RENZIE A SEI ZAMPE – CHE FARA’ RENZI PREMIER DEL PIANO DI CESSIONI DI LETTANIPOTE CHE PASSA ANCHE PER L’ENI? IL GRUPPO PETROLIFERO CONTINUERA’ LO STESSO A COMPRARE AZIONI PROPRIE? INTANTO SCARONI SI FREGA LE MANI…
Carlotta Scozzari per Dagospia
"La politica di distribuzione di Eni continua a essere una combinazione di dividendo e buyback", ossia di acquisto di azioni proprie della stessa società . E' uno dei passaggi chiave del discorso pronunciato oggi dall'amministratore delegato del gruppo petrolifero, Paolo Scaroni, in occasione della presentazione, a Londra, del nuovo piano strategico per il periodo 2014-2017. In altri termini, l'Eni continuerà sia a ricompensare gli azionisti con buone cedole, sia a comprare titoli propri.
Quanto al primo punto, il colosso del Cane a sei zampe, proprio oggi, insieme con i numeri di bilancio del 2013, ha annunciato che il consiglio di amministrazione proporrà all'assemblea degli azionisti che si riunirà l'8 maggio la distribuzione di un dividendo di 1,10 euro per azione (contro gli 1,08 euro del 2012), di cui 0,55 già finiti nelle tasche degli azionisti a titolo di acconto.
Oltre alla cedola, il gruppo Eni ha annunciato di avere archiviato il quarto trimestre del 2013 con un utile finale al netto delle componenti straordinarie pari a 1,3 miliardi di euro, in calo del 14% rispetto allo stesso periodo del 2012. Nel 2013 il dato si è invece attestato a 4,43 miliardi, in flessione del 35% rispetto all'esercizio 2012.
Più complesso il tema dell'acquisto di azioni proprie. Tale operazione, già approvata dall'assemblea dei soci di maggio dell'anno scorso, è entrata nel vivo di recente per "accompagnare" la cessione del 3% circa di Eni che rientra nel programma di dismissioni varato dal governo di Enrico Letta per fare cassa (poca) e abbattere il debito pubblico (troppo). Va ricordato che il Tesoro ha in portafoglio il 4,34% del gruppo petrolifero, mentre la Cassa depositi e prestiti detiene la quota di maggioranza del 25,76 per cento.
Ora, il meccanismo che Letta nipote aveva studiato per cedere la mini-quota in Eni avrebbe dovuto funzionare più o meno così: da una parte, lo Stato vende le azioni, e, dall'altra, l'Eni se le ricompra e poi in un secondo momento le annulla, così da consentire al Tesoro di mantenere una partecipazione di peso nel gruppo guidato da Scaroni.
Ma la vera domanda, adesso che il governo Letta è ormai appeso a un filo e che Matteo Renzi è proiettato verso la guida del Paese, è: che ne sarà del piano di dismissioni statali che passa anche per la vendita di una piccola quota di Eni? Perché se dovesse naufragare insieme con l'attuale esecutivo è assai probabile che anche gli acquisti di azioni proprie, che a ieri si attestavano allo 0,44% del capitale sociale di Eni, possano quantomeno perdere slancio.
Nel frattempo, c'è chi scommette che Scaroni, dopo lo scambio di "amorosi sguardi" con Renzie risalente a qualche puntata fa di "Porta a porta", si stia già sfregando le mani per l'ascesa al potere del sindaco di Firenze, con cui pare essere in buoni rapporti. Del resto, per il manager dell'Eni, dati i tempi che corrono, meglio mantenere cordiali rapporti con il maggiore numero di persone: non soltanto Scaroni è indagato per corruzione internazionale nella vicenda delle presunte tangenti algerine di Saipem, ma il suo mandato al gruppo del Cane a sei zampe in primavera scadrà . E trattandosi di nomina pubblica, meglio avere un amico che un nemico al governo.




