’NDRANGHETA PIA E LA DIA INDAGA SUL GRAND HOTEL VENDUTO DALLE “DAME DEL SACRO CUORE” ALLE COSCHE

Angela Camuso per "l'Unità"

L'affare andò in porto alla vigilia del Giubileo. La 'ndrangheta comprò dalla Congregazione «Dame apostoliche del Sacro Cuore», per 13 miliardi di vecchie lire, l'ex convento che è oggi il bellissimo Grand hotel Gianicolo, in viale delle Mura Gianicolensi a Roma, struttura che vanta un'eccellente vista sulla basilica di San Pietro, una piscina e due giardini con statue e fontane.

Su questa vicenda è a una svolta l'indagine della Direzione investigativa antimafia di Roma che ha scoperto che fu la cosca dei Saccà di Gallico, nel reggino, a finanziare la compravendita, servendosi di un mutuo bancario concesso senza che l'istituto di credito avesse reali garanzie bensì solo un elenco di uliveti e immobili in Calabria di non verificato valore.

I Saccà sono storicamente legati agli Alvaro della Piana di Gioia Tauro, quelli che si erano comprati anni fa il Cafè De Paris di via Veneto. E nel 2011 sempre la Dia scoprì che anche dietro la proprietà dell'antico ed elegante bar Caffè Chigi, con sede davanti il palazzo del governo, ugualmente grazie a ingiustificati finanziamenti astronomici delle banche, c'era un Saccà, Carmine, insieme a Francesco Frisina, esponenti entrambi di due rispettive 'ndrine radicate nella capitale e finiti in carcere questo gennaio.

Proprio tra le carte sequestrate in quell'occasione è spuntato il collegamento tra le cosche e la società che nell'estate del '99, giorno 24 giugno, presso uno studio notarile a Roma acquistò dalla Curia l'ex monastero, trasformato Grand hotel in tempi record, in pochi mesi, tanto da attirare già all'epoca i sospetti delle forze dell'ordine.

Un esposto anonimo arrivò al commissariato di quella zona, il quartiere di Monteverde Vecchio, per far notare a chi di dovere che dietro quell'opera faraonica c'erano alcuni calabresi venuti dal nulla. L'Antimafia prese in carico il fascicolo, ma il lavoro a un certo punto si arenò, si sospetta perché i Saccà seppero in anteprima degli imminenti accertamenti a loro carico e in qualche modo condizionarono l'esito giudiziario dell'attività istruttoria.

Ora, grazie ai documenti spuntati fuori nel corso della provvidenziale perquisizione di due anni fa, l'indagine, resuscitata e guidata dal vicequestore aggiunto Giuseppe Putzo, sta prendendo vigore man mano che gli accertamenti contabili vanno avanti. Si attendono le prossime mosse della magistratura di Reggio Calabria, competente per il luogo di residenza formale degli indagati che di fatto però sono domiciliati a Roma per capire se lo Stato riuscirà a strappare dalle mani della criminalità questo gioiello architettonico in uno dei luoghi più suggestivi della Città eterna.

I responsabili delle «Dame Apostoliche del Sacro Cuore», facenti capo al Vaticano, erano ignari, secondo quanto emerso finora, di chi fossero in realtà i loro veri acquirenti. Tuttavia la Dia di recente ha ascoltato come testimone l'attuale responsabile della Congregazione, visto che il suo predecessore, all'epoca in cui fu firmato il rogito, è morto.

Il monsignore, però, avrebbe detto di non essere in grado di fornire le indicazioni richieste sulle questioni contabili ancora oggetto di approfondimenti. Una di queste questioni è l'effettivo prezzo pagato dai calabresi alla Chiesa: il valore reale (e di mercato, anche prima del Giubileo di 13 anni fa) sarebbe decisamente superiore per la bellezza dell'epoca di quel superbo palazzetto barocco, infatti, sarebbe superiore a quei 13 miliardi di lire che risultano sul rogito.

Sulla carta, la società «Arcobaleno» acquistò l'albergo: titolare l'incensurata Marisa Mattiani, moglie di Francescantonio Saccà, nipote del grande defunto capomafia Carmine Alvaro. La Mattiani è anche cognata di Vincenzo Saccà: secondo gli investigatori è uno dei reali proprietari insieme a un altro della famiglia, Emilio Saccà del Grand Hotel panoramico, spaventosa macchina di soldi, con un fatturato che sfiora i dieci milioni di euro l'anno.

Gli indagati per quella che appare l'ennesima maxi-operazione di riciclaggio di denaro sporco a Roma, soldi frutto di droga, estorsioni e omicidi, hanno la fedina penale pressoché pulita, tranne qualche denuncia per abusi edilizi.

Oltre ai loro legami, di parentela, affari e frequentazioni, con personaggi di spicco della mafia calabrese contro di loro ci sono gli accertamernti effettuati dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di Finanza. I redditi da loro dichiarati non sono compatibili con quel mega investimento immobiliare e questa circostanza potrebbe essere utilizzata dalle forze di polizia per chiedere al tribunale di prevenzione un provvedimento di sequestro preventivo del bene sospettato di essere frutto di riciclaggio.

 

GRAND HOTEL GIANICOLO A MONTEVERDE VECCHIODROGA NDRANGHETAIl clan della ndrangheta NDRANGHETA

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