L’ARIA CHE TRIA - IL CONTROPIEDE DEL MINISTRO: TUTTI I SUOI UOMINI ENTRANO NEL BOARD DI CDP – LUI IN PRIVATO DICE SPESSO: "NON DECIDERÒ TUTTO DA SOLO. MA NESSUNO PUÒ DECIDERE CONTRO DI ME" - DEL RESTO CHE TRIA PESI LO SI È VISTO PROPRIO IN QUELL'ALLARMANTE BALZO DI 9 PUNTI DEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO DECENNALI VENERDÌ ALLA SOLA IPOTESI CHE DAVVERO CONTASSE DI MENO…
Federico Fubini per il Corriere della Sera
Dopo aver giurato da ministro dell' Economia del primo governo populista dell' Italia repubblicana, Giovanni Tria rincasò la sera pieno di dubbi.
Il docente di economia abita fra Ponte Milvio e il Foro italico, quartiere lontano dalle vie dei ricchi e potenti di Roma ai Parioli o al cuore del centro storico. Tria non era tranquillo, anche perché prevedeva che le forze della maggioranza gli avrebbero mandato come suoi vice politici al ministero certe figure che da anni popolano i media e i social network con le loro premonizioni incendiarie sull' uscita dell' Italia dall' euro. Magari parlamentari leghisti come Claudio Borghi o Alberto Bagnai.
Daniele Pesco, Giovanni Tria, Claudio Borghi
Tria di stagioni rivoluzionarie ne ha già viste. Era all' Università di Pechino 40 anni fa, all' avvio delle liberalizzazioni di Deng Xiaoping. Ha vissuto a New York durante la Reaganomics degli Anni 80. Ma l' Italia del 2018, per questo professore che a settembre compirà 70 anni, è un' altra storia: per lui il cambiamento non è un tabù, ma non può diventare un salto nel buio. Senza che gli fosse chiesto da nessuno, pochi giorni dopo la nomina il ministro dette al Corriere un' intervista densa di impegni sull' euro e la tenuta dei conti. In pochi giorni Piazza Affari salì del 5,3% e i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni crollarono dello 0,7%. L' Italia recuperò un po' di normalità dopo i terremoti finanziari di maggio e Tria ne trasse una lezione politica:
«Non deciderò tutto da solo - commentò in privato -. Ma nessuno può decidere contro di me». Farlo, da allora in poi, avrebbe destabilizzato l' economia nazionale. Da allora quella massima resta implicitamente alla base dei rapporti del ministro con il resto del governo. Tria lo ha scoperto quando ha provato a indicare ai partiti figure di possibili viceministri di suo gradimento e quelli lo hanno subito accontentato: il leghista Massimo Garavaglia, un laureato alla Bocconi che aveva già dato prova di equilibrio e competenza nel consiglio di Cassa depositi, e la pentastellata Laura Castelli. Da allora varie sbandate di quest' ultima hanno rallentato la distribuzione delle deleghe ai viceministri.
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
Del resto le relazioni di Tria oggi si stanno dimostrando più fluide con la Lega, benché Luigi Di Maio di M5S fosse stato il solo leader ad applaudire all' intervista in giugno.
La regola di fondo del ministro («non si decide contro di me») resta comunque attiva e lo si vedrà martedì all' assemblea di Cdp. Tria ha sì accettato un compromesso sull' ad, chiamando un manager interno e competente come Fabrizio Palermo. Ma il consiglio di amministrazione sarà in misura determinante di stretta emanazione del Tesoro. Non solo nel consiglio allargato ci saranno il direttore generale entrante, Alessandro Rivera, e il ragioniere dello Stato riconfermato, Daniele Franco.
Anche i sei di nomina governativa nel consiglio ristretto saranno vicini al ministro: fra loro un dirigente del ministero (probabile Antonino Turicchi) e almeno un accademico di rango (si pensa a Luigi Paganetto). Dunque la lezione della battaglia per Cdp probabilmente non è che il ministro dell' Economia ora conta meno. Non perde influenza su Cassa e consolida la continuità nella squadra del ministero.
Del resto che Tria pesi lo si è visto, paradossalmente, proprio in quell' allarmante balzo di nove punti dei rendimenti dei titoli di Stato decennali venerdì alla sola ipotesi che davvero contasse di meno.
Perché questo in fondo è il punto. A Londra o a New York in queste settimane centinaia di grandi investitori si stanno chiedendo quale sia il momento per la prossima scommessa al ribasso contro l' Italia.
La loro risposta è: alla prossima Legge di stabilità, se peggiora il deficit. Quello può essere l' innesco del grande caos.
Lo sa Tria, lo sa Di Maio e lo sa Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario leghista a Palazzo Chigi che segue i dossier economici mentre Matteo Salvini martella sull' immigrazione.
Ciò non significa che i partiti rinunceranno a pretendere molto in Parlamento, in nome delle loro enormi promesse su tasse e spese. Tria capisce che la sua arma migliore resta la minaccia di dimissioni. Ma è come la dissuasione nucleare: va dosata con cura, per evitare il peggio.
salvini giorgettiGIOVANNI TRIAGIOVANNI TRIA CON NAPOLITANOALESSANDRO RIVERA giovanni triagiovanni tria gianni letta giovanni tria