COMUNIONE E LIBERAZIONE (DA FORMINCHIONI) - ARRIVATO AL CAPOLINEA, ANCHE I CIELLINI ALLENTANO IL CALCIO DELL’ASINO AL CELESTE - CI PENSA MICHELE BRAMBILLA SU “LA STAMPA”: “PENSARE CHE FORMIGONI SIA TUTT’UNO CON CL È UNA SEMPLIFICAZIONE, UN ERRORE. INVANO LO AVEVANO ESORTATO A EVITARE, AD ESEMPIO, UN CERTO DACCÒ. INVANO GLI È STATO RICORDATO CHE DON GIUSSANI CHIEDEVA, IN POLITICA, UNA “PRESENZA”: NON UNA “EGEMONIA”...

Michele Brambilla per "la Stampa"

Forse più della mannaia dei leghisti colpisce il silenzio di quello che una volta era il suo mondo. Nessuno, a quanto pare, considera più difendibile Roberto Formigoni: neanche gli amici, i quali per tempo, ma inutilmente, gli avevano consigliato di cambiare frequentazioni e di abbandonare supponenza e ostinazione.

Finisce così, salvo colpi di scena (quando c'è di mezzo la Lega c'è sempre da aspettarsi di tutto) una delle più lunghe monarchie della democrazia italiana. Il vero ventennio della Seconda Repubblica non è stato infatti quello di Berlusconi, ma quello di Formigoni.

Il quale diventa presidente della Regione Lombardia, per la prima volta, nel 1995: solo un anno dopo la prima vittoria di Berlusconi alle politiche. Ma quando Formigoni si insedia al Pirellone, il Cavaliere è già stato fatto sloggiare da palazzo Chigi. Quando poi Formigoni, presumibilmente nell'aprile dell'anno prossimo, lascerà il suo trono, Berlusconi sarà lontano dal comando già da quasi due anni.

E comunque: in questo ventennio Berlusconi a volte ha vinto e a volte ha perso le elezioni; a volte è stato al governo e a volte all'opposizione. Formigoni, invece, ha sempre vinto, anzi stravinto (quattro vittorie elettorali con la maggioranza assoluta) e ha sempre governato, sia pure su scala regionale.

In questa cronologia, probabilmente, c'è già la spiegazione di una parabola politica e umana. Per troppo tempo Formigoni è rimasto al potere: nello stesso potere. E quando si rimane troppo al potere, nello stesso potere, si finisce con il convincersi di essere infallibili, intoccabili, immortali. E si perde il contatto con la realtà.

Vedendo in questi giorni Formigoni sorridere ironico e spavaldo ai cronisti e alle telecamere, tornano alla mente i leader democristiani e socialisti di vent'anni fa, quando liquidavano i primi arresti di Di Pietro come gli avventurismi di un incauto che presto sarebbe stato trasferito a fare il vigile urbano a Gallarate. Solo un paio di anni dopo, e solo davanti alla bava alla bocca di Forlani al processo Enimont, quei politici (che pure erano vecchie volpi) tornarono sulla terra.

Quante volte il potente finisce con il credersi onnipotente. E cade. Rovinando anche il tanto di buono che aveva costruito. Perché Formigoni, in quasi quattro mandati da presidente, di cose buone ne ha fatte tante. Quando dice che «Regione Lombardia è un modello di buona amministrazione» (proprio così: «Regione Lombardia» senza l'articolo determinativo, come se fosse una persona: è il linguaggio dei manager, e lui è un presidentemanager), Formigoni certamente tira acqua al suo mulino, ma non dice una falsità. La Regione Lombardia marcia con molti meno dipendenti di tante altre. I suoi conti sono senz'altro più virtuosi. I suoi ospedali sono i migliori d'Italia.

Ma proprio perché il potere finisce con l'ottenebrare anche le menti migliori, Formigoni - l'ultimo Formigoni - è giunto a pensare che tutto gli sarebbe stato permesso. Passi per l'igienista dentale nel suo listino bloccato. Ma la giunta? In giunta Formigoni ha imbarcato di tutto. Cinque assessori finiti in manette non possono essere un caso: se un manager mette ai posti chiavi dell'azienda cinque disonesti, o cinque incapaci, vuol dire come minimo che ha perso il controllo.

E poi, mentre crescevano efficienza e potere cresceva anche, nell'uomo Roberto Formigoni, un'ambizione, una voglia di grandeur di cui la costruzione del mega-galattico Palazzo Lombardia è l'immagine più eloquente. Quanto diverso, il Formigoni di oggi, dal giovane barbuto che sembrava sempre appena uscito da un oratorio, e che iniziava l'attività politica non nascondendo - per non dire sbandierando - la sua scelta personale di vita, improntata a povertà e castità.

La politica come servizio: questa era la vocazione del Formigoni dei primi anni Ottanta. Quando cominciava a cercarsi uno spazio nella Dc con il suo Movimento popolare. C'erano, allora, meno di quattro soldi e vecchi uffici vicino alla stazione centrale di Milano, in via Copernico. A dargli una mano niente manager o consulenti d'immagine, ma un po' di volontari, giovanotti accorsi per la Causa. Formigoni aveva contro i notabili del partito, che ne temevano l'ascesa, ma aveva dalla sua un piccolo popolo.

Alle elezioni Europee del 1984 fu il primo degli eletti della Dc con 450.000 preferenze. Quando De Mita gli telefonò per complimentarsi, al centralino c'era una ragazza che rispose più o meno così: «Formigoni non può rispondere perché è in bagno». Ma un attimo dopo si corresse in questo modo: «Aspetti aspetti, sento che ha tirato lo sciacquone, adesso glielo passo».

Un altro secolo, un'altra galassia. Oggi Formigoni a Palazzo Lombardia ha un ufficio forse senza eguali in Europa. Praticamente tutto il trentacinquesimo piano. E l'eliporto. E una vista spettacolare per abbracciare tutto il suo regno. Il regno del Governatore (mai nessun presidente di Regione s'era chiamato così, prima di lui). Il regno del Celeste.

Sbaglia però chi oggi lo mette nello stesso calderone di molti altri politici finiti nel mirino della magistratura. Uomo sicuramente dotato come pochissimi, Formigoni è forse vittima di quel narcisismo che egli stesso ha recentemente riconosciuto. La sua metamorfosi - ahimè riconoscibile anche dalle orribili giacche colorate, dalle disgustose camicie a fiori e dagli imbarazzanti filmati che ha voluto mettere su You Tube - lo ha portato a credersi tanto infallibile da non ascoltare più nemmeno i vecchi amici di Cl.

Infatti anche pensare che Formigoni sia tutt'uno con Cl è una semplificazione, un errore. Invano lo avevano esortato a evitare, ad esempio, un certo Daccò. Invano gli è stato ricordato che don Giussani chiedeva, in politica, una «presenza»: non una «egemonia». Julián Carrón, il successore di don Giussani, in un'intervista al Corriere della Sera e in una lettera a Repubblica ha espresso concetti che Formigoni non ha recepito. Fino ad andare al Meeting - tra lo sconcerto di tutti - a informare che il Papa prega per lui.

Uomo che comunque non meritava un capolinea così, Formigoni cade senza realizzare il sogno del passo vincente da Milano a Roma. Cade anche per i suoi errori. Tocca a lui, adesso, sperimentare come passa la gloria di questo mondo.

 

giussani DON GIUSSANI CON I SUOI ALLIEVI NEL jpegROBERTO FORMIGONI IN CONFERENZA STAMPAformicartaFORMIGONI SULLO YACHT DI DACCO PIERANGELO DACCO'Jullian Carron - Foto PizziDon Jullian Carron - Foto PizziMICHELE BRAMBILLAantonio simone b

Ultimi Dagoreport

jd vance roma giorgia meloni

DAGOREPORT – LA VISITA DEL SUPER CAFONE VANCE A ROMA HA VISTO UN SISTEMA DI SICUREZZA CHE IN CITTÀ NON VENIVA ATTUATO DAI TEMPI DEL RAPIMENTO MORO. MOLTO PIÙ STRINGENTE DI QUANTO È ACCADUTO PER LE VISITE DI BUSH, OBAMA O BIDEN. CON EPISODI AL LIMITE DELLA LEGGE (O OLTRE), COME QUELLO DEGLI ABITANTI DI VIA DELLE TRE MADONNE (ATTACCATA A VILLA TAVERNA, DOVE HA SOGGIORNATO IL BUZZURRO), DOVE VIVONO DA CALTAGIRONE AD ALFANO FINO AD ABETE, LETTERALMENTE “SEQUESTRATI” PER QUATTRO GIORNI – MA PERCHÉ TUTTO QUESTO? FORSE LA SORA “GEORGIA” VOLEVA FAR VEDERE AGLI AMICI AMERICANI QUANTO È TOSTA? AH, SAPERLO...

giovanbattista fazzolari giorgia meloni donald trump emmanuel macron pedro sanz merz tusk ursula von der leyen

SE LA DIPLOMAZIA DEGLI STATI UNITI, DALL’UCRAINA ALL’IRAN, TRUMP L’HA AFFIDATA NELLE MANI DI UN AMICO IMMOBILIARISTA, STEVE WITKOFF, DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO, MELONI AVEVA GIÀ ANTICIPATO IL CALIGOLA DAZISTA CON LA NOMINA DI FAZZOLARI: L’EX DIRIGENTE DI SECONDA FASCIA DELLA REGIONE LAZIO (2018) CHE GESTISCE A PALAZZO CHIGI SUPERPOTERI MA SEMPRE LONTANO DALLA VANITÀ MEDIATICA. FINO A IERI: RINGALLUZZITO DAL FATTO CHE LA “GABBIANELLA” DI COLLE OPPIO SIA RITORNATA DA WASHINGTON SENZA GLI OCCHI NERI (COME ZELENSKY) E UN DITO AL CULO (COME NETANYAHU), L’EMINENZA NERA DELLA FIAMMA È ARRIVATO A PRENDERE IL POSTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, L’IMBELLE ANTONIO TAJANI: “IL VERTICE UE-USA POTREBBE TENERSI A ROMA, A MAGGIO, CHE DOVREBBE ESSERE ALLARGATO ANCHE AGLI ALTRI 27 LEADER DEGLI STATI UE’’ – PURTROPPO, UN VERTICE A ROMA CONVINCE DAVVERO POCO FRANCIA, GERMANIA, POLONIA E SPAGNA. PER DI PIÙ L’IDEA CHE SIA LA MELONI, OSSIA LA PIÙ TRUMPIANA DEI LEADER EUROPEI, A GESTIRE L’EVENTO NON LI PERSUADE AFFATTO…

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DEL PIÙ GRANDE RISIKO BANCARIO D’ITALIA? L’ASSEMBLEA DI GENERALI DEL 24 APRILE È SOLO LA PRIMA BATTAGLIA. LA GUERRA AVRÀ INIZIO DA MAGGIO, QUANDO SCENDERANNO IN CAMPO I CAVALIERI BIANCHI MENEGHINI - RIUSCIRANNO UNICREDIT E BANCA INTESA A SBARRARE IL PASSO ALLA SCALATA DI MEDIOBANCA-GENERALI DA PARTE DELL’”USURPATORE ROMANO” CALTAGIRONE IN SELLA AL CAVALLO DI TROIA DEI PASCHI DI SIENA (SCUDERIA PALAZZO CHIGI)? - QUALI MOSSE FARÀ INTESA PER ARGINARE IL DINAMISMO ACCHIAPPATUTTO DI UNICREDIT? LA “BANCA DI SISTEMA” SI METTERÀ DI TRAVERSO A UN’OPERAZIONE BENEDETTA DAL GOVERNO MELONI? O, MAGARI, MESSINA TROVERÀ UN ACCORDO CON CALTARICCONE? (INTESA HA PRIMA SPINTO ASSOGESTIONI A PRESENTARE UNA LISTA PER IL CDA GENERALI, POI HA PRESTATO 500 MILIONI A CALTAGIRONE…)

donald trump giorgia meloni

DAGOREPORT - LA DUCETTA IN VERSIONE COMBAT, DIMENTICATELA: LA GIORGIA CHE VOLERA' DOMANI A WASHINGTON E' UNA PREMIER IMPAURITA, INTENTA A PARARSI IL SEDERINO PIGOLANDO DI ''INSIDIE'' E "MOMENTI DIFFICILI" - IL SOGNO DI FAR IL SUO INGRESSO ALLA CASA BIANCA COME PONTIERE TRA USA-UE SI E' TRASFORMATO IN UN INCUBO IL 2 APRILE QUANDO IL CALIGOLA AMERICANO HA MOSTRATO IL TABELLONE DEI DAZI GLOBALI - PRIMA DELLE TARIFFE, IL VIAGGIO AVEVA UN SENSO, MA ORA CHE PUÒ OTTENERE DA UN MEGALOMANE IN PIENO DECLINO COGNITIVO? DALL’UCRAINA ALLE SPESE PER LA DIFESA DELLA NATO, DA PUTIN ALLA CINA, I CONFLITTI TRA EUROPA E STATI UNITI SONO TALMENTE ENORMI CHE IL CAMALEONTISMO DI MELONI E' DIVENTATO OGGI INSOSTENIBILE (ANCHE PERCHE' IL DAZISMO VA A SVUOTARE LE TASCHE ANCHE DEI SUOI ELETTORI) - L'INCONTRO CON TRUMP E' UN'INCOGNITA 1-2-X, DOVE PUO' SUCCEDERE TUTTO: PUO' TORNARE CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO, OPPURE LEGNATA COME ZELENSKY O MAGARI  RICOPERTA DI BACI E LODI...

agostino scornajenchi stefano venier giovanbattista fazzolari snam

SNAM! SNAM! LA COMPETENZA NON SERVE - ALLA GUIDA DELLA SOCIETÀ DI CDP, CHE SI OCCUPA DI STOCCAGGIO E RIGASSIFICAZIONE DEL GAS NATURALE, SARÀ UN MANAGER CHE HA SEMPRE RICOPERTO IL RUOLO DI DIRETTORE FINANZIARIO, AGOSTINO SCORNAJENCHI – MA DAL GAS ALLA FIAMMA, SI SA, IL PASSO È BREVE: A PROMUOVERE LA NOMINA È INTERVENUTO QUELLO ZOCCOLO DURO E PURO DI FRATELLI D’ITALIA, GIÀ MSI E AN, CHE FA RIFERIMENTO A FAZZOLARI. E A NULLA È VALSO IL NO DELLA LEGA - LA MANCATA RICONFERMA DI STEFANO VENIER, NOMINATO 3 ANNI FA DAL GOVERNO DRAGHI, È ARRIVATA PROPRIO NEL GIORNO IN CUI STANDARD & POOR HA PROMOSSO IL RATING DELLA SNAM…