“LA CINA SI TROVA IN UNA POSIZIONE ESTREMAMENTE FAVOREVOLE” - LO STORICO NIALL FERGUSON: “HA UNA GRANDE CHANCE DI RIPRENDERSI TAIWAN A BREVE, ELIMINARE LA DEMOCRAZIA AI SUOI CONFINI E CERTIFICARE LA SUA SUPREMAZIA NELL'INDO-PACIFICO, SCALZANDO GLI USA. LA CHIAVE, PER PECHINO, È NON FAR CADERE L'ORAMAI SOTTOPOSTO PUTIN E MEDIARE PER LA PACE IN UCRAINA - PECHINO HA CAPITO CHE, SE SI INVADE UNO STATO SOVRANO, LA REAZIONE MASSIMA DELL'OCCIDENTE SONO LE SANZIONI. CHE A UN PAESE COME LA CINA POTREBBERO FARE IL SOLLETICO. PERCIÒ TAIWAN È ANCORA PIÙ IN PERICOLO OGGI…”
1 - FERGUSON "LA CINA AVRÀ L'ULTIMA PAROLA"
Antonello Guerrera per “la Repubblica”
Niall Ferguson, grande storico scozzese, lei tempo fa - come Repubblica aveva anticipato l'invasione russa in Ucraina, nello scetticismo generale. «Già. Ma ora è difficile predire cosa accadrà».
Perché?
«Ci sono quattro incognite cui è oggi impossibile dare risposta. Primo: la Russia scatenerà la sua furia devastatrice in Ucraina come già visto ad Aleppo in Siria, o nella cecena Grozny? Secondo: Mosca quanto può reggere una guerra del genere dopo le dure sanzioni occidentali? Terzo: Putin quanto resisterà al potere, se le cose andranno male in Ucraina? Quarto: che cosa farà la Cina? Sono questioni a oggi imponderabili, soprattutto le prime tre».
Putin è pazzo o uno spietato calcolatore?
«Putin is not mad, is bad. Non è matto, è malvagio. Di certo è così disconnesso dalla realtà che ha sottovalutato la resistenza degli ucraini e la reazione compatta dell'Occidente. Ora è passato al "piano B", ossia fare strage nella popolazione civile. Poi toccherà a quello C: terrorizzare pesantemente l'Occidente e i paesi Nato con bombe nucleari. E qui sorge un problema».
Quale?
«Putin sa benissimo che noi, al contrario di lui, non siamo credibili nella deterrenza nucleare, e che non useremmo mai armi atomiche contro la Russia. L'Occidente non ha credibilità in questo senso, difatti ha già ceduto di schianto sull'ipotesi No Fly Zone, dopo le minacce nucleari di Mosca. Il nostro problema è che siamo deboli».
Lei lo ha scritto di recente sullo Spectator: come diceva il generale prussiano Von Clausewitz, "la guerra è la prosecuzione della politica, con altri mezzi". Ma noi non siamo pronti ad affrontarla.
«Eh già. Il soft power è inutile se non hai anche l'hard power. Almeno, da questo disastro qualcosa di buono sta avvenendo: per esempio, la Germania ha capito che non può sopravvivere senza investire nella difesa. Ma il vero problema è un altro».
Cioè?
«Gli Stati Uniti. L'amministrazione Biden è la terza di fila a soffrire di stress post-traumatico della guerra in Iraq, come già Obama e Trump. Tutti e tre i presidenti hanno cercato di ripudiare l'eredità di Bush figlio, in un modo o nell'altro. Con Obama è finita l'era dell'"America sceriffo nel mondo", Trump pensava solo alle guerre commerciali, mentre Biden e i suoi, in primis Jake Sullivan a capo della Sicurezza nazionale, si sono auto-convinti che ogni azione militare sia un autogol politico. E il partito democratico è sempre più pieno di socialisti che incolpano la Nato della guerra. Se negli anni Settanta il deterrente e le minacce nucleari degli Stati Uniti spaventavano davvero l'Urss, oggi Putin sa che non vi ricorreremo mai. Per questo ci intimidisce facilmente».
Il fiasco americano in Afghanistan la scorsa estate è stato il colpo di grazia alla credibilità americana e occidentale?
«Direi che è parte di una cascata di disastri».
Però l'Occidente è stato molto unito a sanzionare, pesantemente, Putin.
«Vero. Al contempo, però, ora Pechino ha capito che, se si invade uno stato sovrano e democratico come l'Ucraina, la reazione massima dell'Occidente sono le sanzioni. Che a un Paese come la Cina potrebbero fare il solletico. Perciò Taiwan è ancora più in pericolo oggi».
Ma nella guerra in Ucraina, a quale ruolo e influenza potrà assurgere Pechino?
«All'inizio della Guerra fredda, la Cina era il partner minoritario della Russia. Poi c'è stata la guerra di Corea e da lì i ruoli di Pechino e Mosca hanno iniziato a invertirsi. Difatti, oggi la Cina ha persino il potere di far ritardare a Putin l'invasione in Ucraina per non offuscare le Olimpiadi Invernali di Pechino! Inoltre, oggi la guerra è in Europa, e non più in Asia. Insomma, la Cina si trova in una posizione estremamente favorevole: ha una grande chance di riprendersi Taiwan a breve, eliminare la democrazia ai suoi confini e certificare la sua supremazia nell'Indo-Pacifico, scalzando gli Usa. La chiave, per Pechino, è non far cadere l'oramai sottoposto Putin e mediare per la pace in Ucraina. A quel punto, si chiuderebbe il cerchio. La Cina farebbe il salto definitivo e diventerebbe ciò che gli Stati Uniti erano negli anni Settanta: una superpotenza globale, capace anche di imporre la pace nel mondo».
2 - IL PACIERE XI JINPING NON È CREDIBILE
Carlo Pelanda per “la Verità”
Dal novembre 2021 e con più intensità dal 4 febbraio 2022, epoca dell'incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping nella Pechino olimpica, gli analisti dei think tank in molte democrazie, annotando manovre militari comuni in terra e mare e, soprattutto, il termine «amicizia perenne» tra i due autocrati, nonché i test di missili cruise ipersonici, si chiesero se l'alleanza sino-russa stesse prendendo una profondità tale da modificare il paradigma di una convergenza solo tattica.
Quando allo scrivente arrivò la domanda su quale fosse l'eventuale Grand strategy derivabile da questa svolta, la risposta fu: evidentemente consolidare il blocco del capitalismo autoritario contro quello del capitalismo democratico nel globo e, dal punto di vista di Pechino, aprire un secondo fronte in Europa per alleggerire l'azione di accerchiamento della Cina da parte dell'America nel Pacifico, combinata con l'assicurazione alla Russia che la Cina stessa avrebbe sostenuto, pur indirettamente, la pressione russa verso l'Ovest euroasiatico.
LA SPARTIZIONE DEL CONTINENTE AFRICANO
L'idea strategica condivisa (come provato dall'intelligence alleata, poi sgocciolata ai media, dell'esposizione dei piani russi ai cinesi) dai vertici militari sinorussi fu che l'amministrazione Biden e l'Ue fossero troppo deboli e divise per reagire. Quella tattica fu di cogliere tale opportunità nella primavera del 2022. Ma l'azione offensiva di Putin verso l'Ucraina si impaludò e l'alleanza G7 reagì con imprevisti compattezza e scala delle sanzioni economiche.
Pur non essendo chiare le analisi di contingenza da parte degli strateghi cinesi, appare evidente che il loro timore peggiore sia l'estensione delle sanzioni contro la Russia da parte di circa 40 nazioni ai clienti della Russia stessa. Infatti l'alleanza delle democrazie ha cominciato ad alludere con segnali iniziali e indiretti che tale estensione potrebbe essere un'opzione.
Se fosse attualizzata, l'economia cinese che è ancora totalmente dipendente dall'export, nonostante gli sforzi autarchici di Xi, subirebbe un danno molto maggiore di quella russa, che ha un ruolo marginale nel mercato globale. Ci sarebbe anche un danno per le democrazie, ma questo sarebbe meglio assorbibile visto che molte di esse stanno riducendo i rapporti con la Cina, con l'eccezione della Germania.
Ma questa, sospendendo l'apertura del gasdotto North Stream 2 - che di fatto è sine die - ha segnalato che seguirà le indicazioni dell'America. Si aggiunga che il Parlamento europeo estenderà di fatto la solidarietà all'Ucraina rinviando all'infinito la ratifica del trattato sugli investimenti comuni tra Ue e Cina: l'azione russa in Ucraina ha reso tossiche le relazioni con qualsiasi autocrazia. In sintesi, ora la Cina ha veramente paura. Lo si vede da come cerca di barcamenarsi: si astiene, invoca il rispetto dell'integrità territoriale dell'Ucraina, segnala la sostanziale continuità del sostegno alla Russia, ma ordina prudenza alle sue banche nelle relazioni finanziarie con quelle russe. Se non fosse un momento tragico, verrebbe da ridere.
Appunto, non è stata prevista la compattezza del G7 e affiliati. Probabilmente ora a Pechino stanno studiando un piano B dove, immagina lo scrivente, la Cina si metterebbe in posizione di mediatore tra Russia e Ucraina/Nato e Ue per minimizzare il profilo di rischio di sanzioni e demonizzazione, pur mantenendo l'alleanza sostanziale con Mosca. Ma per fare questa finta dovrebbe essere chiamata da qualcuno.
Chi scrive non sa se gli erbivori dell'amministrazione Biden ci stiano pensando, ma pensa che la burocrazia imperiale (carnivora) stia dando sufficienti informazioni per farli desistere: è un trucco. Tuttavia, ci sono sprovveduti politici italiani che spingono per una chiamata della Cina come mediatore, insieme a qualcun altro per migliorare la finzione.
Lo scrivente avverte che la Cina, pur avendo il potere di bloccare Putin, chiederebbe benefici agli alleati che ne aumenterebbero la centralità e immunità sul piano mondiale: sarebbe una sconfitta per le democrazie. Per esempio, L'india sta osservando il gioco in corso per decidere quanto debba spostarsi sul triangolo Russia-Cina-India, spinto nell'ultimo incontro bilaterale tra India stessa e Russia, e quanto restare in traiettoria entro l'anticinese Quad (Australia, Giappone, Stati Uniti e India): se vedesse la Cina chiamata da un Occidente bisognoso troverebbe conveniente una sua posizione terza tra i due blocchi, ma vicina alla Russia (e Mosca potrebbe monetizzare questo fatto con Pechino) come ha fatto durante la Guerra fredda. E così tanti altri.
Pertanto, se la Cina vuole disinnescare i rischi derivati dalla sua convergenza con la Russia, deve convincere riservatamente e direttamente Mosca, senza finzioni, e restare esposta a questi rischi fino a che non ci riesce. Si pregano i politici italiani di considerare il gioco globale e gli interessi sia nazionale sia delle democrazie in questa parte sottile del gioco duro tra potenze in corso. Ma chi medierà?
VERTICE VIRTUALE PUTIN XI JINPING
Nessuno può mediare in questa situazione: il confronto è tra blocchi, ha la forma di guerra aperta localizzata in Ucraina e di conflitto a bassa intensità sul piano globale e solo i blocchi stessi decideranno come gestirlo attraverso relazioni dirette di dissuasione e controdissuasione. Quello che può fare l'Italia è solo decidere in quale blocco stare e trovarvi una collocazione attiva che minimizzi i costi e dia qualche vantaggio. Poiché il blocco delle democrazie è più forte militarmente, economicamente, finanziariamente di quello autoritario non è solo morale, ma anche utile, diventarne parte significativa e non titubante o inadeguata.