EURO-FALLIMENTO: DOPO CIPRO, TOCCA ALLA SLOVENIA?
1. "NIENTE AIUTI"
Da Radiocor
La Slovenia, che per molti osservatori sara' a breve il sesto Paese membro dell'Eurozona a chiedere sostegno all'Europa, 'non avra' bisogno di aiuti. Ce la possiamo fare da soli'. Lo ha detto il premier sloveno, Alenka Bratusek, nel suo primo intervento pubblico di una certa importanza, rispondendo alle domande dei parlamentari in una sessione di domande e risposte.
La situazione nel Paese non e' comparabile a quella cipriota, nondimeno, ha detto Bratusek, i conti pubblici sono ancora 'in una cattiva situazione' e il Consiglio dei Ministri sta lavorando 'con determinazione' per risanare il settore bancario e valutare l'introduzione di nuove tasse. In ogni caso, 'il sistema bancario - ha detto Bratusek - e' solido e sicuro e non possono essere applicati confronti con Cipro. I depositi bancari sono al sicuro con la garanzia del Governo'.
2. IN SLOVENIA ORE CRUCIALI: EVITARE IL DESTINO CIPRIOTA
Riccardo Sorrentino per "Il Sole 24 Ore"
Cipro, in un certo senso, appartiene al passato. Gli investitori cercano ora, con un po' di apprensione, il prossimo candidato della crisi bancaria che colpisce, uno dopo l'altro, i Paesi minori di Eurolandia; e guardano alla Slovenia, dove il settore creditizio richiede interventi.
Non sono i soli. La loro è la stessa preoccupazione del Governo di centro-sinistra di Lubiana, nato una settimana fa e guidato da Alenka Bratusek, la prima donna premier del Paese. Bratusek ha subito detto che la Slovenia ce la farà da sola, opinione sostenuta anche dal governatore della banca centrale Josef Makuch, il quale ha comunque insistito sul fatto che è una priorità del Paese - che ha già avviato molte riforme - risanare le deboli banche.
à proprio così: il settore creditizio non è sano; e la causa è abbastanza chiara. Le banche hanno fornito crediti a società di costruzioni - una storia che ritorna, fin dai primi passi di questa grande recessione - ma anche a operazioni di management o leveraged buy out (Mbo/Lbo). Sono operazioni finanziarie un tempo considerate molto sofisticate, ma ora piuttosto diffuse, che uno sguardo prevenuto farebbe fatica a immaginare nella Slovenia ex comunista.
Si tratta di acquisti di aziende, a volte effettuati dagli stessi manager, finanziati con gli utili delle stesse imprese, quindi relativamente rischiose. Seguendo questa strategia di sviluppo aziendale, le banche hanno spinto i prestiti fino al 137% dei depositi (a marzo 2012) finanziando la quota in eccesso - come in Islanda - da prestiti interbancari con l'estero. In questo modo il sistema è diventato vulnerabile ai flussi finanziari internazionali.
L'economia reale è stata coinvolta subito. La doppia recessione ha creato un pericoloso circolo vizioso, che ora andrebbe spezzato. Le aziende slovene - anche a causa degli Mbo/Lbo - hanno uno tra i più alti rapporti tra debito e capitale (anche se le famiglie sono molto meno esposte di quelle italiane).
La crisi ha creato difficoltà nel rimborso dei crediti e nel pagamento degli interessi. I prestiti in sofferenza sono saliti al 14,4% degli impieghi del sistema, una percentuale che nelle tre maggiori banche passa al 20,5% di tutti i prestiti e al 33% di quelli relativi alle sole imprese.
In queste condizioni, è difficile continuare a finanziare l'economia che quindi perde ulteriormente terreno. Il circolo ricomincia. Per il settore creditizio, il risultato è stato un biennio di perdite che hanno già spinto lo stato a ricapitalizzare le aziende di credito pubbliche. à l'intero settore, però, che richiede ora un intervento di ricapitalizzazione: a dicembre il Fondo monetario internazionale calcolava le risorse necessarie nel 5% del Pil: quindi circa 1,8 miliardi di euro, uno dei quali richiesto alle prime tre banche.
Le somme in gioco sono quindi relativamente piccole, sia in termini assoluti che relativi. Anche il microstato sloveno - due milioni di abitanti - ha visto il settore finanziario crescere più dell'economia: gli asset sono il 180% del Pil, un livello pari però - secondo l'Fmi - a un terzo della media dei Paesi di Eurolandia. Attività per almeno il 100% del Pil fanno capo a tre banche pubbliche: la Nlb, che ha un'importante presenza anche in altri Paesi dei Balcani, la Nkbm e la Triglav.
Limitata anche l'"interrelazione". Banche austriache, italiane, francesi, belghe possiedono quote in alcune delle dieci maggiori aziende di credito slovene e, malgrado la necessità di ricorrere a prestiti esteri, la penetrazione degli stranieri nel settore bancario di Lubiana è la più bassa dei Paesi dell'Europa orientale: l'esposizione è progressivamente scesa a 9,6 miliardi.
Il Governo ha infatti costantemente perseguito una politica di difesa degli "interessi nazionali" che ha tenuto fuori proprio quei capitali stranieri di cui ha comunque bisogno. Anche adesso.
La Slovenia, da sola, non sembra potercela fare, in realtà . La ricapitalizzazione di tutte le imprese del Paese, in base alle leggi attuali, potrebbe essere effettuata attraverso la trasformazione di debiti in equity, un po' come è avvenuto a Cipro nelle banche. Per il settore creditizio è poi già stata predisposta una bad bank nazionale, ma l'Fmi ritiene che siano comunque necessarie, per i salvataggi, risorse fresche, liquide.
In questa situazione, difficilmente le banche potranno sottoscrivere il debito sovrano. Al di là dei salvataggi bancari, il fabbisogno statale potrebbe raggiungere i tre miliardi a fine anno, con un importante emissione da 1,1 miliardi circa a 18 mesi in scadenza a giugno: la recessione spinge il Paese a mantenere il deficit alto (al 4,3% a settembre, dal 6,4% del 2011). Anche se il debito pubblico resta al 50% del Pil, la Slovenia potrebbe quindi incontrare difficoltà di finanziamento; e chiedere quindi aiuto.






