ERDOGAN CERCA DI IMPORSI CON LA FORZA: POTREBBE FAR DIVENTARE LA TURCHIA COME LA SIRIA

Carlo Panella per "Libero"

La Borsa turca è sprofondata di un ulteriore cinque percento dopo che Tayyp Erdogan, da Tunisi, ha ribadito seccamente la sua decisione di «portare a termine sino alla fine il progetto di Gezi park», ha affermato che le richieste dei manifestanti «sono senza senso» ha sostenuto che «tra i manifestanti si sono infiltrati dei terroristi» e addirittura che questi «erano gli stessi che hanno attaccato mesi fa l'ambasciata statunitense di Ankara» (con due morti). Il tutto accompagnato da troppo blande scuse per «l'uso eccessivo della forza».

Parole che non solo infiammano ancora di più il Paese, in cui sono continuate nella notte di giovedì e ieri notte le manifestazioni (un poliziotto è morto ad Adana, nel sud del paese). In attesa degli sviluppi della piazza di oggi venerdì - giorno festivo in Turchia - il discorso di Erdogan non solo infiamma ulteriormente gli animi, ma soprattutto evidenzia una spaccatura profondissima nello stesso vertice del governo e dello Stato.

Su tutti i giornali turchi infatti ieri mattina campeggiava la fotografia dell'incontro tenuto nella sede del governo - con la piena copertura politica del presidente della Repubblica Abdullah Gül - dal vice ministro di Erdogan, Bülent Arinc.

Questi, che ha provveduto di farsi riprendere con un largo e accomodante sorriso sulla faccia, non solo ha reiterato scuse piene per il comportamento delle forze di sicurezza contro i manifestanti, non solo ha aperto un canale di dialogo e di trattativa con i loro rappresentanti, ma ha addirittura assicurato che «l'operazione edilizia nel Gezi park è stata sospesa» ed ha aggiunto che porterà nel Consiglio dei ministri e a Tayyp Erdogan i risultati di una politica di dialogo e di confronto con i manifestanti.

Esattamente l'opposto della linea di Erdogan. È questo un riscontro cruciale e rapido dell'efficacia della protesta. Il movimento di Gezi park infatti ha fatto piombare Erdogan in un isolamento internazionale impensabile sino a una settimana fa.

Il ministro Francese Thuerry Repentin ha esclamato «è troppo» e ha invitato la Turchia a «moderarsi» a fronte di manifestazioni democratiche, mentre il ministro tedesco Markus Loening ha definito le violenze della polizia turca «scioccanti». Ma il movimento innescato dalla protesta per lo scempio dei 600 alberi di Gezi park ha anche e soprattutto portato al calor bianco la tensione tra Erdogan stesso, parte del vertice del suo partito Akp e soprattutto il suo grande rivale - ma compagno di partito - il presidente Gül.

Il risultato di questo braccio di ferro, apre ora la strada a una ulteriore drammatizzazione dello scontro. Erdogan, infatti, sinora ha goduto di larghissimo seguito nel paese e ora non pochi temono che la sua politica "a muso duro", il suo rifiuto della strada del dialogo preluda a scontri in piazza tra i suoi seguaci e i manifestanti (che già si sono verificati nella sua città natale di Rize).

Il pericolo è così grave che ieri l'altro vice premier, Huseyin Celik ha invitato i militanti dell'Akp a non recarsi in massa all'aeroporto ad aspettare il rientro di Erdogan: «Il premier non ha bisogno di una dimostrazione di forza». In realtà però è stato lo stesso Erdogan nei giorni scorsi a minacciare di chiamare i suoi - tanti - sostenitori a scendere in piazza contro i manifestanti di Gezi Park: «Se loro portano nelle strade 1000 manifestanti, io ne porterò 200.000!».

Una politica muscolare che Erdogan ha peraltro iniziato a perseguire dopo il suo trionfo elettorale del 2011 (cinquanta percento dei suffragi) e che l'ha spinto a violare il più sacro tabù della società turca post kemalista: il rispetto della piena laicità nell'ambito della vita personale dei cittadini. Un emergere dell'autoritarismo religioso islamista più retrivo che può preludere all'inizio di una stagione nera per l'unico Paese islamico pienamente democratico del mondo.

 

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