DIETRO LA SVOLTA ANTI-OCCIDENTALE DI PUTIN NON C'E' SOLO L’INVASIONE DELL’IRAQ DA PARTE DEGLI USA MA ANCHE L'INCORAGGIAMENTO DATO DAGLI OCCIDENTALI ALL’INDIPENDENZA DEL KOSOVO, DICHIARATA NEL FEBBRAIO 2008 - DA ALLORA LA TENSIONE TORNÒ A CRESCERE, CON L'INVASIONE DA PARTE DI MOSCA DELLA GEORGIA E L'AGGRESSIONE ALL'UCRAINA COLPEVOLE DI AVERE SPODESTATO A FUROR DI POPOLO UN PRESIDENTE ELETTO CHE AVEVA DISDETTO IMPORTANTI ACCORDI CON L'UE (NON CON LA NATO) – TUTTE LE GUERRE DEL DOPOGUERRA: COMINCIO’ TUTTO NEL 1944 QUANDO CHURCHILL INCONTRO’ A MOSCA STALIN IN UN VERTICE IN CUI ERA ASSENTE IL PRESIDENTE USA ROOSEVELT
Federigo Argentieri per “la Lettura - Corriere della Sera”
Il secondo dopoguerra iniziò a tutti gli effetti nell'ottobre del 1944, quando Winston Churchill si recò a Mosca per un vertice con Stalin, cui era assente il presidente Franklin Delano Roosevelt, impegnato in quella che sarebbe stata la sua quarta e ultima rielezione. Per qualche motivo assai misterioso si tratta di un incontro poco trattato dalla storiografia, mentre invece ebbe un'influenza decisiva su tutto il dopoguerra, fin quasi alla fine del secolo.
Roma era stata liberata a inizio giugno, Parigi a fine agosto, la Germania era in ritirata sia a est che a ovest: un anno dopo l'incontro di Teheran si poteva cominciare a tirare le somme. Il famoso scambio di bigliettini, con la percentuale di influenza che ciascuno avrebbe avuto su Bulgaria, Romania, Ungheria, Jugoslavia e Grecia avrebbe avuto notevole influenza sulla sorte di ciascun Paese, in particolare gli ultimi tre, destinati ad attraversare crisi devastanti.
winston churchill fa il segno della vittoria
Forte del 90% dell'influenza attribuitagli per la Grecia, Churchill non tardò a servirsene: gli inglesi scatenarono dal 3 dicembre al 12 febbraio 1945 una selvaggia repressione contro la sinistra greca, giustamente individuata come assai più forte dei sostenitori della monarchia fascistoide, uccidendo migliaia di semplici militanti e simpatizzanti allo scopo di facilitare il ritorno al potere dei loro amici moderati.
Come ha raccontato lui stesso, Churchill ebbe la faccia tosta, parlando alla Camera, di dire che ad Atene era stata soppressa un'insurrezione «trotskista», in modo tale da non offendere Stalin con la parola «comunista»; e come rilevò il «Guardian» in occasione del settantesimo anniversario, si tratta di uno dei (numerosi) «segreti sporchi» nella storia della Gran Bretagna, sempre pronta ad autocelebrarsi, meno a indagare sulle pagine buie. Da parte sua, Stalin non si lasciò impressionare, essendo in procinto di incassare il suo 90% di quota sulla Romania, dove non a caso il partito comunista locale si sarebbe insediato al potere poco dopo.
FRANKLIN DELANO E ELEANOR ROOSEVELT
La guerra civile greca riprese nel 1946 in seguito al rifiuto della sinistra di riconoscere la restaurazione monarchica e si concluse nel 1949 con la vittoria di quest' ultima, grazie anche all'appoggio decisivo degli Stati Uniti, subentrati alla Gran Bretagna, e all'abbandono da parte della Jugoslavia dell'appoggio ai ribelli dopo la rottura tra Tito e Stalin. Il secondo conflitto riguardò l'Ungheria, divisa fifty-fifty nell'incontro di Mosca, che aveva potuto tenere libere elezioni nel 1945 nelle quali i comunisti avevano ottenuto il 17%.
Il loro capo Mátyás Rákosi non tardò a instaurare una dittatura talmente settaria da suscitare lo sconcerto dei dirigenti sovietici post-staliniani, le cui direttive spesso confuse e contraddittorie però aumentarono la rabbia popolare in tutti e quattro i principali satelliti: dapprima Cecoslovacchia e Germania Est, i cui moti popolari nel giugno 1953 sarebbero stati definiti «nazisti» da Pci e Psi in coro, poi la Polonia con Poznan tre anni dopo, infine l'Ungheria, la cui ventata rivoluzionaria nell'autunno del 1956 ebbe forti somiglianze con quella ucraina degli ultimi vent' anni.
L'amministrazione di Dwight Eisenhower, in procinto di essere riconfermata al potere, mandò chiari messaggi ai sovietici, secondo cui gli Usa non erano interessati a contrarre alleanze con gli ungheresi. Dal canto suo Anthony Eden, ex ministro di Churchill succedutogli a capo del governo di Londra, pensò bene di escogitare una spedizione punitiva contro l'egiziano Gamal Abdel Nasser colpevole di avere nazionalizzato il canale di Suez, la quale ebbe esito catastrofico ma servì egregiamente a distrarre l'attenzione da Budapest.
Da notare tre cose: l'Ungheria non voleva la Nato ma una neutralità affine a quella ottenuta dall'Austria un anno prima; l'uscita dal patto di Varsavia fu decretata dopo, non prima, il secondo intervento sovietico; infine, i documenti relativi a Suez risultano ancora indisponibili negli archivi britannici. Inoltre, le velenose falsità rovesciate da Mosca e dai suoi accoliti (soprattutto, ma non solo, italiani) contro ungheresi e ucraini, a 65 anni di distanza, si assomigliano in modo inquietante: l'unica differenza è che nel 1956 l'accolito era Palmiro Togliatti e oggi è Matteo Salvini, a dimostrazione ulteriore che la storia è dapprima tragedia e poi si ripete come farsa.
Un decennio dopo, furono nuovamente la Grecia e poi la Cecoslovacchia a salire alla ribalta: di fronte a una sinistra che aumentava i consensi, nel 1967 fu deciso con il pieno appoggio degli Usa e della Nato di sostituire la monarchia parlamentare di Atene con un regime militare, mentre a Praga e Bratislava gli effetti tardivi del disgelo kruscioviano producevano un graduale trapasso dall'oppressiva rigidità burocratica a un'atmosfera di creatività e di ritrovato consenso popolare verso un partito comunista, guidato da Alexander Dubcek, inconsapevolmente trasformatosi in socialdemocrazia di tipo nordico, aperta al confronto politico, alla sperimentazione economica e alla completa espressione culturale.
Il nuovo capo del Cremlino, Leonid Breznev non tardò a mettere in moto un meccanismo di accerchiamento, mobilitando tutti i satelliti confinanti con la Cecoslovacchia, più la Bulgaria, allo scopo di soffocare al più presto un esperimento giudicato molto pericoloso per la ventata di libertà che implicava.
L'intervento armato del 21 agosto 1968 fu un'altra tragedia europea e mondiale: nonostante il carattere sempre assolutamente pacifico degli otto mesi e mezzo noti come Primavera di Praga, da esso arrivarono morte e distruzione, dolore ed esilio, oltre a un altro ventennio di oppressione ottusa e burocratica. Molto interessante notare che, come rilevò Hannah Arendt in un brillante e poco noto saggio del 1958 sulla rivoluzione ungherese, l'imperialismo totalitario moscovita, contrariamente a quello occidentale, può essere influenzato in modo decisivo dai Paesi che opprime. E infatti Mikhail Gorbaciov, arrivato al potere a metà degli anni Ottanta, avrebbe seguito una linea fortemente improntata al tipo di aperture e di riforme precedentemente realizzate in Cecoslovacchia.
il tentativo di colpo di Stato contro Mikhail Gorbaciov
Tornando indietro agli anni Settanta, la giunta militare greca era entrata in grave crisi dopo la strage di studenti del dicembre 1973. Presa dal panico, anche a causa della crisi economica, nel luglio dell'anno successivo cercò di approfittare della situazione cipriota, dove le popolazioni greca e turca si combattevano senza esclusione di colpi fin dall'indipendenza del 1960, nientemeno che con il tentativo di annettere l'isola.
Allarmati dal rischio di fratture nella Nato, cui anche la Turchia aveva aderito fin dal 1952, gli Stati Uniti dettero luce verde a un'invasione militare turca da nord, la quale contribuì a creare una divisione che ancora oggi - a quasi mezzo secolo di distanza - appare insormontabile. Si diceva delle riforme di Gorbaciov, che decollarono in modo decisivo nel 1988, anno in cui lo stesso Dubcek uscì dal suo confino ventennale grazie a una nota intervista rilasciata a Renzo Foa. Nel marzo di quell'anno, il capo del Cremlino effettuò una visita a Belgrado, capitale di una Jugoslavia anch' essa spartita fifty-fifty nel 1944 e da otto anni orfana di Tito.
IL MARESCIALLO TITO E I PARTIGIANI JUGOSLAVI NEL 1944
Egli disse ai nuovi dirigenti che non solo Stalin aveva sbagliato quarant' anni prima, ma che Tito aveva avuto pienamente ragione e che il modello da lui costruito era uno degli esempi che lo stesso Gorbaciov era intenzionato a seguire. Questa dichiarazione paradossalmente segnò l'inizio della fine del regime, che si sarebbe sfaldato nel giro di tre anni in conseguenza della trasformazione di alcuni dirigenti delle repubbliche in sciovinisti estremi, mentre altri più prudenti tentavano l'aggancio con l'Ue, creata a Maastricht in concomitanza con la fine dell'Urss.
La mancata differenziazione tra gli uni e gli altri, compiuta sia da Washington che da Bruxelles, quest' ultima nonostante i saggi consigli del francese Robert Badinter, portò a gravi conseguenze e a un'accentuazione delle guerre di successione, ulteriormente aggravata dalla terribile insipienza di un'Onu incapace perfino di analizzare la situazione reale esistente e di concordare un minimo di intervento dotato di qualche efficacia. Non servì molto tempo perché emergesse con chiarezza che il problema principale era la furia del presidente serbo Slobodan Milosevic, deciso a scatenare guerra e repressione ovunque fossero presenti popolazioni serbe, in modo non dissimile da quanto attualmente compiuto da Vladimir Putin con quelle russe nei territori dell'ex Urss.
Dopo la terribile strage di Srebrenica, villaggio di popolazione musulmana nella parte serba della Bosnia, avvenuta nel luglio 1995, l'amministrazione di Bill Clinton, d'accordo con la Russia di Boris Eltsin, dichiarò concluso il mandato delle inefficientissime Nazioni Unite e investì la Nato del compito di porre fine a una guerra che aveva già mietuto decine di migliaia di vite umane. L'operazione riuscì in Bosnia, ma tre anni e mezzo dopo fu necessario un altro pesante intervento di dubbia legalità internazionale contro la Serbia, dove il caparbio Milosevic aveva scatenato una feroce repressione contro la maggioranza albanese presente in Kosovo.
Quest' ultimo in Jugoslavia aveva lo status di regione autonoma, non di repubblica: l'incoraggiamento dato dagli occidentali alla sua indipendenza, dichiarata nel febbraio 2008, irritò moltissimo la Russia di Putin - oltre naturalmente alla Serbia - la quale riteneva non a torto che ci fosse stato un accordo non scritto di riconoscere solo quelle entità che avevano lo status di repubbliche, sia nell'ex Urss che nell'ex Jugoslavia.
Da allora la tensione tornò a crescere, con l'invasione di due regioni russofone della Georgia - l'Abkhazia e l'Ossezia del sud - seguita 5 anni dopo dall'aggressione all'Ucraina colpevole di avere spodestato a furor di popolo un presidente eletto che aveva disdetto importanti accordi presi con l'Ue - non con la Nato - e di non nascondere il suo desiderio di staccarsi dalla Russia in base a una narrativa storico-culturale completamente diversa, nonché molto più convincente, di quella putiniana. Il resto è storia di questi giorni, ma le versioni calunniose e denigratorie delle legittime aspirazioni di Kiev ricordano tragicamente quelle scatenate 65 anni fa contro l'Ungheria, le quali furono poi seguite a lunga distanza da tardivi pentimenti e andate a Canossa da parte di molti di coloro che le avevano profferite: chissà che lo stesso non avvenga anche per l'Ucraina, sebbene il detto marxiano sulla tragedia seguita dalla farsa non andrebbe dimenticato.
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