SUL PONTE SVENTOLA BALENA BIANCA - SUL CASO CANCELLIERI SI RINNOVA LA BATTAGLIA TRA I POST-DEMOCRISTI RENZI E LETTA (DAI CAVALLI DI RAZZA DC AI DUE GALLI DEL POLLAIO PD)

Filippo Ceccarelli per "La Repubblica"

In assenza di voti, di conteggi, di vincitori e di vinti, la chiacchiera politica non disdegna interrogativi tanto vani quanto pretestuosi nella loro acuminata malizia. E dunque: se Renzi si fosse trovato al posto di Letta a Palazzo Chigi, avrebbe chiesto al ministro Cancellieri di farsi da parte?

E se invece fosse toccato a Letta di conquistare il Pd, avrebbe il giorno stesso innalzato il livello di guerriglia permanente contro un premier del suo stesso partito?
In altri termini - e qui la questione si fa più complessa - è il ruolo o l'ambizione a determinare i comportamenti? Comunque se ne vedranno delle belle, oppure delle brutte, in ogni caso se ne vedranno e anzi già da ieri se ne sono cominciate a vedere, tra Renzi e Letta, i due galletti del pollaio democratico.

Chi si appassiona ai bestiari del Pdl, falchi, colombe, eccetera, sappia che la tradizione della Dc, la Balena bianca, era ben ricca di animali, galli e capponi appunto, somari, ronzini e cavalli di razza. Ma se invece dell'immaginario della zoologia, si preferisce misurare i due su quello certo meno primordiale dell'utensileria, è bene sapere che Letta si è proclamato alfiere del cacciavite, mentre Renzi ha pubblicamente rivendicato il trapano.
Nulla dice che i due strumenti siano, oltre che entrambi utili, specialmente incompatibili.

Ma trattandosi di una faccenda di potere, la sempre meno strisciante rivalità fra il presidente e il sindaco pare destinata a riempire le cronache oltre ogni ragionevole aspettativa. Ma con l'aggravante che ora l'uno ora l'altro, cresciuti alla gran scuola dello scudo crociato, faranno di tutto per dissimularla, a costo di sfidare non solo la verità, ma anche il buon senso.

Su questo esiste già una vasta letteratura che con qualche scrupolo si riporta qui nella sua più spudorata ambiguità, mozziconi d'ipocrisia tipo: «Niente paura, io tifo Enrico»; come pure: «Io e Matteo? Non riusciranno a metterci contro». Ieri, per dire, Matteo ha anche avuto il cuore di sostenere che la caduta, meglio la cacciata di Cancellieri renderebbe il governo «più forte, non più debole». Ma la temeraria valutazione fa il paio con quella espressa qualche settimana fa negli Usa da Enrico, secondo cui «una forte leadership del Pd non lede il governo, ma pensi che gli giovi».

Beati loro. E beata anche l'inutile sequela di patti che Letta e Renzi, animati da spirito costruttivo e buona volontà, avrebbero via via siglato in luoghi quotidiani od impervi, dinanzi a una schiacciatina come in cima alla torre di Palazzo Vecchio.

In realtà una certa praticaccia del comando, e quindi anche delle umane debolezze, porta a considerare che l'uno vuole restare al governo a tutti i costi, e a questo non sempre nobilissimo scopo dedica ogni (anche) inconfessabile sforzo; mentre l'altro scalpita a più non posso, inseguendo i suoi sogni smisurati e intanto coglie qualsiasi (anche) sensata occasione - dai tentennamenti sulla decadenza di Berlusconi alla legge elettorale, dall'Imu all'amnistia, dall'affare Shalabayeva a quello Cancellieri - per mettere i bastoni fra le ruote a Palazzo Chigi.

Perché è lì che vuole andare lui, e spedendo Letta «in Europa», come si sente dire di un astronauta da lanciare in orbita. Tra parentesi, a luglio il presidente del Consiglio si è messo in comunicazione con l'astronauta Parmitano e si è offerto: «Se c'è posto, vengo lassù anch'io». Ma poi, come si sa, è rimasto a Roma, ha «messo la faccia » e «offerto il petto» a favore di Alfano e tante altre belle cose.

La dinamica insomma è abbastanza chiara; il congresso e le primarie di un Pd ormai ridotto a uno straccio paiono il classico diversivo, o al massimo uno specchietto per allodole.

Chi è stato alla Leopolda ha capito che Renzi non punta al partito, ma all'Italia. Ieri ha affrontato tali e tanti argomenti (Sardegna, difesa del suolo, lavoro, scuola, Europa, Bce, patto di stabilità, terra dei fuochi, Imu alla Chiesa, omofobia, Porcellum) da prefigurare un vero e proprio programma di governo. Come concessione pop si è prenotato un posto di conduttore tv; ai più colti ha dedicato una citazione (la solita) di Talleyrand; per i più ispirati, tramite Steve Jobs, si prodotto in un richiamo alla pazzia, si spera dimentico dello sventurato luogo comune berlusconiano.

Letta se n'è stato zitto per tutto il giorno. Poi ha parlato e non si è votato. La chiacchiera politica è ben lungi dallo spegnersi.

 

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