IL FICO NON E’ SECCO - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA E’ L’UNICA VERA OPPOSIZIONE AL GOVERNO: “SE RIMANDE IL CONDONO, MI SEMBRA OVVIO CHE CI SIA UN PROBLEMA. NOI NON SIAMO UGUALI ALLA LEGA - SALVINI VUOLE PARLARE CON ME? LO FACCIA SUI CONTENUTI E NON DICENDO ‘FICO FACCIA IL PRESIDENTE DELLA CAMERA…”
1 - FICO, PROBLEMA SE RIMANE CONDONO. NOI NON UGUALI LEGA
(ANSA) - "Se rimane il condono, mi sembra ovvio che ci sia un problema". Lo ha detto il presidente della Camera, Roberto Fico, parlando con i giornalisti a margine di un convegno sulla sanità a Napoli. "Si agisce all'interno di un filo rosso che è quello del contratto - ha proseguito Fico - perchè se fossimo stati uguali alla Lega, ci saremmo candidati con la Lega ma noi non siamo uguali alla Lega e non ci candideremo nemmeno con la Lega".
2 - FICO, CONTE DECIDE PER SUE COMPETENZE E FUNZIONI
(ANSA) - "Conte decide per le sue competenze e funzioni". Lo ha detto il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, parlando con i giornalisti a margine di un convegno sui 50 anni dell'ospedale evangelico a Napoli.
beppe grillo con roberto fico e virginia raggi
3 - FICO, SALVINI VUOLE PARLARE CON ME? SUI CONTENUTI
(ANSA) - "Se Salvini vuole parlare con me lo facci sui contenuti e non dicendo 'Fico faccia il presidente della Camera'". Lo ha detto il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico parlando con i giornalisti a margine di un convegno sui 50 anni dell'ospedale evangelico a Napoli. "Quello che dico io è da istituzione - ha aggiunto - ma il background appartiene alla nascita e alla costruzione del M5s".
4 - CAOS TRA I 5 STELLE, L' AFFONDO DI FICO IL CAPO PROVA A FRENARE: NIENTE CRISI
Alessandro Trocino per il “Corriere della sera”
Per il deputato Davide Tripiedi, non è possibile che Luigi Di Maio abbia portato «una porcheria del genere in consiglio dei ministri» perché «ha una profonda bontà d' animo». Non essendo verificabili le qualità morali del vicepremier, restano diverse cose da chiarire nella crisi che ha investito il governo, portando Di Maio a denunciare il sabotaggio nella terza Camera di Porta a Porta.
Non tutti, dentro il Movimento, condividono la versione buonista di Tripiedi e si chiedono se non ci sia stata un' omissione di controllo. Ed è già partita la caccia al colpevole. Ma tra i maggiorenti, nella consueta ricerca di un capro espiatorio, si punta il dito soprattutto fuori, in tre direzioni diverse e convergenti: contro l' ennesimo tecnico sabotatore del ministero, Glauco Zaccardi; contro la «distrazione» del ministro Giovanni Tria; e contro le divisioni leghiste, con Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia che «spadroneggiano all' insaputa di Salvini».
Nel frattempo Roberto Fico attacca, durissimo: «Il condono non è nel contratto. Comunque il Movimento non capirebbe. E farebbe bene a non capire: è giusto chiedere un chiarimento politico, che è urgente». Chiarimento sì, ma tenendo in piedi la baracca, fa sapere ai suoi Luigi Di Maio: «Non si farà certo una crisi di governo per un condono».
Non si farà, forse, ma l' allarme sarebbe scattato dall' alto.
Anzi, dall' altissimo, perché a innescare la reazione furibonda di Di Maio, con annunci tv di denunce (poi non fatte), sarebbe stato Beppe Grillo in persona, con una telefonata preoccupata al vicepremier.
Legittime preoccupazioni, anche perché il gruppo parlamentare è in agitazione e perché si avvicina un appuntamento clou per il Movimento, ovvero la grande manifestazione del Circo Massimo di sabato e domenica. Come si può pensare di presentarsi di fronte alla base con un condono appena ingoiato? Non si può, infatti.
La ricostruzione del Movimento comincia dalla fine del consiglio dei ministri. In quella sede sarebbe arrivato un documento non dettagliato, una sorta di bozza ancora generica. Passata poi agli uffici per la stesura definitiva. È qui che si colloca il passaggio chiave. A stendere materialmente il decreto, è il capo del legislativo del Mef, Glauco Zaccardi.
Dopo Roberto Garofoli, capo di gabinetto del Mef, e il ragioniere dello Stato Daniele Franco, tocca a Zaccardi finire sul banco degli imputati. Secondo la versione M5S, più che una manina sarebbe una vocina ad arrivare fino a lui e a telecomandarlo nello scrivere norme non concordate con il Movimento. La vocina sarebbe quella dei leghisti Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti: «Ogni volta che Salvini si allontana un attimo - spiegano dal Movimento - loro due intervengono e fanno guai».
E a dimostrazione, si ricorda di quando Garavaglia parlò di 7 miliardi per la quota 100 delle pensioni, aggiungendo perfido: «Dispiace che esponenti degli alleati di governo vadano in giro con tabelle non ufficiali e che sono mere simulazioni». Prove generali del disastro sulla pace fiscale. E il ministro Tria? «Dorme - spiega un autorevole esponente dei 5 Stelle -. Non c' è mai, non dice nulla, non fa nulla. Occupa solo la poltrona e non la vuole mollare».
Ma come è stato possibile questo incidente sul rettilineo finale? Secondo i 5 Stelle, un ruolo fondamentale sarebbe stato quello del Quirinale, al quale gli uffici hanno inviato una bozza, segnalando i rischi del famigerato articolo 9. I 5 Stelle in questa fase non toccano palla. I sottosegretari Laura Castelli e Alessio Villarosa cercano invano di ottenere informazioni, bozze e documenti dagli uffici, ma nulla. I tecnici resistono. Perché, come dice Tripiedi, «sono fatti così. Una volta, una funzionaria disse a un capo di gabinetto, in mia presenza: "Sapessi quanti ne ho visti passare di capi di gabinetto"». E figuriamoci di politici.