FORZA DRAGHI, AZIONA ‘STO BAZOOKA – IL CAPO ITALIANO DELLA BCE: “I TEDESCHI DEVONO CAPIRE, LA BCE HA UN MANDATO EUROPEO CHE È LA STABILITÀ DEI PREZZI, SERVONO MISURE STRAORDINARIE”
Articolo di Giovanni di Lorenzo per “Die Zeit” pubblicato da “la Repubblica”
premio biagio agnes giovanni di lorenzo
Montezemolo, che ha frequentato la sua stessa scuola, la descrive come un alunno serio e diligente: Mario, il primo della classe...
«Esagera. Non mi sono mai considerato il migliore, niente affatto. Andavo a scuola perché mi ci mandavano ».
Forse però era più responsabile degli altri, visto che ha perso il padre a 15 anni e, poco dopo, anche la madre. Improvvisamente si è ritrovato a essere un giovanissimo capofamiglia.
«Ricordo che a sedici anni, dopo una vacanza al mare con un amico, lui tornò a casa e poteva fare quello che voleva, io invece trovai ad aspettarmi un cumulo di corrispondenza da sbrigare e di bollette da pagare. Ma i giovani non pensano a quello che gli succede e a come reagirvi. Reagiscono e basta. È molto importante, salva dalla depressione anche in situazioni difficili».
padoan, ministro dell'economia (d), con il presidente della bce mario draghi
Magari capiscono anche in fretta qual è il sistema per sopravvivere, ad esempio il lavoro.
«I nostri genitori ci hanno insegnato la religione del lavoro. Mio padre diceva sempre: il lavoro è la cosa più importante nella vita di un uomo».
Chi la conosce bene sostiene che gli anni più formativi della sua vita siano stati quelli trascorsi negli Usa, a partire dal 1971.
«Prima mi ha chiesto se c’è stato un momento in cui ho capito il senso del lavoro. Bene, in America ho imparato cosa significa lavorare sodo e come si deve lavorare».
Aveva nostalgia dell’Italia, all’epoca?
«Un po’ sì. Ma negli anni Settanta in Italia non si viveva bene, erano i tempi del terrorismo, dell’inflazione al 20 per cento».
L’inflazione non ha divorato il patrimonio ereditato da suo padre?
«Non era un grosso patrimonio, però è stato sufficiente a far studiare i tre figli. Quando tornai la prima volta in Italia, nel 1976, dell’eredità era rimasto l’equivalente di qualche centinaio di euro. Il giudice tutelare aveva disposto a garanzia delle mie due sorelle minori che il denaro fosse investito in buoni del tesoro a tasso fisso. Così tutto il patrimonio era evaporato».
Le viene mai da pensare che in Germania lei è il personaggio pubblico meno compreso in assoluto?
«Credo sia vero...».
Di chi è la colpa? Della Germania o di Mario Draghi?
«La mia posizione è semplicissima. Noi abbiamo il compito di garantire la stabilità dei prezzi. La Bce è stata istituita nella tradizione della Bundesbank, ma con una grande differenza, perché la Bce non è responsabile per un solo Paese, ma per 19. Gli strumenti per assolvere a questo mandato sono altri.
È questo il messaggio che alcuni in Germania devono comprendere. Il compito non cambia, ma i tempi e le circostanze sì. È importante. Comunque probabilmente ha ragione lei, certe persone sotto questo aspetto non vogliono capirmi».
In Germania la gente si chiede come sia possibile premiare Paesi con una gestione economica fallimentare, che da decenni procrastinano le necessarie riforme, concedendo loro crediti e bassi tassi di interesse a spese di quei Paesi che hanno lavorato sodo e si sono sacrificati.
«Non è così. Anche grazie alla stretta vigilanza a opera dei governi questi Paesi laboriosi hanno dovuto pagare poco o niente. Ma anche le istituzioni europee hanno avuto un ruolo. La Bce finora non ha passivi e ogni anno distribuisce utili di miliardi ai suoi membri. Anche alla Bundesbank, che li trasferisce al ministero delle Finanze e quindi ai cittadini tedeschi che ne traggono vantaggio tramite crediti pubblici e privati straordinariamente favorevoli. E pensi anche ai saldi del sistema target 2».
Però quello che più disturba i tedeschi sono i bassi tassi di interesse e lei, due settimane fa, ha dichiarato all’Handelsblatt che resteranno tali.
«Bisogna fare una distinzione tra gli interessi stabiliti dalla nostra politica monetaria e quelli dei titoli a lungo termine, che vengono stabiliti dal mercato. Questi ultimi sono importanti per i risparmiatori. Oltre alle nostre direttive esistono due motivi fondamentali per cui gli interessi a lungo termine sono bassi: in primo luogo perché tutti i Paesi del mondo e soprattutto quelli dell’Eurozona portano denaro in Germania e investono in questi titoli – di conseguenza gli interessi scendono. In tempo di crisi la Germania assume il ruolo di porto sicuro.
Quando tornerà la fiducia non dovrebbe essere più così. In secondo luogo gli interessi a lungo termine sono bassi perché sfortunatamente l’inflazione e la crescita economica si prevedono molto ridotte. Non appena la nostra politica monetaria porterà il tasso di inflazione nuovamente vicino al due per cento e l’economia riprenderà a crescere si tornerà a tassi di interesse normali».
Stando a quello che dice quindi la Bce avrebbe fatto un buon lavoro!
«Mi faccia dire chiaramente una cosa: la politica della Banca centrale non mira a penalizzare i risparmiatori tedeschi, e nemmeno a compensare i Paesi deboli. Il mandato della Bce è un tasso di inflazione appena sotto il due per cento per l’intera eurozona. Per conseguire un simile obiettivo in questa fase occorre tenere bassi gli interessi e puntare a una politica monetaria espansiva, che accompagni la crescita. Questo è il punto – non punire o ricompensare. Ma qualche volta è difficile spiegarlo in Germania, anche quando si parla con qualche politico».
Cosa le dicono?
«Dicono: così tu disincentivi i Paesi a introdurre riforme».
E non è così? L’Italia e la Francia sono due esempi.
«Il nostro compito non può e non deve consistere nel farci carico delle riforme che vanno intraprese dai singoli governi – non ultimo perché ce ne manca la legittimazione democratica. Crede che i risparmiatori tedeschi se la passerebbero meglio se cercassimo di aumentare il tasso di interesse? ».
Per come lo chiede, la risposta è ovvia.
«La risposta è no!» Perché? «Perché poi creeremmo una deflazione e una recessione. È evidente per chiunque che nella situazione economica presente occorre attuare una politica monetaria espansiva. Se si praticasse una politica restrittiva, ancora più imprese fallirebbero. E allora gli interessi a lungo termine – gli interessi che influiscono sul risparmio dei tedeschi e più in generale di tutti gli europei – scenderebbero ulteriormente».
Se però il tasso di interesse scende quasi a zero e lei vuole portare l’inflazione attorno al due per cento, allora verrà erosa una parte ancora più consistente dei risparmi che i tedeschi hanno messo da parte per la loro vecchiaia.
«Questa osservazione è sbagliata. Infatti, se l’inflazione crescesse dovremmo alzare di nuovo gli interessi».
Che bisogno c’è di un’inflazione, se ne abbiamo una bassa?
«Già, perché? Questa lezione l’abbiamo imparata dal Giappone. Là non c’è questo obiettivo del due per cento, e negli anni Novanta i prezzi hanno cominciato a scendere. Il problema, però, non era che i prezzi scendevano, ma che la gente credeva che non sarebbero mai più risaliti e avrebbero continuato a scendere. Perciò hanno smesso di comprare, perché credevano che più tardi le cose sarebbero state ancora più a buon mercato. Di conseguenza, la produzione è scesa, i prezzi sono ulteriormente diminuiti e l’economia ha rallentato sempre più».
Questa si chiama deflazione.
«Sì. Noi non siamo ancora in questa situazione. Quella che ho descritto, è una spirale negativa deflazionistica. L’unico fattore che la possa contrastare è la credibilità del nostro obiettivo di inflazione. Per conseguirlo, è necessario proseguire nella nostra politica monetaria espansiva. Essa ha già favorito un deciso aumento delle erogazioni di crediti alle imprese. Ma non basta. Se le imprese non aumentano la loro produttività, non saranno competitive».
Allora: abbiamo i crediti a interesse quasi zero. E in più, l’incredibile fortuna costituita per molti Paesi dal calo del prezzo del petrolio. Ciò nonostante, i Paesi in crisi stentano a venirne fuori. Non le viene qualche volta da chiedersi se le sue misure aiutino davvero?
«Vede, il calo dei prezzi del petrolio è una buona cosa, ma nella misura in cui esso ha un’influenza negativa sulle aspettative per l’inflazione, è tutt’altro che buono. Il pericolo è che la gente cominci a credere che il tasso di inflazione non salirà molto presto al due per cento, perlomeno nei prossimi cinque anni. E questo basterebbe ad accrescere il rischio di una recessione. Il rischio di deflazione è ancora basso, ma è comunque maggiore di un anno fa»
Teme la deflazione più dell’inflazione?
«Né l’una né l’altra sono desiderabili. Ma dal punto di vista di un banchiere centrale l’inflazione è più facile da combattere della deflazione. Perché? Nel caso di un’inflazione si alzano gli interessi. In questo modo aumenta il prezzo del denaro, il volume dei mezzi di pagamento in economia si riduce e la pressione sui prezzi e i salari si alleggerisce. Con la deflazione è molto più difficile. Ora ci troviamo in una situazione nella quale dovremmo abbassare ulteriormente il tasso di interesse, ma non è più possibile. A questo punto siamo costretti a ricorrere a mezzi non convenzionali, cioè a modificare le dimensioni e la composizione del bilancio della Bce».
Intende quei mille miliardi che lei nei prossimi anni vuole spendere prevalentemente acquistando titoli di Stato e sui quali la prossima settimana la Bce prenderà una decisione.
«Non ho mai detto “mille”, ma ho soltanto citato come valore indicativo il volume di bilancio che la Banca Centrale Europea aveva all’inizio del 2012».
Molti tedeschi temono che gli Stati debitori non possano pagare i loro crediti. Le opzioni rimanenti in una situazione del genere sono effettivamente terrificanti: bancarotta di Stato, crediti prorogati in eterno, debiti che accolleremo alle generazioni future…
«In una unione monetaria, questi timori e la pressione che ne risulta sono uno stimolo in più per i Paesi indebitati ad attuare riforme strutturali necessarie per la crescita e per il pagamento dei loro crediti. Un crollo dell’Unione monetaria non sarebbe nell’interesse della Germania».
Dove sta scritto che tutti i Paesi devono restare a ogni costo nell’Eurozona? Nel 2010 quando si discuteva se intervenire o meno a favore della Grecia, Angela Merkel definì il salvataggio dell’euro «senza alternative». Da allora l’espressione ha assunto una valenza particolare in Germania. La denominazione del movimento Alternativa per la Germania nasce da qui.
«I nostri Paesi hanno voluto l’euro. Doveva rappresentare un passo verso una maggiore e più significativa unità d’Europa. Dall’euro non si torna indietro».
In Germania la considerano particolarmente comprensivo nei confronti del Sud. Si trova mai nella condizione di dover difendere la Germania di fronte agli italiani?
«In Italia esistono dei pregiudizi nei confronti della Germania che sono forti e irrazionali quanto quelli nutriti in Germania verso l’Italia. È compito di noi cittadini d’Europa combattere i pregiudizi e comportarci in maniera tale che non trovino conferma».
Pregiudizio vuole che la Germania intenda mettere in ginocchio l’Europa.
«In Italia e anche in molti altri Paesi non si capisce che in seno a una unione monetaria le decisioni politiche dei singoli hanno effetti sugli altri membri. Non possiamo più comportarci come se fossimo soli al mondo».
L’accusa di essere un agente dei Paesi del Sud la ferisce?
«Sì».
Cosa c’è di male nell’essere considerato uno dei possibili candidati alla presidenza della Repubblica italiana?
«Ripeto, non vorrei alimentare nessuna ipotesi di questo genere. Naturalmente è un grande onore per me essere preso in considerazione, ma non è il mio lavoro. È importante il mestiere che faccio adesso. Sono lieto di poterlo esercitare e continuerò a farlo».
MARIO DRAGHI ED ENRICO LETTA FOTO INFOPHOTO
Ha mai la sensazione di dover fare da capro espiatorio, in un modo o nell’altro?
«Se è questo il prezzo da pagare per svolgere bene il mio compito lo pago volentieri. Ma una cosa è certa: nessuno in Europa finora ha vinto le elezioni invocando il mio nome».