FINIS-LEGA – TOSI DA TOSARE E MARONI A PICCO, BOSSI GODE E PREPARA LA RISCOSSA

1. NELLA LEGA INIZIA IL PROCESSO A TOSI - LA DISFATTA NEL VENETO. MARONI FRENA, DOMENICA IL VERTICE DEI BIG
Marco Cremonesi per il "Corriere della Sera"

Il giorno dopo è ancora più doloroso del giorno della sconfitta. Le cassandre hanno avuto ragione: il Veneto ha voltato le spalle al Carroccio. Persino Treviso la roccaforte, Treviso la patria del cuore, ha preferito al vecchio Sceriffo un avvocato 43enne dallo stile tutto nuovo. E così, a dispetto dell'appello di Roberto Maroni contro «gli avvoltoi» che chiedono le dimissioni del sindaco-segretario Flavio Tosi, c'è chi in Lega parla soltanto di quello: come arrivare al risultato. Come limitare il potere del leader veronese. Meglio: come sostituirlo.

Un primo test per capire se le ire degli anti-tosiani sono velleitarie oppure costituiscono una minaccia vera si avrà già domani, con il direttivo nazionale veneto. Lì, giurano i ribelli, si vedrà l'avvio dell'offensiva. Le accuse sono variegate: espulsioni a raffica, errori gravi nella scelta delle candidature, strategia perdente delle liste civiche che cannibalizzano la Lega senza rendersi risolutive. Anche se ieri Tosi ha osservato che «il modello delle civiche ha dimostrato che sono andate bene ovunque».

Il quadro, in realtà, è più complicato: il prossimo 2 febbraio si svolgerà un congresso straordinario del movimento per sostituire Roberto Maroni - che intende fare soltanto il governatore della Lombardia - con un nuovo leader. Resta da capire - e non si tratta di una cosa piccola - come sarà composta la platea congressuale: se dai 600 (tranne i decaduti, da sostituire non è chiaro come) che il primo luglio del 2012 hanno eletto Maroni segretario, oppure da delegati rinnovati con il percorso congressuale tradizionale.

Dal punto di vista concreto, sono temi di interesse supremo. Resta il fatto che, ne sono convinti in molti, la Lega ha un serissimo problema di identità e di messaggio. Non per nulla Maroni ha convocato per domenica a Milano un summit dello stato maggiore nordista. I nemici interni, riassumono la questione spietati: «Sarà soltanto un giro di microfoni. La domanda è: perché la gente oggi dovrebbe votare Lega?».

L'ex sindaco della patria perduta, Gian Paolo Gobbo da Treviso, è educato: «Sentiremo che cosa ci dirà Tosi...». E se Maroni ha spiegato che le interviste di Umberto Bossi hanno danneggiato il partito, a Panorama Gobbo risponde un po' meno garbato: «Maroni a tre giorni dal primo turno ha estromesso il suo vice Federico Caner, responsabile elettorale di Treviso».

Toni Da Re, già segretario della Liga trevigiana, è ancora più esplicito: «Chi aveva in mano le decisioni e le scelte dovrà assumersi le sue responsabilità. E non ci vengano a dire che la colpa è di Bossi e delle sue interviste». Detto questo, Da Re non crede nelle virtù salvifiche di un congresso veneto: «Non ha senso, servirebbe soltanto a dividerci. Ma una riflessione convincente deve esserci».

L'ex uomo forte della Lega trevigiana non si limita ai confini della Marca: «La crisi è totale. Se perdi sedici capoluoghi su sedici, il messaggio dell'elettore è inequivocabile. Per quanto ci riguarda, dopo le politiche è nato un inciucio che non serve a nessuno (i parlamentari del Carroccio si sono astenuti nel voto di fiducia a Enrico Letta ndr). Se sono fuori, faccio opposizione. Nel 2014 ci saranno le politiche? Non si capisce perché non lasciamo il Partito democratico da solo a sporcarsi le mani». Più chiaro di così...

Maroni ostenta serenità: i voti leghisti «non sono persi ma soltanto congelati, non è un consenso che ha cambiato sponda».

Ma nella galassia nordista gli umori sono fumanti. Esemplare l'espulso Santino Bozza: «Tosi e Maroni devono andare nel punto più profondo del Garda e immergersi. Hanno distrutto la Lega, devono sparire. Se ne vadano in vacanza. In eterno».


2. IL TRACOLLO DI TREVISO LA ROCCAFORTE PERDUTA E IL PARTITO DILANIATO DA SCANDALI E RISSE - «BOBO CI HA DISTRUTTI, DEVE SPARIRE»
Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

E adesso chi glielo spiega, ai padani, che la Lega vuole «essere il partito egemone del Nord»? La caduta rovinosa di Treviso, che pareva assolutamente inespugnabile, non è solo un trauma. È l'ultimo candelotto di dinamite che esplode in una polveriera. E dilania in risse omicide un partito un tempo monolitico.

Umberto Bossi era di ottimo umore, un anno e mezzo fa, alla nascita del governo Monti. E dava di gomito: «Se sono così fessi da mandarci all'opposizione, ci rifacciamo la verginità». Macché: era l'inizio di un tormentato percorso di scandali e inchieste giudiziarie, coltellate ed espulsioni, fughe e tracolli elettorali. E se il Senatur pensava di recuperare, fuori dal governo, il «suo» popolo deluso che già aveva consegnato alla sinistra il fortilizio di Novara, le «amministrative» della primavera 2012 erano state un disastro.

Nella scia degli scandali del «Trota» e di Francesco Belsito e del fascicolo «the family» e dei diamanti finiti in tasca al senatore Piergiorgio Stiffoni, erano cadute via via Monza, dove la Lega aveva suonato la grancassa «trasferendo» tre ministeri e il paese bergamasco di Mozzo caro a Roberto Calderoli e quello vicentino di Sarego sede del «Parlamento padano» e perfino il borgo natale dell' Umberto, Cassano Magnago, da vent'anni dominato dal Carroccio e orgoglioso di considerarsi la «Betlemme leghista».

Almeno un leghista però, allora, aveva potuto cantare vittoria: il veronese Flavio Tosi, trionfalmente rieletto al primo turno. Ma è proprio lui, oggi, a essere al centro delle polemiche intestine. Insieme con quel Bobo Maroni che su di lui aveva puntato e teorizzava appunto «l'egemonia leghista al Nord» ma già a fine febbraio, pur conquistando la Lombardia, aveva visto il Carroccio uscire col 13% scarso dei voti contro il 26% abbondante delle regionali del 2000.

Ma se è dolorosa la stangata di Brescia, che anni fa vide i primi trionfi bossiani e ora vede il Carroccio ridotto all'8,66%, è nel Veneto che più si nota l'emorragia. Qui era nata la Liga Veneta del «Leon che magna el teròn». Qui erano stati eletti, esattamente trent'anni fa, il primo deputato e il primo senatore.

Qui erano stati conquistati i primi comuni. Qui il partito era arrivato a segnare record inimmaginabili, come a Chiarano, in provincia di Treviso, dove il sindaco Gianpaolo Vallardi si spinse nel 2009 a prendere in gara solitaria, contro una lista che univa destra e sinistra, il 76,6%. Una maggioranza talmente «bulgara» che gli stessi leghisti ne ridevano chiamando il paese «Chiaranov».

Altri tempi. Persino a «Chiaranov», alle ultime politiche, quello di Alberto da Giussano era solo il quarto partito col 15,1% dopo il Pdl, il MoVimento 5 Stelle e anche il Pd che da quelle parti ha sempre contato come il due di coppe con la briscola a spade. E intorno a «Chiaranov» sono cadute una cittadella dietro l'altra.

A partire, appunto, dai feudi scaligeri (dunque maroniani) di Flavio Tosi, contro il quale ieri a «La zanzara» di Radio 24 il consigliere regionale veneto Santino Bozza, espulso dalla Lega poche settimane fa, sparava a zero: «Tosi e Maroni devono andare nel centro del lago di Garda, nel punto più profondo, e immergersi più a fondo possibile. Hanno distrutto la Lega, devono sparire, vadano in vacanza in eterno».

Il confronto coi numeri trionfali dell'elezione di Luca Zaia, alle ultime Regionali del 2010, dice tutto. Aveva 788.581 voti, allora, la Lega. Pari al 35,2%. Con un vantaggio di oltre 10 punti sul Popolo della Libertà, umiliato dal sorpasso. Bene: alla Camera, tre mesi fa, mentre il Pdl segnava il contro-sorpasso raddoppiando quasi i voti leghisti, i voti al Carroccio erano precipitati a 310.173 e a una percentuale del 10,8% nella circoscrizione Veneto 1 e 10,3% in quella Veneto 2.

Un disastro. E un segno inequivocabile della rottura di un rapporto trentennale. Una rottura resa ancora più vistosa, alle ultime Comunali, proprio nelle zone dove più forte, fino alla strafottenza nei confronti degli avversari, pareva il partito. Come appunto in provincia di Verona, dove la Lega alle Regionali del 2010 aveva preso il 36% e conquistato nel 2012 tra squilli di trombe il Comune capoluogo e oggi si lecca le ferite («La botta per me equivale a quando il Verona fu retrocesso. Spero che noi leghisti ci riprenderemo già l'anno prossimo, perché la squadra ci ha messo 11 anni a risalire in serie A», sospira Tosi) rimediate in luoghi ritenuti sicuri come Villafranca, Bussolengo, Sona...

In provincia di Vicenza, Zaia aveva trionfato col 63,4% trascinando la Lega al 38%: tre anni dopo le Comunali del capoluogo hanno visto la padana Manuela Dal Lago sfracellarsi al primo turno contro il democratico Achille Variati e il Carroccio precipitare a un avvilente 4,59%. Nel Veneziano, dove Francesca Zaccariotto aveva strappato nel 2009, dopo 25 anni, la Provincia alla sinistra e dove il governatore attuale aveva vinto portando il movimento bossiano al 26,1%, c'era in ballo San Donà di Piave dove proprio la Zaccariotto che gli era stata sindaco aveva il suo punto di forza: una disfatta. Con la Lega giù fino al 5,8%.

Ma è a Treviso, come ha sancito coi consueti modi spicci Giancarlo Gentilini identificando il suo personale destino con quello di tutto il movimento e della Padania stessa, che «è finita l'era della Lega e del Pdl». La città, per i leghisti veneti, valeva quanto Varese per i lumbard. Era la roccaforte. La perfetta «Padanopoli». Imprendibile, come il resto della Marca.

Tre anni fa, alle Regionali, il trevigiano Zaia aveva stravinto in provincia con quasi 66% dei voti, dei quali addirittura il 48,5% (il triplo del Pdl: il triplo!) di segno leghista. Oggi i militanti telefonano a Radio Padania Libera sfogando la loro rabbia. Hanno perso a Castello di Godego, a Istrana, a Mareno di Piave, a San Biagio di Callanta, a Vedelago...

Un tracollo da panico. Culminato appunto nella Waterloo della città capoluogo. Dove il vecchio «Sceriffo» finito sui giornali di tutto il mondo per le sue sparate razziste contro «i zingari» e «i culattoni» e i negri «inseguiti a casa loro dalle gazzelle e dai leoni» è stato annientato. E la Lega Nord si ritrova, in quella che fu per un ventennio la «sua» città, con due consiglieri su 32. E una quota dell'8,54%.

Lui, il «Genty», è rimasto nel «suo» ufficio in municipio fino a mezzanotte meno un quarto. Come se volesse restare aggrappato fino all'ultimo a quel suo pezzo di vita. Quando se n'è andato, dicono, ha spento la luce.

 

FLAVIO TOSI MATTEO SALVINI ROBERTO MARONI jpegROBERTO MARONI E FLAVIO TOSI Roberto Maroni e Umberto Bossi a Pontida UMBERTO BOSSI E ROBERTO MARONI ELETTO SEGRETARIO DELLA LEGA NORD jpegBOSSI E MARONI AL CONGRESSO DELLA LEGA jpegBOSSI MARONI E LA SCOPA PADANA UMBERTO BOSSI E BELSITO FRANCESCO BELSITO RENZO BOSSI CON LA MAGLIETTA DEL TROTAGIANCARLO GENTILINI gentilini resize LUCA ZAIA SPEZZA IL PANE

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…

andrea orcel francesco milleri giuseppe castagna gaetano caltagirone giancarlo giorgetti matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - IL RISIKONE È IN ARRIVO: DOMANI MATTINA INIZIERÀ L’ASSALTO DI CALTA-MILLERI-GOVERNO AL FORZIERE DELLE GENERALI. MA I TRE PARTITI DI GOVERNO NON VIAGGIANO SULLO STESSO BINARIO. L’INTENTO DI SALVINI & GIORGETTI È UNO SOLO: SALVARE LA “LORO” BPM DALLE UNGHIE DI UNICREDIT. E LA VOLONTÀ DEL MEF DI MANTENERE L’11% DI MPS, È UNA SPIA DEL RAPPORTO SALDO DELLA LEGA CON IL CEO LUIGI LOVAGLIO - DIFATTI IL VIOLENTISSIMO GOLDEN POWER DEL GOVERNO SULL’OPERAZIONE DI UNICREDIT SU BPM, NON CONVENIVA CERTO AL DUO CALTA-FAZZO, BENSÌ SOLO ALLA LEGA DI GIORGETTI E SALVINI PER LEGNARE ORCEL – I DUE GRANDI VECCHI DELLA FINANZA MENEGHINA, GUZZETTI E BAZOLI, HANNO PRESO MALISSIMO L’INVASIONE DEI CALTAGIRONESI ALLA FIAMMA E HANNO SUBITO IMPARTITO UNA “MORAL SUASION” A COLUI CHE HANNO POSTO AL VERTICE DI INTESA, CARLO MESSINA: "ROMA DELENDA EST"…