
DAGOREPORT – DA DE GASPERI A TOGLIATTI, DA CRAXI A BERLUSCONI, LE SCELTE DI POLITICA ESTERA SONO SEMPRE STATI CRUCIALI PER IL DESTINO DELL’ITALIA - ANCOR DI PIU' NELL’ERA DEL CAOS TRUMPIANO, LE QUESTIONI INTERNAZIONALI SONO DIVENTATE LA DISCRIMINANTE NON SOLO DEL GOVERNO MA DI OGNI PARTITO - NONOSTANTE I MEDIA DEL NOSTRO PAESE (SCHIERATI IN GRAN MAGGIORANZA CON LA DUCETTA) CERCHINO DI CREARE UNA CORTINA FUMOGENA CON LE SUPERCAZZOLE DI POLITICA DOMESTICA, IL FUTURO DEL GOVERNO MELONI SI DECIDE TRA WASHINGTON, LONDRA, BRUXELLES, PARIGI – DOPO IL SUMMIT DI STARMER, GIORGIA DEI DUE MONDI NON PUÒ PIÙ TRACCHEGGIARE A COLPI DI CAMALEONTISMO: STA CON L’UE O CON TRUMP E PUTIN?
DAGOREPORT
HENRY TRUMAN CON ALCIDE DE GASPERI
In principio fu Alcide. Era il 3 gennaio del 1947 e De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, volò negli Stati Uniti.
Quel giorno, dopo 20 anni di regime fascista, l’Italia si ancorò stabilmente alle democrazie occidentali, una scelta di campo che avrebbe salvato un paese in macerie (il boom economico degli anni 60 fu la conseguenza della pioggia di dollari arrivati con il piano Marshall), e le cui conseguenze sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti.
Da allora, ogni leader, premier, ma anche “semplice” capo di partito, ha legato il suo destino alla politica estera.
Nonostante i media italiani di oggi, prevalentemente vicini alla Meloni, cerchino di concentrarsi sulle questioni di piccola politica domestica, le questioni davvero dirimenti sono quelle internazionali. E' sempre nell'agone mondiale che si decide il destino del Paese e quello dei suoi leader.
Soprattutto nell’era trumpiana, in cui a Washington si tenta di plasmare un "nuovo ordine mondiale" in evidente discontinuità con quanto avvenuto durante la presidenza Biden.
il destino politico dell'Italia si deciderà nelle cancellerie internazionali. Non a "Cinque minuti" di Bruno Vespa né sui divanetti di "Dritto e rovescio" di Del Debbio. Sono i rapporti con le altre potenze a decretare l’affidabilità di un politico o a “marchiarlo” come un reietto causandone la fine.
enrico berlinguer in barca a stintino
Togliatti sarà sempre ricordato per la Svolta di Salerno del 1944, con cui accantonò ogni velleità rivoluzionaria in cambio di una legittimazione internazionale (il Pci era il più grande partito comunista in Europa) che gli permise di entrare nel primo governo repubblicano come ministro della Giustizia.
Per rimanere nel Pci, il destino di Enrico Berlinguer è legato al suo “Eurocomunismo”, con cui slegò il partito dal giogo sovietico per ancorarsi a sua volta al fronte euro-occidentale: "Mi sento più sicuro stando di qua, sotto l'ombrello Nato".
Posizioni che di certo furono accolte a Washington con giubilo, al contrario dell’affaire Sigonella.
silvio berlusconi con bush e putin
Era il 1985 e Bettino Craxi, primo presidente del Consiglio socialista, si dimenticò che l'Italia aveva perso la guerra. E rifiutò di consegnare agli Stati Uniti di Reagan i terroristi palestinesi, guidati da Abu Abbas, che avevano sequestrato e dirottato la nave Achille Lauro, gettando in mare l'ebreo americano disabile Leon Klinghoffer.
Era il 1985 e in molti giudicarono l’operato del presidente del Consiglio una manifestazione di sovranità. La stessa che però, probabilmente, provocò anche la sua fine politica.
arianna polgatti matteo salvini al papeete 2
A mettersi contro gli Stati Uniti, e compromettere le alleanze internazionali, si rischia di bruciarsi. Lo sa bene anche Silvio Berlusconi che nel 2011 cadde non tanto per le storiacce di prostitute e minorenni a Palazzo Grazioli, ma per i suoi stretti rapporti d'affari con Putin (vedi l’operazione Mentasti, la compravendita di gas russo, i rapporti tra Gazprom e Eni).
BERLUSCONI PUTIN VILLA CERTOSA
Un “posizionamento” che trasformò il Cav, agli occhi degli americani, ma anche di francesi e tedeschi, in un politico "inaffidabile" e nel novembre 2011 il suo governo, malgrado la maggioranza in Parlamento, fu fatto fuori a colpi di spread e speculazione internazionale sui titoli italiani, venduti in massa.
Ecco, i rapporti con l’Ue sono un altro tassello cruciale nella politica italiana. Le raccomandazioni, gli inviti alla prudenza di bilancio, infine il Pnrr: è il famoso "vincolo esterno" che, di fatto, commissaria la sovranità di Roma.
Il minimo dei rapporti tra l’Italia e l’Ue si ebbe, probabilmente, con il primo governo Conte, l’esecutivo gialloverde formato da due partiti, Lega e Movimento 5 Stelle, che avevano vinto grazie a una fervida campagna no-euro. Matteo Salvini, complici gli economisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai, chiedeva addirittura l’uscita dall’euro.
E per poco lui e Di Maio, che all’epoca non era ancora la riserva del Continente, non ci riuscirono: solo la saggezza di Mattarella (di cui Luigino chiese l’impeachment) si oppose alla nomina di Paolo Savona, autore della teoria del “cigno nero” sulla possibile Italexit, come ministro dell’Economia.
Fu proprio la postura internazionale di quel governo (putiniano e filo-cinese, al punto da firmare il memorandum sulla Via della Seta) a causare la fine dei loro sogni di potere.
La "scissione del Papeete" fu in sostanza una uscita di Salvini da palazzo Chigi all’apice di una tensione nata nel 2018, con lo scandalo Metropol e i presunti fondi russi alla Lega (inchiesta poi archiviata) e proseguita a colpi di sbandate putiniane e tirate anti-establishment (tra "pezzi di merda del Mef" e un lungo tira e molla con Bruxelles sulla manovra).
Fu poi Trump, nel suo prima mandato alla Casa Bianca, a porre a “Giuseppi” un fragile sigillo di atlantista, necessario per la svolta a sinistra che permise all’Avvocato del popolo di guidare un governo con il Pd, senza rinnegare la sua posizione “anti-bellicista” che ancora oggi lo contraddistingue, e che durante il Covid lo portò ad accettare la sfilata dei carri armati russi per le vie italiche.
Draghi fu un passo ulteriore: con una personalità come la sua, ex Presidente della Bce e molto influente nei palazzi del potere, la proiezione internazionale dell’Italia ha avuto una spinta senza precedenti.
La foto di “Mariopio” con Macron e Scholz in viaggio per Kiev è ancora rimpianta dai funzionari della Farnesina e del Quirinale.
Infine, è arrivata Giorgia Meloni. La premier ci ha tenuto fin da subito a diventare una "Draghetta" (all'opposizione aveva sparato ogni giorno contro il governo Draghi), collocandosi furbescamente dalla “giusta” parte, dopo anni di urla e strepiti contro l’Europa, e certe ambiguità post-missine rispetto all’America.
mario draghi olaf scholz emmanuel macron sul treno per kiev
Eccola, diventata premier, che manifesta solidarietà con l’Ucraina, si fa baciare la capoccia da Joe Biden, vantandosi del rapporto diretto e privilegiato con “Sleepy Joe”, e in Europa si è proposta come "sovranista buona", a differenza dei puzzoni Orban, Le Pen e Salvini. Fino all’arrivo di Trump, che le ha tolto la maschera.
Le sparate del tycoon costringono la premier italiana a un eterno equilibrismo, zigzagante tra il suo ruolo di capo-partito sovranista e quello di presidente del Consiglio.
joe biden giorgia meloni vertice nato vilnius 4
Pungolata dal trumputiniano Salvini, che ogni giorno gioca a rendere evidente il suo “tradimento” rispetto al sovranismo dei bei tempi, costretta dal suo ruolo (e dai miliardi con cui l’Ue tiene a galla il Pil italiano attraverso il Pnrr) a dover mediare con l’Europa, Giorgia Meloni si ritrova a dover scegliere da che parte stare.
Consapevole che, come successo da De Gasperi in poi, sarà la politica estera a sancire il suo destino. A incoronarla Statista o a respingerla come una meteora saranno le sue scelte sulle questioni internazionali.
Ps. La discriminante della politica estera vale anche per Pd e M5s. Conte e Schlein, si stanno arroccando su posizioni "pacifinte" e anti-Ue, scompaginando i loro partiti.
Urlare contro il riarmo e il "bellicismo" avrà come unico risultato quello di isolarli e renderli inaffidabili di fronte agli alleati europei (la sinistra pragmatica dei socialisti Ue è su posizioni molto diverse da quelle in modalità centrosociale dei progressisti italiani)
DONALD TRUMP E GIORGIA MELONI A MAR-A-LAGO
DAZIAMI MA DI BACI SAZIAMI - MEME BY EMILIANO CARLI
joe biden e giorgia meloni - vignetta by natangelo
SALVINI CON LA MAGLIA DI PUTIN
BERLUSCONI PUTIN VILLA CERTOSA
BERLUSCONI E PUTIN A VILLA GERNETTO