ESISTE IL PIANO B, È IL PIANO BERSANI! - BERSANI SA CHE NON HA I NUMERI SUFFICIENTI PER GOVERNARE: L’ALLEATO DISPONIBILE (IL PDL) È INSERVIBILE, QUELLO POSSIBILE (GRILLO) È INVECE INDISPONIBILE – OK, ACCETTA L’INCARICO, SUPERA LA CAMERA, SOCCOMBE AL SENATO: IL GOVERNO È SFIDUCIATO E DIMISSIONARIO, IN CARICA PER GLI AFFARI CORRENTI. CORRENTI MA SONO SEMPRE AFFARI - E ATTENDERE DA LÌ L’ELEZIONE DEL NUOVO CAPO DELLO STATO….

Antonello Caporale per il Fatto

Esiste il piano B, è il piano Bersani! È una pura estensione del piano A. B sta per ancora per l'uomo di Bettola che mette in gioco tutto il suo potere elettorale per schivare i dubbi del Quirinale, una crescente perturbazione nel suo partito e l'ansia che si sta impadronendo degli italiani.

Bersani sa che non ha i numeri sufficienti per governare, ma sfida la doppia congiunzione astrale: l'alleato disponibile (il Pdl) è inservibile, quello possibile (Grillo) è invece indisponibile. L'unico modo per trarre profitto da questa condizione di immobilismo politico è costruire una trincea dentro al Parlamento, insediarsi malgrado tutto a Palazzo Chigi e attendere da lì l'elezione del nuovo Capo dello Stato.

È un piano che utilizza il diritto e l'ingovernabilità per spuntare sull'ostilità di una vasta platea di soggetti e raccogliere - in una condizione periclitante e con modalità irrituali - il testimone da Mario Monti. È un piano, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, che ha una comunque sua logica e una sua strategia. Arrischiato ai limiti della temerarietà, ma dentro i confini della prassi parlamentare, e soprattutto dentro le regole che hanno sin qui governato i rapporti tra poteri.

Bersani ha chiesto e ottenuto dal suo partito il voto pressoché unanime ad avanzare a Giorgio Napolitano la richiesta di ricevere l'incarico. "Incarico pieno, mi sembra chiaro", dice Stefano Fassina. Non un mandato esplorativo o un pre incarico, ma appunto il potere di costruire un governo che possa ottenere il massimo del sostegno parlamentare.

Domanda: il capo dello Stato può ridurre l'intensità di questo mandato? L'Unità ha anticipato la risposta facendo scrivere a Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale a Foggia, una breve analisi intitolata "Poteri del presidente e primo governo di legislatura". Il capo dello Stato deve dare l'incarico alla personalità che più di ogni altra ha la possibilità di ottenere la maggioranza più larga in Parlamento.

Avendo blindato il Pd, che ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato, sul nome di Bersani, Napolitano non potrebbe discostarsene. Almeno in prima istanza. Bersani aspetta di ricevere dunque un incarico pieno e senza attendere oltre, avendo già un programma costituito nei famosi otto punti, presentarsi in Parlamento.

Andrebbe a sfidare Grillo in mare aperto. Ci andrebbe dopo aver giurato davanti al Quirinale ed espresso una ristretta compagine di governo. Andrebbe prima alla Camera in ossequio alla regola che il nuovo governo si presenta nel ramo alternativo a quello in cui ha ottenuto la fiducia il precedente. Mario Monti andò al Senato il 17 novembre 2011 e quindi per Bersani c'è la Camera. E lì ottiene la fiducia.

Poi va al Senato e guarda i numeri. Verosimilmente non sufficienti. Il governo è sfiduciato e dimissionario, in carica per gli affari correnti. Saranno correnti ma sono sempre affari: poltrona trasferita da largo del Nazareno a palazzo Chigi, un esecutivo ridotto ai minimi termini, nell'attesa del nuovo inquilino e per far fronte almeno agli atti urgenti di questa straordinaria crisi. Le consultazioni proseguono.

Ma con un giocatore in più in campo e soprattutto un disturbatore delle manovre di Napolitano. Il quale , seguendo la Costituzione, deve individuare, malgrado lo spirare del suo mandato, una personalità che allarghi oltre Bersani la platea della maggioranza. Non uno qualunque, dunque, non un tecnico di basso profilo perciò, ma un nome forte che faccia meglio.

Già successe, scrive l'Unità: era il 1953 ed Einaudi dopo la sfiducia parlamentare a De Gasperi individuò nel deputato Pella l'uomo nuovo. E Pella riuscì dove aveva fallito il capo della Dc. Può accadere anche questa volta? Remota possibilità. Perché un Bersani in campo, premier sfiduciato sì ma vivo e vegeto, riduce il rischio per il partito di esplodere in un rosario di opzioni (leggi governissimo).

Bersani, questo sarebbe il suo piano, attenderebbe da Palazzo Chigi l'arrivo del nuovo presidente della Repubblica. Lo attenderebbe con fatti, proposte, disegni di legge: un modo per stabilire sul programma un filo di minimo consenso con il Movimento Cinque Stelle. E avrebbe tempo per costruire anche insieme ai grillini la proposta del successore di Napolitano.

Se gli riuscisse sarebbe un capolavoro tattico e quella sfiducia annunciata al primo tentativo si potrebbe rivelare possibile al secondo. In caso contrario il nuovo inquilino del Quirinale dovrebbe prendere atto dell'impossibilità di formare un governo e mandare tutti alle urne.

Bersani concluderebbe il suo compito e manderebbe al voto un partito almeno formalmente unito, che ha fatto di tutto per scongiurare le elezioni e si è arreso solo quando la realtà non ammetteva fraintendimenti. Al voto con chi? Ma con Matteo Renzi, che avrebbe l'occasione della rivincita.

E Renzi se ha una voglia, è quella di fare il premier. Al partito penserebbero altri. Tra questi il più titolato, e quasi unico in gara, sarebbe Fabrizio Barca dichiaratamente interessato alla nuova destinazione e perciò recalcitrante a proporsi come alternativa dell'oggi a Bersani.

È un piano folle? È un'idea temeraria al limite dell'avventurismo oppure l'unica scelta ragionevole in questo caos?

 

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