giulio andreotti

"MIO PADRE NON CI TENEVA PIÙ DI TANTO AD ANDARE AL QUIRINALE" - IL FIGLIO DI GIULIO ANDREOTTI, STEFANO: "PREFERIVA SVOLGERE IL RUOLO DI CAPO DEL GOVERNO E MEGLIO ANCORA DI MINISTRO PER GLI ESTERI. MIO PADRE EBBE UN RUOLO DECISIVO PER L’ELEZIONE DI GIOVANNI LEONE, AVVENUTA AL VENTIDUESIMO SCRUTINIO IL 29 DICEMBRE 1971. CI FURONO CONTRASTI DURI ALL’INTERNO DELLA DC. IL VERO SCONFITTO, L’UOMO CHE SUBÌ LO SGAMBETTO, FU AMINTORE FANFANI. IL METODO ANDREOTTI? MIO PADRE RIPETEVA CHE 'NON C’È NESSUN METODO CHE GARANTISCA LA VITTORIA, CI SONO SOLO ERRORI DA NON COMMETTERE'"

Generoso Picone per "il Mattino"

 

stefano andreotti foto di bacco

«Senza Andreotti non si va da nessuna parte» ripetono i commensali durante la cena all’aperto organizzata dai fedelissimi per lanciare la sua candidatura alla presidenza della Repubblica. La sequenza è presa dal «Divo», il film che Paolo Sorrentino nel 2008 dedicò alla vita di Giulio Andreotti, decisamente smentita dal protagonista e tratta da una delle poche rappresentazioni di sé che l’abbia fatto arrabbiare da arrivare a definirla «una mascalzonata»: valga quindi come riferimento puramente simbolico, giusto avviare da quest’immagine la narrazione del romanzo del Quirinale, cioè il racconto delle strategie che una volta segnavano settimane e mesi precedenti l’elezione del Capo dello Stato.

giulio andreotti

 

Nella realtà, andò a finire che nella Dc prevalse il nome di Arnaldo Forlani, Andreotti scelse di compiere il passo indietro «visto che c’è la candidatura del segretario, la mia non esiste più. E chi lavora a sfavore pecca contro lo Spirito Santo». I franchi tiratori peccarono il 16 maggio 1992. Forlani commentò: «Meglio lasciar fare lo Spirito che muove il creato». Al Colle andò il 25 maggio al sedicesimo scrutinio Oscar Luigi Scalfaro.

 

Stefano Andreotti, il secondogenito di Giulio, già manager di lungo corso che assieme alla sorella Serena si sta dedicando alla cura dei diari segreti del padre – editi da Solferino, dopo il primo volume pubblicato l’anno scorso ora è uscito «I diari degli anni di piombo» e altri ne verranno – ricorda bene quell’episodio.

 

giulio andreotti

Costituì una delusione?

«Vuole la verità? In fondo non è che mio padre ci tenesse più di tanto ad andare al Quirinale. Uno come lui considerava il Parlamento il centro dell’attività politica che amava vivere in maniera decisamente attiva. La figura del presidente della Repubblica gli doveva apparire più rivestita da una funzione istituzionale e quindi tale da sottrarlo alla partecipazione diretta attraverso incarichi che lo portavano ad avere frequentazioni e contatti costanti a livello anche internazionale.

 

DE MITA FORLANI

Ecco: preferiva svolgere il ruolo di capo del governo e meglio ancora di ministro per gli Esteri. Esercitato, per altro, con qualità riconosciute da chiunque e in ogni parte del mondo. Del resto, lui aveva cominciato da sottosegretario al fianco di Alcide De Gasperi, misurandosi con questioni e problemi di rilevante importanza. Ha sempre coltivato, fino al 1989, questa passione, consolidando il suo credito. Quante volte grandi esponenti della sinistra europea e sudamericana hanno interrogato i corrispettivi italiani chiedendo: ma perché ce l’avete con Andreotti?».

 

Ciò non toglie che abbia svolto funzioni importanti e determinanti nell’individuazione dei capi dello Stato.

FORLANI FANFANI

«Certo, si può ben dire che abbia impresso il suo segno in tutte le elezioni. Lui è stato un uomo che ha mediato sempre, all’interno della Dc e con gli altri partiti. Ma i suoi anni sono stati caratterizzati da una idea di politica che oggi è lontana e perduta».

 

Mediazioni che potevano portare pure a esclusioni e veti.

«Se lei intende dire degli sgambetti, beh, è vero. Se ne facevano, alcuni erano clamorosi, e anche di questo materiale era composta l’azione politica. Ma c’era anche altro, il quadro politico non era formato da blocchi monolitici e in ogni schieramento si potevano individuare interlocutori con i quali confrontarsi, discutere e magari trovare utili intese».

giovanni leone

 

Ora?

«Non mi faccia parlare del presente. La situazione è sotto gli occhi di tutti e a volte verrebbe voglia di consigliare se non la lettura di qualche buon libro di Storia almeno di un buon manuale di Diritto costituzionale».

 

Ricorda una elezione per la quale suo padre abbia avuto un ruolo maggiormente decisivo?

ALDO MORO

«Per l’elezione di Giovanni Leone, avvenuta al ventiduesimo scrutinio il 29 dicembre 1971. Ci furono contrasti duri all’interno della Dc».

 

Non passò il nome di Aldo Moro.

«Il vero sconfitto, l’uomo che subì lo sgambetto, fu Amintore Fanfani. Alla fine, comunque, si riusciva a trovare una soluzione».

 

Il metodo Andreotti?

«Mio padre ripeteva che “non c’è nessun metodo che garantisca la vittoria, ci sono solo errori da non commettere”. Aggiungeva quindi che “il vero grande segreto è che non esistono grandi segreti”. Era la lotta politica, magari dura e crudele, ma che portava pure ad alimentare rapporti di stima personale, se non di amicizia».

sandro pertini tragedia alfredino rampi

 

Ne rammenta uno?

«Quello tra mio padre e Sandro Pertini. Fu uno straordinario legame di solidarietà e rispetto. Avevano caratteri diversi, se non proprio opposti, ma ciò non incrinò mai la loro relazione: Pertini da capo dello Stato e mio padre da presidente del Consiglio».

 

Neanche quando Sandro Pertini lanciò le sue accuse dopo il terremoto dell’Irpinia?

«Pertini aveva il suo temperamento, all’istante sbottava e poi recuperava l’equilibrio. Ci sono state tante occasioni in cui si può verificare reciprocità di sostegno».

andreotti moro

 

Oggi l’aria che si respira è un po’ diversa. Come si muoverebbe suo padre in vista dell’elezione al Quirinale?

«Intanto i tempi sono profondamente mutati. Rimane il rischio delle trappole e dei tranelli: l’esperienza suggerisce di aspettare e valutare tutte le circostanze. All’epoca della Dc non si mettevano in campo i grandi nomi che, a parte qualche eccezione, al Colle non ci sono mai andati né forse hanno davvero pensato di puntarci. Alla fine sa come si dice in Vaticano? Al Conclave chi entra da Papa spesso esce cardinale».

pertini andreottiandreotti

Ultimi Dagoreport

tulsi gabbard donald trump laura loomer timothy haugh

DAGOREPORT - È ORA D’ALLACCIARSI LE CINTURE. L’INTELLIGENCE OCCIDENTALE E' NEL PANICO TOTALE: SU CONSIGLIO DI UNA MAGA-INFLUENCER, LA PROCACE LAURA LOOMER, GIOVEDI' TRUMP HA CACCIATO SU DUE PIEDI IL GENERALE TIMOTHY HAUGH, DIRETTORE DELLA NATIONAL SECURITY AGENCY - LA NSA È LA PRINCIPALE AGENZIA DI CYBERSPIONAGGIO DEGLI STATI UNITI (CON 32 MILA DIPENDENTI, È QUASI IL 50% PIÙ GRANDE DELLA CIA) - LA CACCIATA DI HAUGH AVVIENE DOPO LA DECAPITAZIONE DEI CAPI DEI SERVIZI SEGRETI DI CIA E DI FBI, CHE TRUMP CONSIDERA IL CUORE DI QUEL DEEP STATE CHE, SECONDO LUI, LO PERSEGUITA FIN DALL’ELEZIONE PRESIDENZIALE PERDUTA CONTRO BIDEN NEL 2020 – UNA EPURAZIONE MAI VISTA NELLA TRANSIZIONE DA UN PRESIDENTE ALL’ALTRO CHE STA ALLARMANDO L’INTELLIGENCE OCCIDENTALE. CON TRUMP CHE SI FA INTORTARE DA INFLUENCER BONAZZE, E FLIRTA CON PUTIN, CONDIVIDERE INFORMAZIONI RISERVATE CON WASHINGTON, DIVENTA UN ENORME RISCHIO - (E C’È CHI, TRA GLI 007 BUTTATI FUORI A CALCI DA ''KING DONALD'', CHE PUÒ VENDICARSI METTENDO A DISPOSIZIONE CIÒ CHE SA…)

vespa meloni berlusconi

DAGOREPORT - VABBE’, HA GIRATO LA BOA DEGLI 80 ANNI, MA QUALCOSA DI GRAVE STA STRAVOLGENDO I NEURONI DI "GIORGIA" VESPA, GIA' BRUNO - IL GIORNALISTA ABRUZZESE, PUPILLO PER DECENNI DEL MODERATISMO DEMOCRISTO DEL CONTERRANEO GIANNI LETTA, CHE ORMAI NE PARLA MALISSIMO CON TUTTI, HA FATTO SOBBALZARE PERFINO QUELLO SCAFATISSIMO NAVIGATORE DEL POTERE ROMANO CHE È GIANMARCO CHIOCCI – IL DIRETTORE DEL TG1, PRIMO REFERENTE DELLA DUCETTA IN RAI, E’ RIMASTO BASITO DAVANTI ALL’”EDITORIALE” DEL VESPONE A "CINQUE MINUTI": "DAZI? PER IL CONSUMATORE ITALIANO NON CAMBIA NULLA; SE LA PIZZA A NEW YORK PASSERÀ DA 21 A 24 EURO NON SARÀ UN PROBLEMA". MA HA TOCCATO IL FONDO QUANDO HA RIVELATO CHI È IL VERO COLPEVOLE DELLA GUERRA COMMERCIALE CHE STA MANDANDO A PICCO L’ECONOMIA MONDIALE: È TUTTA COLPA DELL’EUROPA CON “GLI STUPIDISSIMI DAZI SUL WHISKEY AMERICANO’’ - VIDEO

elon musk donald trump matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - LE “DUE STAFFE” NON REGGONO PIÙ. IL CAMALEONTISMO DI GIORGIA MELONI NON PUÒ PIÙ PERMETTERSI DI SGARRARE CON MACRON, MERZ, URSULA, CHE GIÀ EVITANO DI CONDIVIDERE I LORO PIANI PER NON CORRERE IL RISCHIO CHE GIORGIA SPIFFERI TUTTO A TRUMP. UN BLITZ ALLA CASA BIANCA PRIMA DEL CONSIGLIO EUROPEO, PREVISTO PRIMA DI PASQUA, SAREBBE LA SUA FINE -  UNA RECESSIONE PROVOCATA DALL’AMICO DAZISTA TRAVOLGEREBBE FRATELLI D’ITALIA, MENTRE IL SUO GOVERNO VIVE SOTTO SCACCO DEL TRUMPUTINIANO SALVINI,

IMPEGNATISSIMO NEL SUO OBIETTIVO DI STRAPPARE 4/5 PUNTI AGLI ‘’USURPATORI’’ DELLA FIAMMA (INTANTO LE HA “STRAPPATO” ELON MUSK AL CONGRESSO LEGHISTA A FIRENZE) - UN CARROCCIO FORTIFICATO DAI MEZZI ILLIMITATI DELLA "TESLA DI MINCHIA" POTREBBE FAR SALTARE IN ARIA IL GOVERNO MELONI, MA VUOLE ESSERE LEI A SCEGLIERE IL MOMENTO DEL “VAFFA” (PRIMAVERA 2026). MA PRIMA, A OTTOBRE, CI SONO LE REGIONALI DOVE RISCHIA DI BUSCARE UNA SONORA SCOPPOLA…

luigi lovaglio - francesco gaetano caltagirone - giancarlo giorgetti - milleri - alberto nagel - philippe donnet mediobanca mps giorgia meloni

DAGOREPORT - LA CACCIA GROSSA AL LEONE DI TRIESTE INIZIA COL CDA DEL 24 APRILE MA SI CONCLUDERÀ A MAGGIO CON L’OPS DI MPS-CALTAGIRONE-MILLERI SU MEDIOBANCA CHE, UNA VOLTA ESPUGNATA COL SUO 13% DI GENERALI IN PANCIA, APRIRÀ LA VIA A CALTARICCONE PER ARRIVARE AL COMANDO DEL PRIMO FORZIERE D’ITALIA (843 MILIARDI) – CHE SUCCEDERA' QUANDO SCENDERANNO IN CAMPO I PEZZI GROSSI: ANDREA ORCEL DI UNICREDIT E CARLO MESSINA DI INTESA? - INTANTO, OGNI GIORNO SI REGISTRA UNO SCAZZO: SE IL PROXY ISS SOSTIENE MEDIOBANCA, IL PROXY GLASS LEWIS INVITA GLI AZIONISTI A PUNTELLARE MPS - (POTEVA MANCARE L’ANGOLO DEL BUONUMORE CON DAVIDE SERRA DEL FONDO ALGEBRIS?)…

zuppi sinodo claudio giuliodori ruini bergoglio

DAGOREPORT – ATTENZIONE: SI AGGIRANO CORVI SUL CUPOLONE – CON BERGOGLIO ANCORA CONVALESCENTE, L’ALA CATTO-CONSERVATRICE DI RUINI SI È “VENDICATA” SUL LIBERAL ZUPPI: SUL DOCUMENTO NON VOTATO DALL’ASSEMBLEA SINODALE CI SAREBBERO INFATTI LE MANINE DELL’EX CAPO DELLA CEI AI TEMPI DI BERLUSCONI. COME? NEL PORTARE A SINTESI I TEMI DISCUSSI NEL LUNGO CAMMINO SINODALE, SONO STATI SBIANCHETTATI O “AGGIRATE” QUESTIONI CRUCIALI COME IL RUOLO DELLE DONNE NELLA CHIESA, LA TRASPARENZA SUGLI ABUSI E L’OMOSESSUALITÀ. PIÙ DI UN VESCOVO HA CRITICATO L’ASSENZA NEL TESTO DELLA SIGLA “LGBTQ” – LA MIGLIORE SPIEGAZIONE SUL CAMBIO DI CLIMA LA DA' UN PORPORATO ANZIANO: "ANNI FA, ALLA FINE AVREMMO ABBOZZATO E VOTATO..."

donald trump giorgia meloni

DAGOREPORT - CERCASI DISPERATAMENTE TALE MELONI GIORGIA, DI PROFESSIONE PREMIER, CHE DEFINIVA “UN’OPPORTUNITÀ” LA MANNAIA DEL DAZISTA TRUMP - DOVE È ANDATA A NASCONDERSI L’’’ANELLO DI CONGIUNZIONE’’ TRA AMERICA FIRST E L’EUROPA DEI "PARASSITI?" A CHE È SERVITA LA SUA “SPECIAL RELATIONSHIP” CON LO PSICO-DEMENTE DELLA CASA BIANCA CHE CINGUETTAVA: “MELONI È UN LEADER E UNA PERSONA FANTASTICA”? - CHE FOSSE TAGLIATA FUORI DAI GIOCHI, LA REGINA DI COATTONIA DOVEVA FICCARSELO IN TESTA QUANDO L’ALTRO GIORNO HA CHIAMATO URSULA PER SCONGIURARLA DI NON RISPONDERE CON I CONTRO-DAZI AL TRUMPONE. LA KAISER DI BRUXELLES LE HA RISPOSTO CON PIGLIO TEUTONICO CHE LA DECISIONE FINALE SULLA POLITICA COMMERCIALE DELL’UNIONE APPARTIENE SOLO A LEI. COME A DIRE: "A COSETTA NON T’ALLARGA’, QUI COMANDO IO!" - ED ORA “IO SONO GIORGIA” SI TROVA A DOVER AFFRONTARE UNA GUERRA COMMERCIALE CHE TOCCA MOLTO DURAMENTE LA SUA BASE ELETTORALE, E NON SOLO QUELLA CHE VIVE DI EXPORT, COME AGRICOLTURA, LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE, I TESSILI. UN BAGNO DI SANGUE E, IN PROSPETTIVA, UNA CATASTROFE POLITICA…