UN NAZARENO È PER SEMPRE – RENZI CONVINTO CHE BERLUSCONI ALLA FINE VOTERÀ TUTTE LE RIFORME – SILVIO DEVE DIFENDERE LE SUE AZIENDE IN DECLINO E HA BISOGNO DI TEMPO PER RIORGANIZZARE FORZA ITALIA
Elisa Calessi per “Libero quotidiano”
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«Nei prossimi mesi Forza Italia cambierà linea, vedrete». Matteo Renzi è convinto che dopo la sentenza di assoluzione sul caso Ruby, Silvio Berlusconi invertirà decisamente la rotta sulle riforme. Sia quella che abolisce il Senato, sia quella elettorale. Il Patto del Nazareno, insomma, tornerà più vivo che mai (sempre che sia mai finito). Di conseguenza, il governo potrà traghettare le riforme fino alla sponda finale. E navigare tranquillo verso il 2018. Del resto i segnali di un mutamento, osservano a Palazzo Chigi, ci sono già.
Dopo il verdetto della Cassazione, infatti, sia dalle pagine dei giornali, sia tramite decine di ambasciatori sono stati recapitati al premier da Arcore messaggi di pace. La rottura dopo la partita del Quirinale sembra una vicenda di un secolo fa. «Il clima è cambiato. Silvio cercherà di tornare saldamente alla guida di Forza Italia e per farlo ha bisogno che la legislatura arrivi fino alla scadenza naturale», è l’analisi che si fa.
Secondo i fedelissimi del premier, a spingere in questo senso sono anche le aziende di Berlusconi, interessate a molti dossier che in questi mesi sono sulla scrivania del premier, dove vengono abilmente manovrati. Per tutte queste ragioni, Renzi è sicuro che Berlusconi non ostacolerà le riforme. A cominciare dal ddl costituzionale, che arriverà in Senato a giugno, subito dopo le elezioni regionali.
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È questa scadenza, infatti, la linea di demarcazione, dopo la quale verranno alla luce i cambiamenti che ora sono maturati. Fino ad allora - si dice - i toni resteranno barricaderi, come è normale in campagna elettorale. Ma, nei fatti, è già un altro film. Chiuse le urne, che confermeranno la buona salute del Pd e le difficoltà del centrodestra, Lega compresa se in Veneto dovesse perdere Zaia, Berlusconi, è l’auspicio del premier, tornerà a vestire i panni di padre della Terza Repubblica.
«Gli conviene». Si vedrà innanzitutto al Senato, dove è atteso il prossimo passaggio del disegno di legge Boschi. Renzi e i suoi sono convinti che non sarà solo il gruppetto di Denis Verdini a votare a favore. Del resto lo stesso capogruppo Paolo Romani, ieri al Gr1, alla domanda se Fi continuerà a opporsi alle riforme, ha risposto con un eloquente «in politica mai dire mai». Per la verità, a Palazzo Madama i rapporti tra i democratici e gli azzurri non si sono mai deteriorati.
«Romani non è Brunetta», si dice nel Pd. Piuttosto, i problemi dovrebbero esserci alla Camera, dove, appunto, il capogruppo è un altro e dove l’Italicum approderà a estate inoltrata. Ma anche qui il premier ostenta fiducia. Non solo perché la maggioranza ha una sessantina di voti di scarto. Per Forza Italia, è il suo ragionamento, è talmente importante portare a casa i 100 capilista che l’atteggiamento sarà sicuramente «più mite».
In caso diverso, Renzi dovrebbe accogliere le richieste della minoranza interna, magari portando i capilista bloccati da 100 a 50. Cosa che il premier sarebbe anche pronto a fare, visto che non è tipo da impiccarsi ai dettagli se in gioco è il risultato finale. Ma non è così per Berlusconi, che considera quel “dettaglio” decisivo. Da qui, la convinzione del premier: «Voteranno tutto purché restino i cento capilista».
Questo spiega anche la reazione piuttosto tranquilla di Renzi alle “sparate” della minoranza interna, fino alle voci di scissione. «Non c’è alcuna intenzione di ritoccare nessuno dei due provvedimenti», si dice nel governo. Tanto se ci sono i voti di Forza Italia (e la scommessa è che ci saranno) la partita è chiusa. Con buona pace di Bersani, Cuperlo e compagnia.
E a proposito di minoranza dem, a Palazzo Chigi si è gustata come una rivincita il fatto che ieri il presidente della Consulta, Alessandro Criscuolo, nella conferenza stampa dopo la relazione sull’attività del 2014, ha sonoramente bocciato il controllo preventivo delle leggi da parte della Consulta, emendamento fortemente voluto dai bersaniani. Secondo il presidente Criscuolo, «tradisce il ruolo della Corte costituzionale», «forse non è opportuno» e in ogni caso «richiederebbe un’ulteriore riflessione che non è stata fatta».