ITALIA SOTTOSOPRA - DRAGHI SUL COLLE VUOL DIRE UN ACCORDO DI LEGISLATURA CHE PREVEDE UN’INTESA SUL NOME DI UN PREMIER, COSA IMPOSSIBILE PER I PARTITI DELL’ALLEANZA DI GOVERNO - MA PER RESTARE A PALAZZO CHIGI, DRAGHI VORREBBE AVERE UN PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL QUALE HA STIMA E CHE RITIENE ALL'ALTEZZA DEL COMPITO. A POSSEDERE TALI REQUISITI, SONO SOLO IN DUE: MATTARELLA E GIULIANO AMATO...
Fausto Carioti per Liberoquotidiano.it
RIUNIONE DEL CENTRODESTRA A VILLA GRANDE
La corsa al Colle non è uno sport per educande. La dissimulazione, il non candidarsi confidando che a candidarti provveda qualcun altro, sono solo una parte del gioco, la più pulita. Perché poi c'è l'altra, il lato spietato della faccenda. Fatto di avvertimenti più o meno velati, spesso vere minacce camuffate da "ragionamenti".
Se stavolta abbondano e appaiono anche in pubblico è perché devono raggiungere una platea vasta: il ventre molle dei 1.009 elettori, ovvero i 232 parlamentari dei Cinque Stelle e gli oltre cento appartenenti al gruppo misto e alle piccole sigle. Quelli che tremano all'idea della fine anticipata della legislatura, per i quali la paura di trovarsi senza lavoro e privi di vitalizio conta più della necessità di scegliere un degno successore a Sergio Mattarella.
salvini meloni e berlusconi in conferenza stampa
Sono oltre un terzo dell'assemblea: vincerà chi saprà convincerne di più, e quindi è a loro che i candidati si rivolgono. Talvolta con la carota, come fa Silvio Berlusconi quando regala quei quadri che Vittorio Sgarbi etichetta come «roba da arredamento» (detto da lui, non pare un complimento).
Talaltra, col bastone. Hanno iniziato da palazzo Chigi. Non Mario Draghi, per carità, ma alcuni dei suoi, perché pure lì dentro ce ne sono di più realisti del re. Dalla presidenza del consiglio, ben prima della famosa conferenza stampa di fine anno, era uscito un avviso ai naviganti: se Draghi non viene eletto al Quirinale, si dimette da primo ministro.
mario draghi sergio mattarella
SENZA CORTESIA - Avete presente la prassi istituzionale per cui il capo dell'esecutivo rimette il mandato nelle mani del presidente della repubblica? Ecco, di solito è una cosa pro forma, senza conseguenze, tanto che le chiamano «dimissioni di cortesia». Stavolta, però, potrebbero essere reali. E se Draghi sbatte la porta, è chiaro che la legislatura viene giù con lui.
In sostanza, la "previsione" era questa. Peones avvisati, mezzo salvati. Anno nuovo, stesso messaggio, ma spedito da un altro mittente e con condizioni diverse, anzi opposte: il cataclisma si scatena se Draghi va sul Colle. È dagli uffici di Berlusconi che parte: «Forza Italia non si sente vincolata a soste- nere alcun ` governo senza Draghi, e, nel caso, uscirebbe dalla maggioranza».
Se non la fine automatica della legislatura, qualcosa che le assomiglia molto, perché non ci sono dubbi che assieme agli azzurri se ne andrebbe pure la Lega. Enrico Letta fa sapere di ritenere le intenzioni del Cavaliere «molto gravi», la stampa di sinistra insorge, Ezio Mauro verga su Repubblica un editoriale vibrante di sdegno: «Respingere il ricatto».
Nessuno si scandalizza, invece, due giorni dopo, quando Letta fa la stessa cosa, ovviamente pro domo sua. Spaventato per l'effetto che la campagna berlusconiana sembra avere sui grillini, il segretario del Pd incarica uno dei suoi fedelissimi, il deputato Enrico Borghi, di spargere il panico tra i parlamentari. «Un'eventuale elezione di Berlusconi al Quirinale», annuncia il profeta di sventura, «determinerebbe la fine di questo governo, con la rottura del quadro politico e le elezioni».
sergio mattarella e giuliano amato
Un ricatto, questo, che passa inosservato. La mossa successiva (e non finisce certo qui) la fanno ancora alcuni collaboratori di Draghi. Spiegano che lui, per restare a palazzo Chigi, vorrebbe avere un presidente della repubblica del quale ha stima e che ritiene all'altezza del compito. Aggiungendo che a possedere tali requisiti, cari parlamentari titubanti, sono solo in due: Mattarella e Giuliano Amato, che Draghi conosce bene sin da quando era direttore generale del Tesoro.
IL MESSAGGIO DI GUERINI - Due nomi uniti da un'attitudine super partes e da curricula indiscutibili, ma anche da una terza "qualità": potrebbero dimettersi dall'incarico ben prima dei sette anni. Per Mattarella è una certezza: è stanco già adesso, tanto da aver detto al ministro Lorenzo Guerini, uno dei pochi del Pd di cui si fida, di non poterne più dei tanti che, dal Nazareno, gli chiedono di fare il bis. E Guerini ha riferito.
Per l'83enne Amato le dimissioni dovute all'età sono invece una probabilità, resa un po' più alta dal fatto che, tirandosi indietro in anticipo, potrebbe lasciare il posto proprio a Draghi, del quale contraccambia l'apprezzamento. Altrimenti? Beh, se sul Colle arrivasse un altro, Draghi potrebbe ritenere che non ci siano più le condizioni per guidare il governo. Con tutto quello che ne conseguirebbe per la legislatura. Peones avvisati...