
SULLA DIFESA EUROPEA LA POLITICA ITALIANA È DISARMATA E DISARMANTE – IL PIANO DI RIARMO DI URSULA VON DER LEYEN, CHE SARÀ VOTATO OGGI AL PARLAMENTO EUROPEO, SPACCA SIA LA DESTRA CHE LA SINISTRA – LA LEGA È SCHIERATA SUL NO SENZA CONDIZIONI, FORZA ITALIA È PER IL “SÌ CONVINTISSIMO”, E FRATELLI D’ITALIA STA NEL MEZZO: APPROVERÀ SOLO LA TESI FINALE, NON L’INTERA RISOLUZIONE, E VOTERÀ CONTRO IL “BUY EUROPEAN” (ACQUISTARE SOLO DA AZIENDE UE) VISTO COME FUMO NEGLI OCCHI DA TRUMP – I PACIFINTI DI M5S E AVS SONO SULLE BARRICATE CONTRO IL “REARMEU”. PSICODRAMMA NEL PD, CHE VA VERSO L’ASTENSIONE – L’IMBARAZZO DELLA CAMALEONTE MELONI PER L’ALTRA RISOLUZIONE PER RINNOVARE IL SOSTEGNO ALL’UCRAINA. FDI POTREBBE NON VOTARLA PERCHÉ NEL TESTO CI SONO TROPPI PASSAGGI “CONTRO TRUMP” – LA DUCETTA SI SMARCA DI NUOVO DALL’ASSE PARIGI-LONDRA: NON PARTECIPERÀ ALLA CALL DEI “VOLENTEROSI” CONVOCATA DA STARMER
1. IL RIARMO DIVIDE I PARTITI LEGA, M5S E AVS CONTRARI IL PD PER L’ASTENSIONE
Estratto dell’articolo di Giovanna Vitale per “la Repubblica”
giorgia meloni e matteo salvini in senato foto lapresse
Disuniti alla meta. Sul piano di riarmo presentato da Ursula von der Leyen, cuore della risoluzione sulla difesa Ue attesa oggi al voto in plenaria a Strasburgo, i partiti italiani spaccano le rispettive coalizioni e, in qualche caso, anche le famiglie europee d’appartenenza. […]
La Lega è schierata sul no senza condizioni, come il resto dei Patrioti, al cui interno però convivono opinioni piuttosto variegate. Bastava ascoltare ieri il lepenista Jordan Bardella, presidente del gruppo di estrema destra, che ha stigmatizzato «la guerra di aggressione di Putin» e invitato a «prendere atto che gli Stati Uniti hanno scelto di rimettere in discussione il loro impegno storico verso il continente europeo e verso l’Ucraina». Dunque: «Dobbiamo agire di conseguenza».
SALVINI CON LA MAGLIA DI PUTIN
L’esatto opposto di ciò che pensa Matteo Salvini, ormai attestato su una linea marcatamente filo-russa e ultra-trumpiana. Riassunta dal vicesegretario Andrea Crippa in un lapidario: «Dopo tre anni di bombe e morte, a Bruxelles va in scena il teatro dell’incapacità e dei guerrafondai».
Contrarietà che fa a pugni con il «sì convintissimo» espresso da uno dei principali alleati in patria, Antonio Tajani, leader di Forza Italia nonché vicepresidente del Ppe, il partito di Ursula. Mentre Fratelli d’Italia sta nel mezzo: approverà solo la tesi finale, non l’intera risoluzione, smarcandosi su alcune parti del testo ritenute indigeste. Non prima, però, di aver visto passare l’emendamento per cambiare nome al piano: da ReArm a Defend Europe.
Altrettanto articolato, per non dire caotico, lo scenario offerto dalle opposizioni. Il più tormentato (e diviso) appare il Pd. Il capodelegazione Nicola Zingaretti ha dovuto sudare sette camicie per far capire alla segretaria Elly Schlein e ai suoi fedelissimi — decisi ad affossare la proposta VdL perché «serve una difesa Ue, non il riarmo dei singoli Stati» — quanto una strada del genere fosse insostenibile.
Avrebbe finito per frantumare il partito in almeno tre tronconi — sì, no, boh — e prodotto una figuraccia internazionale, dal momento che la stragrande maggioranza dei socialisti è indiscutibilmente a favore. Da qui la mediazione avanzata nella notte dall’ex governatore del Lazio: «È necessario che non ci sia nessun contrario». Indicazione tradotta da Schlein nella scelta (sofferta) dell’astensione.
GIORGIA MELONI DONALD TRUMP - IMMAGINE CREATA CON GROK
Con tanto di telefonata personale agli irriducibili: Marco Tarquinio e Cecilia Strada. Opzione che però potrebbe essere disattesa da una decina di esponenti della minoranza riformista: oltre a Pina Picierno, Giorgio Gori e Irene Tinagli, anche dal presidente del partito Stefano Bonaccini. Orientati ad ascoltare il suggerimento degli ex premier Romano Prodi e Paolo Gentiloni , secondo cui il ReArmEu è solo «un primo passo » verso la difesa comune.
Chi non ha nessun dubbio è invece il M5S. Dopo aver protestato contro il piano von der Leyen, Giuseppe Conte ha incrociato fuori dall’Europarlamento la presidente della Commissione e l’ha avvertita: «Continueremo a fare un’opposizione durissima, saremo più forti di te».
Ricevendo in risposta un sorriso, pure quello armato: «Vedremo». In perfetta sintonia con Avs. […]
2. I DUBBI DI MELONI SULLA RISOLUZIONE E DICE NO A STARMER
Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica”
DONALD TRUMP E GIORGIA MELONI A MAR-A-LAGO
Ieri notte i Fratelli di stanza a Strasburgo ragionavano così: «Al 50% ci asteniamo». Giorgia Meloni non ha ancora dato l’ordine definitivo, che arriverà stamattina. In ballo c’è una votazione delicatissima: non tanto sulla risoluzione per la difesa europea, che alla fine FdI appoggerà, con qualche distinguo su alcuni passaggi, votando per esempio contro al buy european (acquistare solo da aziende Ue) che piace ai francesi e pochissimo agli Stati Uniti.
Il grattacapo della leader della destra riguarda l’altra risoluzione, per rinnovare il sostegno all’Ucraina. FdI è sempre stata a favore. Ma stavolta, è il ragionamento che filtra da fonti vicine alla presidente del consiglio, la versione concertata da socialisti e popolari contiene troppi passaggi «contro Donald Trump».
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GIORGIA MELONI BACIA KEIR STARMER - VERTICE PRE L UCRAINA A LONDRA
Ecco perché in Europa la premier soppesa le mosse, sentendosi con i suoi colonnelli. FdI valuta se sfilarsi dal sì a Kiev, anche se sarebbe clamoroso. Si cercano scappatoie: i Conservatori hanno presentato un emendamento in cui si chiede di ripristinare «la cooperazione transatlantica » e rilanciare l’idea della premier di un summit «urgente» Ue-Usa. FdI sta trattando con il Ppe per far passare la modifica: così voterebbe la risoluzione, pur pasticciata nei contenuti. Ma non è detto che i Popolari vogliano sganciarsi dal Pse. Per questo i Fratelli sono in bilico.
Meloni non ha comunque rinunciato all’idea di questo vertice Ue-Usa (che piace pure ai lepenisti, come faceva capire ieri Jordan Bardella). Per garantire l’Ucraina, insiste sull’estensione dell’articolo 5 della Nato a Kiev, idea apprezzata dalla leader danese Mette Frederiksen, ricevuta ieri a Palazzo Chigi, con cui si è discusso anche di truppe.
Il punto è che il progetto di Meloni per ora non incassa il placet, imprescindibile, di Trump. Tanto che secondo fonti governative ci sarebbero stati altri contatti con la Casa bianca, anche se Chigi non li conferma. Mentre una cosa è certa: Meloni non parteciperà alla call dei “volenterosi” convocata per sabato dal primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer.
Si smarca dunque dall’asse franco- britannico. Criticando quelle che ritiene siano fughe in avanti sui contingenti militari. Anche di questo discuterà oggi a Parigi, in un altro vertice, il ministro Guido Crosetto, che ieri su Rai1 ha confermato di avere chiesto allo Stato maggiore della Difesa di studiare come far fronte «alla carenza di alcune forze armate», per presentare un piano al Parlamento, tenendo conto di qualsiasi scenario, «anche di un parziale disimpegno degli Usa dalla Nato». […]
ELLY SCHLEIN E GIUSEPPE CONTE - VIGNETTA DI ITALIA OGGI
keir starmer giorgia meloni foto lapresse
DONALD TRUMP ACCOGLIE GIORGIA MELONI A MAR-A-LAGO