E LE PENTOLE PASSANO – IN NOVE MESI RENZIE È PASSATO DALLA “TELEVENDITA” DI PALAZZO CHIGI AI VERTICI DI MAGGIORANZA – ALL’INIZIO ANNUNCIAVA UNA RIFORMA AL MESE E DICEVA “VENGHINO, SIORI VENGHINO”. ADESSO DISCUTE DI SOGLIE DI SBARRAMENTO CON I “CESPUGLI”

Mattia Feltri per “la Stampa

 

matteo renzi koalamatteo renzi koala

Comprese fra il premio di maggioranza alla lista, le soglie di ingresso e i capilista nominati, ci sono tutte le sfumature di grigio della tattica politica. Non era quello il colore degli esordi. C’era un carrello della spesa - in una delle slide - con le tinte del desiderio, mele rubizze, carote d’arancione catarifrangente, insalate frondose, confezioni iridescenti, bambini giulivi, e poi cieli berlusconianamente blu, pesci nella boccia, coppie innamorate e braccia fresche e vigorose a tenere su il mondo intero, oppure ad avvitare una lampadina che squarciasse le tenebre.

 

Sono trascorsi soltanto nove mesi. È un esercizio utile andare a rivedere quella prima conferenza stampa di Palazzo Chigi, Matteo Renzi fu chiamato Supermaxieroe, e si tracciò un parallelo con la tv di quando eravamo ragazzi, e il tizio che vendeva i mobili in tutta Italia isole comprese roteava la mano e diceva: «Provare per credere». Non furono cronache originali, nemmeno quelle più dubbiose, uscirono i termini «piazzista» e «teleimbonitore» già spesi per un ventennio. È che, in quelle stanze percorse dagli spiriti austeri della nostra storia, il premier più giovane dell’Italia Unita aveva acceso i riflettori su di sé, annunciando il Paese che sarebbe venuto (riforma della pubblica amministrazione ad aprile, del fisco a maggio, della giustizia a giugno...) coi modi della simpatica canaglia. «Venghino siori venghino», ricordate?

 

matteo renzi pier carlo padoanmatteo renzi pier carlo padoan

Un po’ Giannino Stoppani, un po’ Cola di Rienzo, non faceva della credibilità il suo punto di forza: annunciare una riforma al mese era come annunciare lo scudetto ad agosto; ma la disinvoltura e la sfacciataggine erano quanto di cui avevamo bisogno.
Sono trascorsi otto mesi e tutti quei poster della felicità non si vedono più.

 

Non è tanto una questione di promesse non mantenute, è questione di stile e, come ha notato l’Economist (citato ieri da Giuliano Ferrara sul Foglio), limate tasse e spese, e stesa una passabile bozza di riforma del lavoro, siamo già lì, alle alchimie del pantano parlamentarista, agli incontri carbonari per far quadrare il cerchio del Quirinale, ai vertici sulla legge elettorale che prima hanno sollevato scandalo per la riesumazione del leader (pregiudicato) del centrodestra e adesso sprizzano la noia della ripetitività, e soprattutto rimettono in moto il cerimoniale del cespuglio: il partitino che si fa i suoi calcoli, che cerca di spuntare una mancia, che avvia la recita dell’allearsi e del non allearsi, che ingaggia estenuanti mini-battaglie quotidiane per spostare di qui o di là le soglie, e dell’uno per cento, e si noterà come incupisca innanzitutto la terminologia (si è pure sentito, e una ventina di volte, che «il patto è blindato», oltre che «il partito si spacca»).

Renzi PadoanRenzi Padoan

 

Renzi lo capisce, prova a divincolarsi, ma non ce la fa a tornare ai tempi del foglio excel - che compilava da Daria Bignardi a La7 per dare prova di animo smart -, si affida a considerazioni buone per le interviste da Fabio Fazio («dobbiamo investire di più sul futuro») o per l’articolo sul blog («al mondo ci sono più cellulari che esseri umani»), e dal bel mezzo della palude lancia una promessa che avrebbe fatto venire i brividi al Renzi di otto mesi fa, se avesse sentito il Renzi di oggi: «I prossimi tre mesi sono decisivi: finisce la partita verbale e inizia quella sugli atti parlamentari». 

 

BERLUSCONI E ALFANO AL QUIRINALE FOTO LAPRESSEBERLUSCONI E ALFANO AL QUIRINALE FOTO LAPRESSE

Eccolo, Renzi, sempre con la sublime cattiveria del rottamatore, riservata specialmente agli amici, ma alla lunga costretto ai vertici di maggioranza, per quanto giuri sull’eccezionalità dell’evento, coi sedici o diciotto leader d’area, come ai tempi di Ulivo e Unione; eccolo obbligato a parlare con i sindacalisti, a rispondere all’opposizione interna, a mediare coi pubblici dipendenti sulla mobilità e sullo sblocco degli scatti, a spendere tempo per accordarsi sui membri del Csm o a litigare con le Regioni sul patto di stabilità, oltre che per un tentativo di rilancio dell’amata ma leggermente usurata strategia bellica.

 

Arrivano i primi sondaggi negativi, di conseguenza o per coincidenza, e saranno senz’altro rimediabili, in particolare se a proposito di pantano ci si rende conto che, come sanno i nostri amici liguri, è difficile ripulire la cantina dal fango senza sporcarsi le scarpe.

 

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