I PALETTI DI DRAGHI – “MARIOPIO” HA PAURA DI FINIRE STRITOLATO DALLA PARTITA DEL QUIRINALE: LA SUA AUTO-CANDIDATURA POTREBBE FINIRE IMPALLINATA DAI FRANCHI TIRATORI, E A QUEL PUNTO DOVREBBE DIRE ADDIO ANCHE A PALAZZO CHIGI. COSA CHE ACCADRÀ ANCHE SE AL QUIRINALE ARRIVA UN PRESIDENTE DI PARTE – IL SENSO DEL SUO DISCORSO A SALVINI È STATO: “SIETE VOI A DOVERMI DIRE COSA VOLETE CHE FACCIA. NON RESTO A OGNI COSTO, MA SOLO SE AVRÒ LA POSSIBILITÀ DI LAVORARE PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI” – IL GRANDE GESUITA ACCETTERÀ DI RIMANERE SOLO SE AL COLLE RIMANE MATTARELLA O ARRIVA GIULIANO AMATO
1 - DAGOREPORT: MAI SI ERA VISTA UNA TALE SCORRETTEZZA ISTITUZIONALE CHE VEDE DRAGHI IMPEGNATO A FARE UN GIRO DI CONSULTAZIONI CON I LEADER DEI PARTITI PER IL FUTURO GOVERNO, COME SE MARIOPIO FOSSE GIÀ CAPO DELLO STATO - L’ARTICOLO DELL’”ECONOMIST” (“DRAGHI AL COLLE È UN MALE PER L’ITALIA”) HA FATTO LETTERALMENTE INFURIARE SUPERMARIO - DITE A DRAGHI CHE IL SUO PEGGIOR NEMICO NON SONO I PARTITI BENSÌ UNA MAREA DI FRANCHI TIRATORI CHE NESSUN LEADER RIESCE A CONTROLLARE, A PARTIRE DAI PENTASTELLATI - FINALMENTE OGGI IL GRANDE GESUITA HA CAPITO DUE COSE DELLA POLITICA…
2 - DRAGHI IN CAMPO, ORA TRATTA CON I LEADER MA FRENA SUL RIMPASTO: “NON RESTO A OGNI COSTO”
Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per “La Stampa”
«Siete voi partiti a dovermi dire cosa volete che io faccia». La sintesi apparirà anche brutale, ma il senso di quello che Mario Draghi ha detto a Matteo Salvini, e che il leghista ha riportato ai parlamentari più fidati, è contenuto in questa frase.
L ECONOMIST CONTRO L'AUTOCANDIDATURA DI MARIO DRAGHI AL QUIRINALE
Siano le forze politiche a dire cosa hanno in mente per lui ma, aggiunge, al governo non resterà a ogni costo: «Lo farò se avrò la possibilità di lavorare per raggiungere gli obiettivi prefissati». È il Draghi del whatever it takes, descritto così dalle fonti di Palazzo Chigi: deciso a fare qualunque cosa per realizzare le riforme previste, se dovesse essere costretto a rinunciare al Colle.
Lo farebbe senza più usare il bilancino tra i partiti, come invece ha fatto in questi mesi, per le pensioni, per il fisco, per la concorrenza. (…) Un premier in carica che diventa il principale candidato a diventare presidente della Repubblica – già solo questa unanovità – nonostante i partiti pubblicamente lo scoraggino. (…)
Draghi mette in conto di non farcela. I venti di guerra in Ucraina potrebbero spostare gli equilibri quirinalizi e la videoconferenza di ieri sera tra il premier, il presidente Usa Joe Biden e altri leader europei dà il senso delle enormi tensioni con la Russia. Nei calcoli del suo entourage la scommessa sarebbe di strappare la nomina entro la quarta votazione.
Farlo alla terza, domani, sarebbe ancora meglio, perché sancirebbe un’elezione a larghissima maggioranza. Inoltre, si eviterebbe di andare in mare aperto, dalla quarta votazione in poi, quando il quorum necessario scenderà e l’aritmetica potrebbe offrire delle sorprese su altre candidature, anche oltre le uniche due - il Mattarella bis e l’ex premier Giuliano Amato - che il capo del governo ha lasciato intendere di poter sostenere. (…)
3 - TELEFONATE E COLLOQUI DEL PREMIER LE PREOCCUPAZIONI PER IL GOVERNO
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Mario Draghi scende in campo. Determinato a salvare l'eredità del suo governo e a scongiurare l'aggressione dei mercati finanziari sull'Italia, il presidente del Consiglio assume l'iniziativa politica. Alza il telefono e avvia un giro di contatti con i leader di maggioranza. Incontra riservatamente Matteo Salvini, che ha in mano la pallina della roulette quirinalizia. Poi sente Enrico Letta e Giuseppe Conte e date le condizioni di salute del leader di Forza Italia, riflette sull'opportunità di chiamare Silvio Berlusconi.
Ed è solo un primo giro di «consultazioni» destinato a proseguire oggi, il cui fine è favorire un accordo dentro il perimetro dell'unità nazionale. Non appena si diffonde in Parlamento la notizia dell'incontro con Salvini, che sarebbe avvenuto domenica in tarda serata su proposta di Draghi e fuori da Palazzo Chigi, un ministro che lo vuole al Colle commenta di slancio: «Bene, Draghi ha iniziato a giocare!».
Ma col passar delle ore dalla girandola di «bilaterali» comincia a filtrare la notizia che il faccia a faccia con il leader della Lega sia andato male, malissimo. «No comment», si cuciono le labbra a Palazzo Chigi, non prima di aver smentito categoricamente che Draghi si sia messo a barattare i posti nel governo prossimo venturo, prerogativa che non spetta a un premier in carica.
Non è vero che Salvini abbia chiesto al premier la poltrona delle Infrastrutture, assicura chi ha parlato con Draghi. Ed è stato lo stesso premier nel pomeriggio a richiamare il leader della Lega per un chiarimento, il cui senso si può riassumere così: «Il fuoco di sbarramento della Lega sul mio nome è definitivo?».
La lettura del fronte draghiano è che siamo solo alle prime mosse di un confronto, durante il quale l'ex presidente della Bce avrebbe promesso che «non si arriverà a una soluzione sul Quirinale e sul governo senza i partiti, o contro i partiti». A Salvini e poi a Letta, Draghi ha spiegato di voler procedere con estrema prudenza, un passo alla volta e senza bruciare le tappe.
Sono i partiti a dovergli dire quale ruolo gli chiedono di interpretare in questa fase, per il bene del Paese. E tocca ai partiti costruire un accordo sul governo, se mai toccasse a lui l'onore di succedere a Sergio Mattarella. Di nomi (Belloni, Cartabia, Colao o altri), pare che il presidente del Consiglio non abbia voluto parlare, rinviando al «momento giusto» ogni interrogativo relativo al suo eventuale successore. Nel dialogo che si è aperto ci sono anche i paletti di Draghi.
Il primo è che, se arriva al Quirinale un presidente di parte, la maggioranza di unità nazionale è finita e l'esecutivo cade. Il premier non ha nascosto il timore crescente di finire «stritolato dai giochi di partito». Una candidatura al buio, esposta al fuoco amico dei franchi tiratori, indebolirebbe il presidente del Consiglio, mettendo a rischio la tenuta del governo e quella del Paese.
Un assillo che spiega perché, nelle ultime ore, Enrico Letta non faccia che ripetere «la priorità è tutelare Draghi».
Due le strade per salvare la maggioranza e il governo. O si elegge convintamente il premier al Quirinale, o si stringe un'intesa per un presidente super partes del calibro di Giuliano Amato, che consenta all'ex banchiere centrale di restare saldamente alla guida del governo.
Per tutto il giorno nel fronte draghiano ottimismo e pessimismo si alternano.
C'è chi spera ancora che dal marasma in cui si agitano i partiti possa uscire, dalla quarta votazione, il nome di Draghi per il Colle. E c'è chi invece ritiene troppo alto il muro alzato dalla Lega, da Forza Italia, dai 5 Stelle di rito contiano e dai dem di Franceschini, Bettini e Orlando.
Persino nel Pd, il cui segretario è il più sincero sponsor di Draghi, si rimprovera sottovoce al premier di aver sottovalutato i gruppi parlamentari, di non aver curato abbastanza i rapporti politici favorendo i tecnici. Spifferi e mugugni di chi punta tutte le carte su Casini.
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