fabiano fabiani

MA FABIANO FABIANI DICEVA ''STOCAZZO'' A DRAGHI? L'ULTIMO BOIARDO DI STATO COMPIE 90 ANNI E VUOTA IL SACCO DEI RICORDI, DELL'IRI E DEGLI AMMINISTRATORI CHE HANNO FATTO GRANDE QUESTO PAESE, FINO AGLI SPERICOLATI ANNI '80 - ''DRAGHI, DIRETTORE GENERALE DEL TESORO, MI INCONTRAVA NEI CORRIDOI E MI CHIEDEVA 'OGGI CHE COSA HAI VENDUTO?'. ERA IL TEMPO DELLE PRIVATIZZAZIONI. IO ERO A CAPO DI FINMECCANICA E GLI RISPONDEVO CON UNA ESPRESSIONE IRRIFERIBILE. MA LA SOSTANZA ERA 'NON HO VENDUTO NULLA'''

Paolo Bricco per ''Il Sole 24 Ore''

Fabiano Fabiani

 

«Mario Draghi, che era direttore generale del Tesoro e quindi membro del comitato di presidenza dell'Iri, mi incontrava nei corridoi e mi chiedeva: "Oggi che cosa hai venduto?". Era il tempo delle privatizzazioni. Ero a capo di Finmeccanica. Io e Draghi avevamo consuetudine e un buon rapporto. Scherzando, ma non troppo, gli rispondevo con una espressione irriferibile. La sostanza della mia replica era sempre: "Non ho venduto nulla"».

 

Con Fabiano Fabiani, classe 1930, siamo nel cuore di due fenomeni centrali nella storia del Paese e della sua identità attuale, dei suoi punti di forza e delle sue fragilità, di ogni ipotesi di futuro e di ogni vincolo a quel che sarà: la Rai - la politica e la cultura - e Finmeccanica, cioè l'industria («è stato un errore cambiare il nome in Leonardo dopo i guai giudiziari, per tutti rimane Finmeccanica»).

 

Fabiani è uno strano ircocervo: è stato un giornalista (direttore del Tg1 e poi dei programmi culturali della Rai) e un manager pubblico, raro caso di una doppia identità coltivata in ambiti tanto differenti con uguale determinazione e successo. Da Ercoli 1928, una drogheria del quartiere Prati trasformata da tempo in ristorante, è vestito in jeans, con una camicia a quadrettoni e una giacchetta verde senza le maniche.

 

Fabiano Fabiani Ciampi

Sembra appena tornato dalla Maremma: «E, in effetti, io e mia moglie Lilli abbiamo passato a Capalbio tutta l'estate. Ormai siamo nella stagione della vita in cui, oltre ai quattro figli e agli otto nipoti, nella casa delle vacanze arrivano anche le loro fidanzate, carine e simpatiche. A un certo punto, eravamo in diciannove. Per fortuna che, nel casale, abbiamo sistemato e ristrutturato la porcilaia. Naturalmente, in maniera legale», aggiunge con il moralismo ironico del democristiano di sinistra che ha l'urgenza di porre un limite - per sé e per gli altri - all'ineleganza e al male del mondo, ma che sa come funzionano le cose in Italia e che, ancora adesso, sorride quando ti racconta:

 

«Nel 1983, nel nostro ruolo di consiglieri - grazie a un suggerimento di Nino Andreatta - del segretario della Dc Ciriaco De Mita, io, Roberto Ruffilli, Romano Prodi e Giuseppe De Rita indicammo nel termine "rigore" la parola chiave delle elezioni politiche. De Rita, che è un romano disincantato, non era tanto convinto della scelta. Va bene che il Psi era in grande crescita, ma la Dc perse il 5% dei voti, gli italiani non apprezzarono quel nostro invito appunto al rigore».

Cossiga e Fabiano Fabiani

 

In questo locale i romani comprano al bancone formaggi e salumi, carni di cacciagione e bottiglie di vino oppure si siedono ai tavoli, a consumare pasti che sono rapidi, ma non frugali. Prima di leggere il menù e la carta dei vini, Fabiani completa il suo pensiero critico sull'epoca delle privatizzazioni:

 

«Era il 1993. Gli altri Paesi europei, in cambio del sì al nostro ingresso nell'unione monetaria, avevano chiesto la messa in sicurezza dei conti nazionali, attraverso la riduzione della spesa pubblica, la chiusura delle componenti in perdita dell'Iri e la cessione sul mercato di pezzi buoni del patrimonio industriale di proprietà dello Stato. Erano condizioni essenziali per ridurre l'entità del debito pubblico e per diminuire lo spread fra i Btp italiani nominati in lire e i Bund tedeschi nominati in marchi. Il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi e il direttore generale del Tesoro Draghi credevano profondamente nella unificazione monetaria a completamento del progetto comunitario e, dal punto di vista tecnico, rispondevano con scelte puntuali a un vincolo esterno, seppur da loro condiviso.

Fabiano Fabiani

 

Noi di Finmeccanica facevamo l'opposto. Continuavamo a operare per la costruzione di un gruppo industriale integrato fra il militare e il civile. Ampliavamo il peso di quest' ultimo. Crescevamo per linee interne e per linee esterne. Fra le tante operazioni, attraverso la Elsag comprammo prima negli Stati Uniti la Bailey e poi, a metà anni Novanta, con la neonata Elsag Bailey Process Automation, andammo in Germania a rilevare dalla Mannesmann la Hartmann & Braun, investendo un miliardo di marchi, l'equivalente di 1.150 miliardi di lire».

 

Il cameriere di Ercoli 1928 porta un piatto abbondante di salame felino, prosciutto crudo toscano al coltello, Parma tagliato fine, mozzarella e formaggi, con miele di acacia e composte di frutta. Fabiani, a novant' anni, è l'ultimo dei boiardi di Stato: «Un'espressione inventata, ricalcandola dalla storia russa, dal mio amico Eugenio Scalfari».

fabiano fabiani con la moglie lilli foto di bacco

 

L'industrializzazione italiana è stata realizzata nel Novecento dallo Stato Imprenditore e dalle famiglie del capitalismo settentrionale («anche se, sulla loro crescita, ha influito la funzione regolatoria della Mediobanca di Enrico Cuccia che, non vorrei sembrare dissacrante, in fondo ha costruito un poco l'Iri del Nord»). La geografia è mutata. Il mondo è cambiato. In mezzo ci sono state la globalizzazione e la moneta unica.

 

Sono tutti morti. Ma, in Fabiani, si avverte un orgoglio per un meccanismo di rapporto fra economia e società, politica e industria che, in alcune sue parti, ha funzionato bene: «Oscar Sinigaglia nell'acciaio. Guglielmo Reiss Romoli nella telefonia. Enrico Mattei all'Eni. Ettore Bernabei in Rai. Fedele Cova con l'Autostrada del Sole. E, dopo, Ernesto Pascale alla Stet, che ebbe l'intuizione di cablare tutta l'Italia quarant' anni prima degli altri con il progetto Socrate, una strategia visionaria uccisa in culla. Hanno avuto un ruolo fondamentale nella crescita del Paese. E non hanno malversato. Un importante dirigente di lungo corso come Franco Viezzoli, che dalla Società Autostrade dove ero andato dopo la Rai mi aveva portato in Finmeccanica e che sarebbe diventato anche presidente dell'Enel, è morto povero».

 

fabiano fabiani

Nessuno nega la deriva degli anni Ottanta, con la forza significativa dei partiti («anche se non tutto era identico, quando nel 1987 Giuseppe Glisenti arrivò alla presidenza di Finmeccanica ci chiese la doppia versione dei bilanci, voleva capire in che modo pagassimo i partiti, rimase stupito quando gli dicemmo che la versione dei bilanci era una e una sola, era così, non facevamo alcun trasferimento occulto»), con la crescita ipertrofica dell'Iri, con le inefficienze tremende di alcune sue parti e con la trasformazione dell'Efim in un magnete nero che avrebbe prodotto perdite per 18mila miliardi di lire.

 

paolo cirino pomicino fabiano fabiani

A fine anni Ottanta nasce il progetto della Grande Finmeccanica, condotto appunto da Fabiani come amministratore delegato, secondo la ratio strategica di concentrare gradualmente nella allora finanziaria statale la manifattura pubblica tecnologicamente avanzata presa dalla Stet su indicazione di Romano Prodi e successivamente, su indicazione del presidente del Consiglio Giuliano Amato, dall'Efim, il cui nocciolo duro industriale venne salvato dal fallimento finanziario degli anni Novanta con il conferimento delle attività produttive sane proprio a Finmeccanica.

 

«Per noi - dice Fabiani - la chiusura del cerchio fu la quotazione in Borsa del 1993, concordata con Prodi, presidente dell'Iri. Fatta in quel modo, la privatizzazione ha funzionato. Lo stesso non si può dire con quella della Telecom del 1997». In tavola arriva la carne. Fabiani prende una tartare di angus, io un pollo ai tre peperoni. La storia italiana è corposa come il dolcetto che beve lui. E, in apparenza, è facile e semplice come il chianti classico che bevo io. In realtà, nella nostra vicenda di lungo periodo ogni cosa è sempre molto complicata.

walter veltroni e fabiano fabiani 1

 

Anche perché tutti sanno sempre tutto. Tutti hanno sempre ragione. Nessuno, però, legge le carte e analizza i numeri. E, questo, vale anche nel campo di Agramante che sta sul confine fra economia pubblica e economia privata, una delle principali contraddizioni dell'identità italiana, con un popolo diviso fra la vocazione individuale all'imprenditorialità più naturale e l'impulso collettivo a considerare lo Stato azionista e prestatore di ultima istanza di qualunque inefficienza ed errore, privato o pubblico che sia. In un Paese che pratica le doppie verità, spesso la cronaca economica e politica si trasforma in fiction, trama romanzesca in cui il non detto prevale sul detto.

 

Fabiano Fabiani

Sempre la storia si colora di fantasia e si incupisce di tinte noir. A proposito di questa costante liquefazione del dato storico, Fabiani racconta un passaggio critico per gli assetti profondi del nostro Paese: «Ho gestito, come amministratore delegato di Finmeccanica, la vendita dell'Alfa Romeo nel 1986. La finanza di impresa dell'Alfa era in grave dissesto. Ford voleva però acquisirla per risanarla e per entrare in Italia. L'Avvocato Agnelli e Cesare Romiti fecero una offerta finanziariamente migliore». Andò proprio così: «La riunione decisiva a New York con i banchieri incaricati di valutare le due offerte durò non più di quindici minuti. La componente economica era troppo più elevata. Fiat pagò l'acquisto dell'Alfa e spesò anche la conservazione del monopolio nel Paese».

 

E, così, andò male sia alla Fiat sia all'Italia, perché più concorrenza sarebbe stata utile a entrambe. Ma, come diceva Manzoni, del senno di poi ne son piene le fosse. È l'epilogo del pranzo. Io prendo un tiramisù. Lui un gelato al limone. Il poeta russo Osip Mandel'tam scriveva: «Ho imparato la scienza degli addii».

 

 

Scalfari con Lilli e Fabiano Fabiani

«Sono andati via tanti amici miei. Ettore Scola, Enzo Golino, Andrea Barbato, Brando Giordani, Enzo Siciliano, Alberto Ronchey, Alfredo Reichlin. Io, però, non mi sento solo. A casa che mi aspetta ho mia moglie Lilli. E, io e lei, abbiamo i nostri figli e i nostri nipoti». Lo dice senza malinconia e quasi con una felicità piena di pudore, da uomo che non è stato svuotato e trasfigurato dalle durezze del potere e dalla solitudine delle responsabilità. In attesa di un'altra estate in Maremma, «perché, sa, i nipoti qualche volta arrivano con fidanzate nuove...».

MARIO DRAGHI GIULIANO AMATOmario draghi al meeting di rimini 6enrico mattei 1Enrico Matteifabiano fabiani saluta lucia annunziata foto di bacco

Ultimi Dagoreport

alessandro giuli arianna meloni fabia bettini federico mollicone fazzolari giovanbattista giovan battista

DAGOREPORT - E’ SCOPPIATO UN NUOVO “CASO GIULI”, ACCUSATO DA “LA VERITÀ” DI ESSERE “STATO DAVVERO GENEROSO CON LE INIZIATIVE CINEMATOGRAFICHE DELLA SINISTRA ITALIANA”. A PARTIRE DA FABIA BETTINI, ATTIVA DA OLTRE 15 ANNI NEL CINEMA, REA DI ESSERE LA SORELLA DI GOFFREDO (CI SONO SORELLE E SORELLE), PER FINIRE AI FONDI PER “VIDEOCITTÀ” DI FRANCESCO RUTELLI - GIULI QUERELA “LA VERITÀ” MA IL GIORNO DOPO RINCULA, ‘’COMMISSARIATO’’ DA PALAZZO CHIGI - UNO SCAZZO CHE FA VENIRE A GALLA UNA LOTTA INTERNA AI ‘’CAMERATI D’ITALIA’’ CHE HANNO SEMPRE BOLLATO GIULI COME CORPO ESTRANEO ALLA FIAMMA, CACCIATO A SUO TEMPO DAI “GABBIANI” DI COLLE OPPIO (GODE MOLLICONE CHE SOGNAVA IL MINISTERO DELLA CULTURA) - LA “MERITOCRAZIA”, DI CUI SI RIEMPIVA LA BOCCUCCIA LA DUCETTA, È STATA SEMPLICEMENTE SPAZZATA VIA DALL’APPARTENENZA POLITICA: SEI CON NOI, OK; SE SEI CONTRO, NIENTE FONDI - MENTRE SI SCRIVONO MINCHIATE SUI “COMUNISTI DEL CIAK”, IL MINISTERO DELLA SANTANCHÉ È FINITO AL CENTRO DELLE INDAGINI DELL’ANAC, L’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE, PER FONDI DESTINATI A FESTIVAL DI CINEMA ORGANIZZATI DA TIZIANA ROCCA E GABRIELLA CARLUCCI…

donald trump giorgia meloni keir starmer emmanuel macron

SI ANNUNCIANO TEMPI SEMPRE PIU' DURI PER LA GIORGIA DEI DUE MONDI - AL SUMMIT DI LONDRA, STARMER E MACRON HANNO ANNUNCIATO UN PIANO DI PACE ASSIEME AD ALTRI PAESI (GERMANIA, POLONIA, SPAGNA, ETC) - PREMESSO CHE PUTIN È L'AGGRESSORE E IL SUPPORTO ALL'UCRAINA SARA' FINO ALLA FINE, IL LORO PIANO DI PACE HA BISOGNO DELLA NUOVA AMERICA DI TRUMP, MA NON È INDISPENSABILE LA SUA MEDIAZIONE - LA POSIZIONE ESPRESSA DA GIORGIA MELONI È STATA IL CONTRARIO AL PENSIERO DI FRANCIA E GRAN BRETAGNA: IL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA È INDISPENSABILE PER IL CESSATE IL FUOCO - AMORALE DELLA FAVA: LA DUCETTA A STELLE E STRISCE CI STA SOLO SE LA TRATTATIVA SI FA INSIEME CON IL PAZZO DI WASHINGTON (AUGURI!)

los angelucci del rione sanita - vignetta by macondo antonio giampaolo silvio berlusconi alessandro sallusti

IL CONVENTO DEGLI ANGELUCCI E’ RICCO MA PER I GIORNALISTI DEL “GIORNALE’’, "LIBERO” E “TEMPO” TIRA UNA BRUTTA ARIA - NIENTE PIU’ INVIATI SE NON ‘INVITATI’, NIENTE PIU’ AUTO CON NOLEGGIO A LUNGO TERMINE, OBBLIGO DI STRISCIARE IL BADGE IN ENTRATA, TOLTE PURE LE CIALDE DEL CAFFE’ - DIECIMILA EURO IN MENO PER VITTORIO FELTRI, NIENTE MANLEVA PER LE QUERELE (FILIPPO FACCI HA PAGATO 30MILA EURO PER UNA CAUSA) - SALLUSTI NON C’E’ E QUANDO C’E’ NON PARLA. E IN BARBA AL MELONISMO SENZA LIMITISMO (‘’VELINE’’ DI PALAZZO CHIGI A STRAFOTTERE), LE COPIE CALANO - NERVOSISMO PER L’INSERTO ECONOMICO DI OSVALDO DE PAOLINI - L’ASSEMBLEA E LA PAROLA INNOMINABILE: “SCIOPERO”…

donald trump volodymyr zelensky giorgia meloni keir starmer emmanuel macron ursula von der leyen

DAGOREPORT – IL "DIVIDE ET IMPERA" DEL TRUMPONE: TENTA DI SPACCARE IL RIAVVICINAMENTO TRA GRAN BRETAGNA E UNIONE EUROPEA EVITANDO DI PORRE DAZI SUI PRODOTTI "MADE IN ENGLAND" – STARMER SE NE FOTTE, ABBRACCIA ZELENSKY E SI ERGE A NUOVO LEADER DELL’EUROPA (PARADOSSALE, DOPO LA BREXIT) – OGGI, PRIMA DELLA RIUNIONE DEI LEADER EUROPEI A LONDRA, BILATERALE TRA IL PREMIER BRITANNICO E GIORGIA MELONI, PER CAPIRE CHE ARIA TIRA NELL’“ANELLO TRUMPIANO DELL’EUROPA” - SPACCATURA NELLA LEGA PER IL TRUMPIAN-PUTINISMO DI SALVINI - SCETTICISMO CRESCENTE IN FRATELLI D’ITALIA (FAZZOLARI, URSO E LOLLOBRIGIDA SI SMARCANO DALLA LINEA PRO- KING DONALD) – SCHLEIN E CONTE IN BANCAROTTA - LA PARALISI DEI DEMOCRATICI AMERICANI: AVETE SENTITO LA VOCE DI OBAMA, CLINTON E BIDEN?

volodymyr zelensky donald trump jd j.d. vance

DAGOREPORT - ZELENSKY È CADUTO IN UN TRANELLO, STUDIATO A TAVOLINO: TRUMP E JD VANCE VOLEVANO MORTIFICARLO E RIDURLO ALL’IMPOTENZA CON LA SCENEGGIATA NELLO STUDIO OVALE, DAVANTI AI GIORNALISTI E ALLE TELECAMERE - D’ALTRO CANTO LA VERA DIPLOMAZIA NON SI FA CERTO “ON AIR”, DAVANTI ALLE TELECAMERE E A MICROFONI APERTI - TRUMP E JD VANCE HANNO CONSEGNATO UN ‘PIZZINO’ IN STILE CAPOCLAN: TACI, PERCHÉ SENZA DI NOI SEI FINITO. DUNQUE, OBBEDISCI. E DIRE CHE GLI SHERPA UCRAINI E STATUNITENSI AVEVANO TROVATO PERSINO UN ACCORDO DI MASSIMA SULLE VARIE QUESTIONI APERTE, COME L’ACCORDO-CAPESTRO PER KIEV SULL’ESTRAZIONE DELLE TERRE RARE (UN TRATTATO CHE DI FATTO AVREBBE PERMESSO AGLI USA DI SPOLPARE IL SOTTOSUOLO UCRAINO PER GLI ANNI A VENIRE)… - VIDEO