INVECE DELL’ESILIO DORATO, UN BUCO IN TESTA - SALEH ERA SCAMPATO A UN ATTENTATO NEL 2011, MENTRE CADEVANO COME MOSCHE I VARI GHEDDAFI, BEN ALI E MUBARAK. MA LUI NON SE NE VA, RESTA NEL PAESE E PIANIFICA IL RITORNO, DOPO 35 ANNI DI DOMINIO SULLO YEMEN. SI ALLEA COI RIBELLI HOUTHI, CHE PERÒ SOTTO LE BOMBE SAUDITE LO ACCUSANO DI TRADIMENTO. E IL RISULTATO È TRUCULENTO (VIDEO)
Il cadavere di Saleh (video Vietato ai Minori)
Giordano Stabile per www.lastampa.it
Il corpo trascinato in una coperta, con la testa maciullata, filmato e fotografato per mostrare al mondo che era davvero morto. La fine di Ali Abdullah Saleh assomiglia a quella di Muammar Gheddafi, anche se la cosiddetta primavera araba se l’è portato via con sei anni di ritardo. Saleh era l’ultimo di una generazione di raiss, i Mubarak, i Ben Ali, Gheddafi appunto, saliti al potere sull’onda del nasserismo e del nazionalismo. Ma per Saleh, 75 anni, padrone dello Yemen del Nord dal 1978, e di tutto il Paese dal 1990 al 2012, il destino ha dovuto fare un secondo giro.
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La rivolta del 2011 si era conclusa, dopo un attentato che gli era quasi costato la vita, con le sue dimissioni a favore del vicepresidente Abd Rabbo Mansour Hadi. Era il 27 febbraio 2012, poteva essere una fine incruenta, un esilio dorato. Saleh invece sceglie di restare e prepara la rivincita. A Sanaa, la capitale, è di casa: è nato in un villaggio a 15 chilometri di distanza, appartiene a una delle tribù più influenti nel Nord. Mansour Hadi è un uomo del Sud, odiato dalla maggioranza della popolazione locale, di fede zaidita, corrente dello sciismo.
L’occasione del riscatto viene offerta a Dakeh dal movimento sciita Houthi. Sono in parte nostalgici della vecchia monarchia che Saleh ha contribuito ad abbattere nel 1962. Poco importa. Formano assieme un’alleanza che in poche settimane costringe Mansour Hadi alla fuga. E’ il febbraio 2015. Inizia la guerra civile yemenita. A marzo l’Arabia Saudita lancia una coalizione sunnita per rimettere al suo posto Mansour Hadi. Il vero nemico non è Saleh. Sono gli Houthi, sospettati di volersi trasformare in un altro Hezbollah e diventare la longa manus dell’Iran ai confini del Regno.
All’offensiva partecipano sauditi (soprattutto con l’aviazione), emiratini e sudanesi, che ci mettono la carne da cannone. I guerriglieri Houthi, gente di montagna, in grado di campare con un pezzo di pane e qualche dattero, mettono in scacco le forze sunnite al Nord, e cedono lentamente al Sud, dove la coalizione avanza appena oltre Aden. Lo Yemen si spacca di nuovo in due: il Nord agli sciiti e alle forze rimaste fedeli a Saleh, la vecchia Guardia presidenziale; il Sud a Mansour Hadi.
Il Nord è però sotto assedio, circondato da terra e dal mare. La fame, i bombardamenti, il colera fanno migliaia di vittime. Gli Houthi sono costretti ad arruolare ragazzi sempre più giovani. I militari di Saleh vengono emarginati, e in alcuni casi umiliati. Cominciano i primi scontri. L’ex presidente capisce che non ha futuro e vede il suo Paese in agonia. Prova a cambiare campo, a intavolare una trattativa con i sauditi. Domenica lancia un appello alla coalizione dalla sua tv. Dispone ancora di mille uomini fidati. Pochi.
Il leader dei ribelli sciiti, Ali al-Houthi, lo dichiara «traditore». Ordina ai suoi di trovarlo e ucciderlo. I miliziani assaltano gli uffici del suo partito, la tv, distruggono le sue residenze. I sauditi cercano di aiutarlo con decine di raid ma gli Houthi hanno la meglio, dopo una giornata di furiosi combattimenti, 200 morti, molti civili. Ieri mattina l’epilogo. Saleh prova a scappare verso il suo villaggio natale. Viene intercettato. Forse ucciso da un colpo di un cecchino. Gli Houthi ora sono soli davanti alla coalizione sunnita, senza neanche il paravento di un ex presidente che si sentiva legittimo. A Riad il figlio di Saleh, Ahmed, ha assunto la guida della sua tribù e promette vendetta. A Sanaa comincia una lunga notte.