D’ALEMA “CONTROCORRENTE”: CONFESSO CHE HO SBAGLIATO - NEL LIBRO-CONVERSAZIONE CON PEPPINO CALDAROLA DALEMIX SFERZANTE SULLA SCELTA CINICA DI MONTIMER: “STA SCIUPANDO SE STESSO” - SI PENTE PER LA SCELTA DI FAR CADERE PRODI PER ANDARE A PALAZZO CHIGI (“AVREI DOVUTO BATTERMI PERCHÈ CI ANDASSE CIAMPI NONOSTANTE L’OPPOSIZIONE DI COSSIGA”) - “ADDICTED” DI POLITICA: “TI PRENDE, È UNA PASSIONE, O SE SI VUOLE UNA MALATTIA…”

Paolo Franchi per il "Corriere della Sera"

Merita di essere letta anche da chi "dalemiano" non è mai stato, la conversazione tra Massimo D'Alema e Peppino Caldarola («Controcorrente, Intervista sulla sinistra al tempo dell'antipolitica») in uscita domani per i tipi di Laterza. Ma ne diremo tra poco. Perché il libro è stato consegnato all'editore quando la discesa, anzi, la "salita" in politica di Mario Monti (al quale D'Alema riconosce molti meriti, primo tra tutti quello di aver rappresentato al meglio l'uscita dal berlusconismo, tornando «a parlare il linguaggio dei gruppi dirigenti in Europa») era solo una possibilità su cui si almanaccava. Adesso Monti in politica c'è.

E quindi, conversando con D'Alema, gli abbiamo chiesto se avesse qualcosa da aggiungere in materia. Solo un paio di considerazioni, ha risposto. La prima: «Monti è un uomo che ha servito bene il Paese, una riserva della Repubblica. Ma ora sciupa se stesso, spreca le sue possibilità, fino qui molto forti, di continuare a fare qualcosa di importante e di utile per l'Italia».

La seconda: «Questa operazione non sconvolgerà gli assetti politici, come forse sarebbe avvenuto se Monti fosse entrato in politica come il campione di una destra moderata di stampo europeo che in Italia, come è noto, non ha rappresentanza. Per come è congegnata, sono convinto che non approderà da nessuna parte. Perché ormai tutto si gioca su un punto molto semplice: il centrosinistra otterrà o no una vittoria piena? Tutto mi fa non solo sperare, ma anche ragionevolmente supporre, di sì. Se però, dopo una campagna elettorale che non sarà un minuetto, non dovesse essere così, sarebbe a rischio la governabilità del Paese».

Nel dialogo con Caldarola, che prende le mosse dalla svolta del 1989, di autocritiche (ma, conoscendo l'uomo, era inutile aspettarsene) non c'è traccia. Di pentimenti, invece, sì. E almeno uno è particolarmente significativo, e anche sorprendente. Ho sbagliato, dice D'Alema, a prendere, nel 1998, la guida del governo, dopo la caduta di Romano Prodi avrei dovuto resistere a tante pressioni, battermi fino in fondo perché a Palazzo Chigi, nonostante la fiera opposizione di Francesco Cossiga, andasse Carlo Azeglio Ciampi, e restare segretario dell'allora Pds.

Il pentimento non riguarda certo la sua azione di governo, della quale anzi esalta tuttora i successi, pur tra mille difficoltà, in politica interna e soprattutto in politica estera; o, quanto meno, la preveggenza. Se quello è stato l'errore della sua vita, sostiene D'Alema, è perché da allora, nonostante, assicura, non avesse affatto brigato, gli è rimasto incollato il cliché del politico intrigante e manovriero, complottatore e dedito all' "inciucio".

Una rappresentazione (in verità se la porta appresso sin dai tempi della Bicamerale, che però continua a ritenere una grande occasione mancata, o meglio fatta fallire in extremis da Silvio Berlusconi, con esiti mortali per la civilizzazione del nostro bipolarismo) che pensa non gli si attagli neanche un po'. Ma perché, da destra e da sinistra, gliela hanno ritagliata addosso? E soprattutto: perché ha avuto tanto successo?

Caldarola, che lo conosce a perfezione, prova a insinuargli il dubbio che magari c'entri qualcosa anche il suo fare sprezzante, e volutamente "antipatico". Lui, D'Alema, qualche piccolo riconoscimento in materia lo concede pure, ma dal peccato, nel complesso, si autoassolve; così come fieramente respinge le contestazioni che gli sono state mosse (gli esempi più classici sono il caso Telecom prima, il tentativo di Unipol di scalare la Bnl poi) in materia di politica e affari.

Se risulta "antipatico", sostiene, è perché incarna senza complessi l'indipendenza (una volta si sarebbe detto: l'autonomia) di una politica senza la quale la democrazia rischia di finire stritolata nella tenaglia tra tecnocrazia e populismo, le due facce, speculari, di un'antipolitica che in Italia ha origini antiche e radici profonde. Anche nelle classi dirigenti e nel loro ceto intellettuale, sul cui connaturato "sovversivismo" Antonio Gramsci ha scritto pagine, a giudizio di D'Alema, tuttora attualissime.

Intendiamoci. «Controcorrente» non è un trattato sulla politica all'inizio del Terzo Millennio, se si lascia leggere con curiosità e con piacere è anche perché, si tratti di Achille Occhetto o di Walter Veltroni, delle due cadute di Prodi o della sua mancata ascesa al Quirinale nel 2006, indulge spesso e volentieri al retroscena inedito, all'aneddoto solo all'apparenza minore, alla battuta sferzante.

Ma nemmeno i fendenti che D'Alema mena (e i più duri sono quelli contro il "nuovismo", nelle sue versioni di destra e di sinistra, e ancor più nella sua variante giustizialista) si lasciano spiegare se non si fissa l'attenzione sul filo conduttore del libro. Che non è solo il tentativo di dimostrare di essere un professionista che ha sempre lavorato, come si diceva una volta, per la "ditta", cercando di mettere un argine al dilettantismo di tanti autorevoli soci.

Ma pure la rivendicazione dell'intima coerenza e della superiorità dell'agire politico, individuale e collettivo (il partito, i partiti), chiamato a indicare realisticamente, anche nella tempesta, quelle soluzioni e prospettive di lungo periodo (nella fattispecie: un nuovo equilibrio di centrosinistra in Italia e in Europa), che né i tecnici né, tanto meno, i populisti possono e vogliono dare.

«La politica ti prende, è una passione, o se si vuole una malattia da cui non si guarisce mai ... Naturalmente, non significa fare sempre il parlamentare, o il funzionario di partito. Se la politica è il tentativo di cambiare il corso delle cose secondo una visione e valori e convinzioni forti, è una condizione di vita dalla quale, secondo la mia esperienza, non si esce più, se non in modo totalmente traumatico, quando ti capita di essere sbalzato via», sostiene D'Alema al termine dell'intervista. Non è più da un pezzo un funzionario di partito, non sarà più parlamentare. Ma non è stato «sbalzato via». La lotta contro lo spirito del tempo continua.

 

 

Massimo Dalema Massimo Dalema FABRIZIO CICCHITTO PEPPINO CALDAROLA - Copyright Pizzifrancesco cossiga o mc41 carlo azeglio ciampiACHILLE OCCHETTO Walter Veltroni

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