khamenei con i suoi capelli corti e rosso fuoco. L'altro sulla stand up comedian Zeinab Musavi: «Lei fa così ridere che le hanno tolto Instagram» è il titolo del podcast di Cecilia. L'ultimo, datato 18 dicembre, il giorno prima dell'arresto.